E' un brevissimo racconto che mi è venuto in mente oggi e ho voluto scrivere, perché mi piaceva molto l'idea. Diciamo che questo è il mio primo scritto spontaneo, cioé non scolastico o imposto. Quindi non si può dire che abbia un buon stile nè un grande tecnica, ma siccome mi è piaciuto scrivere, anche se per poco, affinerò il tutto.
E' una settimana che non mangio. E ho tanta fame. Tanta, tanta, tanta fame. Non possiamo più andare da nessuna parte: ci hanno probito l'ingresso a ogni edificio privato e pubblico. E' cominciato un mese fa, e in poco tempo metà della popolazione si è trovata chiusa nelle proprie città, isolata, i propri cari scappati o portati via. Ogni tanto si trova qualcosa da mangiare, ma è appena sufficiente a tirare avanti. Non capiamo cosa sta succedendo. Abbiamo deciso di organizzare una protesta giù al centro commerciale, sigillato e ancora pieno di cibo. Siamo a Savannah, al Liberty Mall e stiamo facendo sentire la nostra voce. Il governo ci ha rinchiusi senza dirci il perché, togliendoci i nostri familiari e amici e lasciandoci sigillati a morire di fame. Siamo in 500.000 e le nostre grida fanno tremare le possenti mura di cemento e gli enormi finestroni ricoperti di compensato vibrano così tanto che sembrano spaccarsi in mille pezzi. Ci accalchiamo contro le porte, battendo e strepitando a più non posso, una massa brulicante di miseria, disperazione e tremenda rabbia. All'improvviso si sente uno sparo, e con un tonfo, un uomo si accascia a terra, morto. In alto, sul tetto, un cecchino dell'esercito (si riconosce facilmente dalla tuta sigillata) ha appena sparato un colpo. Scoppia la rivolta. Una protesta pacifica per ottenere del cibo e ci sparano addosso?
Altri tre corpi si accasciano a terra. Ma siamo in troppi, e non siamo spaventati. Anzi, la repressione violenta ci ha resi ancora più determinati a sfondare le porte, e a sciamare per reclamare ciò che di diritto è nostro. Il vetro delle entrate comincia a incrinarsi e poi cede. I portoni si scardinano e sciamiamo dentro. Finalmente possiamo placare la fame, e c'è così tanta roba da cui scegliere. Adocchio subito uno stuzzichino: mi avvicino e mordo il bambino alla mano tranciandogli due dita di netto. Mmmm, il sapore di ossa, il rumore che fanno quando si spezzano sotto di denti..... Il mio pranzo cerca di scappare, ma lo afferro e con un morso gli stacco il naso, facendo uscire un fiotto di sangue saporito e rinfrescante. Poi lo blocco e arrivo alla parte migliore, gli intestini: gli strappo la pelle dallo stomaco e comincio a succhiare l'intestino come uno spaghetto. Le interiora non sono molto amate, vengono trovate un po' schifose, ma io le trovo saporitissime. E finalmente sto mangiando qualcosa di fresco e scalciante, non cadaveri immobili dagli occhi vitrei. Vedere gli occhi piangenti del bambino rende il pasto più emozionante, e l'entusiasmo scende un po' dopo che glieli cavo e li mangio. Mi rialzo satollo, con lo stomaco pieno e finalmente sazio. Intorno a me vedo meravigliosi quadretti, di famiglie che banchettano insieme su altre, fratelli che divorano sorelle, una scena che mi riscalda il cuore. Il governo non ci può più fermare, e andremo fino a Washington a far sentire la nostra voce a quegli squisiti senatori così grassi, panciuti e morbidi. Chissà, magari ci faranno pranzare col Presidente.
Go on, spit on me, rape me, or else GTFO.
La protesta
E' una settimana che non mangio. E ho tanta fame. Tanta, tanta, tanta fame. Non possiamo più andare da nessuna parte: ci hanno probito l'ingresso a ogni edificio privato e pubblico. E' cominciato un mese fa, e in poco tempo metà della popolazione si è trovata chiusa nelle proprie città, isolata, i propri cari scappati o portati via. Ogni tanto si trova qualcosa da mangiare, ma è appena sufficiente a tirare avanti. Non capiamo cosa sta succedendo. Abbiamo deciso di organizzare una protesta giù al centro commerciale, sigillato e ancora pieno di cibo. Siamo a Savannah, al Liberty Mall e stiamo facendo sentire la nostra voce. Il governo ci ha rinchiusi senza dirci il perché, togliendoci i nostri familiari e amici e lasciandoci sigillati a morire di fame. Siamo in 500.000 e le nostre grida fanno tremare le possenti mura di cemento e gli enormi finestroni ricoperti di compensato vibrano così tanto che sembrano spaccarsi in mille pezzi. Ci accalchiamo contro le porte, battendo e strepitando a più non posso, una massa brulicante di miseria, disperazione e tremenda rabbia. All'improvviso si sente uno sparo, e con un tonfo, un uomo si accascia a terra, morto. In alto, sul tetto, un cecchino dell'esercito (si riconosce facilmente dalla tuta sigillata) ha appena sparato un colpo. Scoppia la rivolta. Una protesta pacifica per ottenere del cibo e ci sparano addosso?
Altri tre corpi si accasciano a terra. Ma siamo in troppi, e non siamo spaventati. Anzi, la repressione violenta ci ha resi ancora più determinati a sfondare le porte, e a sciamare per reclamare ciò che di diritto è nostro. Il vetro delle entrate comincia a incrinarsi e poi cede. I portoni si scardinano e sciamiamo dentro. Finalmente possiamo placare la fame, e c'è così tanta roba da cui scegliere. Adocchio subito uno stuzzichino: mi avvicino e mordo il bambino alla mano tranciandogli due dita di netto. Mmmm, il sapore di ossa, il rumore che fanno quando si spezzano sotto di denti..... Il mio pranzo cerca di scappare, ma lo afferro e con un morso gli stacco il naso, facendo uscire un fiotto di sangue saporito e rinfrescante. Poi lo blocco e arrivo alla parte migliore, gli intestini: gli strappo la pelle dallo stomaco e comincio a succhiare l'intestino come uno spaghetto. Le interiora non sono molto amate, vengono trovate un po' schifose, ma io le trovo saporitissime. E finalmente sto mangiando qualcosa di fresco e scalciante, non cadaveri immobili dagli occhi vitrei. Vedere gli occhi piangenti del bambino rende il pasto più emozionante, e l'entusiasmo scende un po' dopo che glieli cavo e li mangio. Mi rialzo satollo, con lo stomaco pieno e finalmente sazio. Intorno a me vedo meravigliosi quadretti, di famiglie che banchettano insieme su altre, fratelli che divorano sorelle, una scena che mi riscalda il cuore. Il governo non ci può più fermare, e andremo fino a Washington a far sentire la nostra voce a quegli squisiti senatori così grassi, panciuti e morbidi. Chissà, magari ci faranno pranzare col Presidente.
Go on, spit on me, rape me, or else GTFO.
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