Premessa:
Ancora una volta nella sua mente, che in quel momento sembrava essere fresca e riposata come nei tempi migliori, si affollò in un flebile secondo quella che era stata la sua vita fino a quel momento: il primo gruppo, i successi in singolo… la fama mondiale, le prime accuse fino… alla fine. La sua faccia, tinta di un colore scuro, tipico dell’uomo di colore, assumeva espressioni ripetutamente diverse; dalla felicità alla tristezza, dal sorriso al broncio, dall’emotivo all’indifferente. E mentre questi e mille altri pensieri gli si accavallavano imprevedibili nel cervello, si fissò allo specchio. La giacca in stile anni ’80, rigorosamente rossa, i suoi pantaloni, lunghi e bianchi, il corpo longilineo, la carnagione scura, le scarpette che tanto amava indossare, i capelli raccolti in una riccia e complessa acconciatura, acconciatura che non osava utilizzare da anni, decenni, ventenni. In lui non c’era più niente di quello che aveva lasciato quaggiù, un freddo e biancastro guscio vuoto che poteva solo essere pianto e commemorato all’infinito, senza che riprendesse vita, neanche di fronte alla preghiera più commovente. Alzò i nerissimi occhi al cielo, sorridendo e, battuti i piedi per terra in modo armonico e preciso, avanzò correndo verso la porta di quella strana stanza dalle pareti affusolate e bianchissime.
Con la sua inconfondibile camminata si fece strada fra i bianchi sentieri dello strano posto in cui passegiava, fino a trovarsi, ancora una volta, faccia a faccia con lo stage, alto, imponente, allestito apposta per lui; con un balzo felino ed un sorriso impresso sul volto, si mostrò un’altra, un’ennesima, un’ultima volta alla calca che gli si stagliava davanti, urlante ed irrefrenabile.
Le urla che provenivano dal pubblico erano chiaramente udibili, mentre scandivano con precisione assoluta il suo nome, tanto acclamato quanto accusato durante i primi e gli ultimi anni.
Improvvisamente, dopo essere sembrato per un attimo irrigidito tutto d’un colpo, l’artista, con un leggiadro schiocco di dita, diede inizio alle danze, le vere danze, certo non le danze che avrebbe aperto in un tour truffa, in cui avrebbe cercato di impiegare le ultime forze a lui rimaste, per colmare un debito ormai troppo grande, per vivere gli ultimi anni della sua vita in pace con i suoi creditori e, soprattutto, con sé stesso.
Un ritmo scanzonato di batteria diede inizio alla canzone, un misto di energia e furore, come aveva abituato i suoi fan nei primi anni; dopo la prima affascinante strofa, cantata con estrema grinta e precisione, accordando i movimenti del corpo con il ritmo come uno strumento musicale, quasi meccanicamente, si esibì in un ritornello preciso e pulito, con una prova vocale dei tempi migliori. Durante il corpo centrale della canzone esplose il motivo per cui era diventato un big: con un salto più da atleta che da artista travolse i presenti con una foga ed una classe fuori dal comune, la stessa classe che gli aveva donato quel nome, la stessa leggiadria che l’aveva reso il re.
Dopo aver terminato il primo brano, si contrasse subito nel secondo, con movimenti aperti e assolutamente perfetti: pareva un automa assoluto e c’era un evidente contrasto fra la freddezza nell’assoluta perfezione delle sue mosse col calore che riusciva a trasmettere alla folla, un calore che anni addietro avevano permesso alle masse di amarlo, di acclamarlo, di adorarlo.
Con questo andazzo proseguì fino a circa metà concerto dove, durante quello che pareva essere il climax di uno spettacolo di mastodontiche proporzioni e carisma, decise di dare fondo al suo meglio: dopo che un ritmo sincopato ma al contempo ritmato e veloce ebbe iniziato a scandire un tempo preciso, si esibì nel passo che l’aveva reso famoso, il cammino sulla Luna, la perfezione assoluta nel movimento umano… alzò un piede, intenzionato ad andare in avanti ma… il corpo si spostò invece indietro, nell’assoluta precisione di un gioco di movimenti e suole che l’avevano reso giustamente famoso. Dopo due ore di piroette, salti e balletti, quel passo era la ciliegina sulla torta di uno spettacolo che era destinato a passare alla storia.
Esibitosi in altre tracce del suo repertorio migliore, l’eroe di esibì nella ender, la sua opera più famosa, il dulcis in fundo, la sua canzone.
Il Thriller che aveva appassionato tutto il mondo era ora in atto, dopo anni, davanti ad una platea immensa, in tutti i suoi otto minuti di elegante esecuzione, brillante come sempre nella voce, splendido nei movimenti. Non contava ora se si fosse mai operato per diventare quello che non era, o se avesse mai osato nuocere all’innocenza di un bambino, ora era lì, ad esibirsi nelle piste del cielo.
Spoiler:
Ancora una volta nella sua mente, che in quel momento sembrava essere fresca e riposata come nei tempi migliori, si affollò in un flebile secondo quella che era stata la sua vita fino a quel momento: il primo gruppo, i successi in singolo… la fama mondiale, le prime accuse fino… alla fine. La sua faccia, tinta di un colore scuro, tipico dell’uomo di colore, assumeva espressioni ripetutamente diverse; dalla felicità alla tristezza, dal sorriso al broncio, dall’emotivo all’indifferente. E mentre questi e mille altri pensieri gli si accavallavano imprevedibili nel cervello, si fissò allo specchio. La giacca in stile anni ’80, rigorosamente rossa, i suoi pantaloni, lunghi e bianchi, il corpo longilineo, la carnagione scura, le scarpette che tanto amava indossare, i capelli raccolti in una riccia e complessa acconciatura, acconciatura che non osava utilizzare da anni, decenni, ventenni. In lui non c’era più niente di quello che aveva lasciato quaggiù, un freddo e biancastro guscio vuoto che poteva solo essere pianto e commemorato all’infinito, senza che riprendesse vita, neanche di fronte alla preghiera più commovente. Alzò i nerissimi occhi al cielo, sorridendo e, battuti i piedi per terra in modo armonico e preciso, avanzò correndo verso la porta di quella strana stanza dalle pareti affusolate e bianchissime.
Con la sua inconfondibile camminata si fece strada fra i bianchi sentieri dello strano posto in cui passegiava, fino a trovarsi, ancora una volta, faccia a faccia con lo stage, alto, imponente, allestito apposta per lui; con un balzo felino ed un sorriso impresso sul volto, si mostrò un’altra, un’ennesima, un’ultima volta alla calca che gli si stagliava davanti, urlante ed irrefrenabile.
Le urla che provenivano dal pubblico erano chiaramente udibili, mentre scandivano con precisione assoluta il suo nome, tanto acclamato quanto accusato durante i primi e gli ultimi anni.
Improvvisamente, dopo essere sembrato per un attimo irrigidito tutto d’un colpo, l’artista, con un leggiadro schiocco di dita, diede inizio alle danze, le vere danze, certo non le danze che avrebbe aperto in un tour truffa, in cui avrebbe cercato di impiegare le ultime forze a lui rimaste, per colmare un debito ormai troppo grande, per vivere gli ultimi anni della sua vita in pace con i suoi creditori e, soprattutto, con sé stesso.
Un ritmo scanzonato di batteria diede inizio alla canzone, un misto di energia e furore, come aveva abituato i suoi fan nei primi anni; dopo la prima affascinante strofa, cantata con estrema grinta e precisione, accordando i movimenti del corpo con il ritmo come uno strumento musicale, quasi meccanicamente, si esibì in un ritornello preciso e pulito, con una prova vocale dei tempi migliori. Durante il corpo centrale della canzone esplose il motivo per cui era diventato un big: con un salto più da atleta che da artista travolse i presenti con una foga ed una classe fuori dal comune, la stessa classe che gli aveva donato quel nome, la stessa leggiadria che l’aveva reso il re.
Dopo aver terminato il primo brano, si contrasse subito nel secondo, con movimenti aperti e assolutamente perfetti: pareva un automa assoluto e c’era un evidente contrasto fra la freddezza nell’assoluta perfezione delle sue mosse col calore che riusciva a trasmettere alla folla, un calore che anni addietro avevano permesso alle masse di amarlo, di acclamarlo, di adorarlo.
Con questo andazzo proseguì fino a circa metà concerto dove, durante quello che pareva essere il climax di uno spettacolo di mastodontiche proporzioni e carisma, decise di dare fondo al suo meglio: dopo che un ritmo sincopato ma al contempo ritmato e veloce ebbe iniziato a scandire un tempo preciso, si esibì nel passo che l’aveva reso famoso, il cammino sulla Luna, la perfezione assoluta nel movimento umano… alzò un piede, intenzionato ad andare in avanti ma… il corpo si spostò invece indietro, nell’assoluta precisione di un gioco di movimenti e suole che l’avevano reso giustamente famoso. Dopo due ore di piroette, salti e balletti, quel passo era la ciliegina sulla torta di uno spettacolo che era destinato a passare alla storia.
Esibitosi in altre tracce del suo repertorio migliore, l’eroe di esibì nella ender, la sua opera più famosa, il dulcis in fundo, la sua canzone.
Il Thriller che aveva appassionato tutto il mondo era ora in atto, dopo anni, davanti ad una platea immensa, in tutti i suoi otto minuti di elegante esecuzione, brillante come sempre nella voce, splendido nei movimenti. Non contava ora se si fosse mai operato per diventare quello che non era, o se avesse mai osato nuocere all’innocenza di un bambino, ora era lì, ad esibirsi nelle piste del cielo.
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