Non so quanto assiduamente ci posterò, ma a volte scrivo ancora per scazzo.
21 dicembre 2012.
Ore 7.00
Dopo che le prime luci dell'alba ebbero irradiato, apparentemente come ogni altro giorno, la metà di mondo che competeva al sole a quell'ora, nelle principali città europee la vita intesa nel suo senso umano riprendeva forma. Pendolari, scolari, lavoratori si tiravano su dal letto e si trascinavano, vinti dalla forza d'inerzia, verso il loro ultimo o penultimo giorno di attività prima delle meritate vacanze di natale.
I più rilassati (insomma, quelli che avevano ancora tempo) prendevano la loro colazione, in casa, alcuni ancora in pigiama, e tra questi un gruppo accendeva come di consueto la propria radio, un po' per farsi dare la carica giusta per affrontare la giornata, un po' per informarsi sui fatti del giorno. E che giorno! I DJ di tutte le stazioni radiofoniche non avevano perso assolutamente tempo e dunque già si parlava (o meglio, si straparlava) di quello che era (o sarebbe dovuto essere) quel giorno: la fine del mondo così come lo conosciamo. Con voci sarcasticamente apocalittiche e profetiche i conduttori elencavano a mo' di scherzo tutte le catastrofi che sarebbero dovute avvenire, secondo i pessimisti, quel giorno: eruzioni, terremoti, maremoti, alluvioni. Intanto pensavano a un'alluvione ben precisa, ossia alla pioggia di denaro che sarebbe piovuta nel loro conto grazie agli ascolti di quella mattina.
Ridacchiando qua e là della profezia dei Maya, una volta per tutte smentita, la popolazione europea imburrava il suo pane, gustava il suo caffè, stuzzicava il suo bacon con le uova oppure semplicemente si faceva la barba fischiettando. Chi sentiva il tempo stringere per andare al lavoro si affrettava a correre nella doccia, spogliandosi, vinta dal freddo.
21 dicembre 2012.
Ore 9.30
Ormai la popolazione sopra citata era già in piena attività lavorativa, noncurante di ciò che di lì a poco sarebbe potuto succedere. I bambini erano tra i banchi a tirarsi palline di carta cercando di non farsi scoprire dalla maestra, i ragazzi più grandi scaldavano le sedie cercando di pensare all'algebra e non alle imminenti vacanze di natale, gli adulti lavoravano di gran lena, pensando al gravoso e faticoso shopping natalizio.
Ma nelle scuole e negli uffici, prima di iniziare l'ennesima giornata, non era mancata una parola di riso e biasimo nei confronti della ridicola profezia Maya. Si vedevano tragedie? Terremoti di alcun tipo? La neve cadeva a grandi fiocchi sulla Mitteleuropa ed anche quella del sud non se la passava peggio. I bambini attendevano Babbo Natale e gli adulti si mordevano le labbra pensando a come far quadrare i conti: tutto era invariato.
Nel frattempo coloro che credevano ciecamente nella profezia rivedevano le proprie scartoffie e le proprie carte, cercando la minima cosa che avrebbe potuto aumentare la fiducia nella propria fede, dal minimo errore di calcolo alla massima lettura traslata od obliqua possibile; ma niente sembrava dar loro ragione. In quel momento avrebbero voluto mettere la mano fuori dalla finestra e sentire una caustica pioggia acida forare i loro palmi, come dei moderni martiri: ma sentivano solo docile neve e avrebbero voluto ferirsi a morsi, pur di non ammettere il torto nemmeno di fronte ai propri, paonazzi volti.
21 dicembre 2012.
Ore 12.00
Roma. Era giorno di grande attività giù al Vaticano: cardinali, arcivescovi, vescovi più o meno importanti discutevano animatamente di come avrebbero sfruttato la già prevista smentita della profezia Maya. La Bibbia si chiudeva con l'Apocalisse, questo era certo, ma se quel giorno non era ancora arrivato, a loro parere, “lo si doveva solo a Dio Onnipotente”. Alla fine, quando il pontefice arrivò per farsi comunicare la decisione del conclave e degli arcivescovi, gli si disse ciò: “Con l'avanzare delle cosiddette verità scientifiche, con l'incalzare della vita moderna con le sue caratteristiche meccaniche e concrete, la gente sta perdendo spiritualità. Con la spiritualità perdono fede. Con la loro perdita di fede noi perdiamo consensi. Bisogna evitare di ridicolizzare la profezia, bisogna darle solide basi comprovate, in modo tale da attribuire la “salvezza” a Dio. Dobbiamo riattrarre le pecorelle all'ovile e le loro donazioni nelle nostre banche.”. Il Papa, tanto laconicamente quanto ironicamente, mosse la mano destra a mo' di segno della croce e si allontanò: era venerdì, sapeva cosa avrebbe detto nella messa di domenica 23.
21 dicembre 2012.
Ore 17.00
Le strade di Berlino brulicavano di genitori e figli, di famiglie (almeno apparentemente) felici. Nevicava abbondantemente, la vita procedeva verso il progresso; l'umanità aveva superato anche la fine del mondo e ne era felice. I telegiornali pomeridiani non mancavano, tra una notizia ministeriale, una riunione di gabinetto e una sparatoria di cronaca, di scagliare la consueta frecciatina ai fanatici e agli avvelenatori che ormai da due anni infestavano il mondo con il loro pessimismo. Il mondo doveva andare avanti, il Progresso era inarrestabile e, superata la paura da ennesima fine del mondo, l'umanità, sola o meno, era pronta ad andare avanti.
21 dicembre 2012.
Ore 23.00
Due amici attraversavano passeggiando e chiacchierando del più e del meno le strade di Londra. Erano entrambi due tipi solitari, si erano trovati quasi per caso, stavano bene da soli e non volevano nessun altro; di grande cultura artistica, scientifica e letteraria, calciavano la neve con un'aria preoccupata. In particolare uno dei due aveva assunto un'espressione particolarmente grigia e taciturna. Tacque.
21 dicembre 2012.
Ore 23.57
Tacque per quasi un'ora e l'altro non lo interruppe. Il primo volse lo sguardo al grande orologio del Big Ben, che ormai segnava inesorabilmente le 23.58: il giorno volgeva al termine. Finalmente prese parola: “Alla fine i Maya avevano ragione.” L'altro, tra lo stupito e l'incuriosito, lo guardava con sguardo indagatore: mai il tempo era stato più calmo, mai il cielo così terso, mai l'aria così leggera. Niente lasciava presagire ad alcuna catastrofe, ed anche se fosse stata prossima, non sarebbe stato spiegabile come un qualsiasi studente sarebbe stato in grado di prevederla.
“Non capisci? - proseguì – è questa la fine del mondo. Guardati intorno. Un mondo, almeno per noi umani, ormai invivibile. Frenesie, lavori, ipocrisie. Guarda la gente intorno a te. Guarda come si affannava, fino a qualche ora fa, tra pacchi e pacchetti, con quel sorriso preconfezionato dipinto sulla faccia. Che schifo.” Sputò a terra, poi proseguì. “Lo vedi questo sputo? Questo sputo è per i Maya che hanno dannatamente indovinato. Siamo dannati a proseguire così, a continuare a trascinarci e barcamenarci qua e là, sopra e sotto. Per quanto? Chi lo può sapere? I Maya avevano solo previsto che oggi ci sarebbe stata una catastrofe. E c'è stata: la vita moderna domani, anzi – guardò l'orologio – oggi, 22 dicembre 2012, riprenderà come tutto il resto dell'anno, e si trascinerà con tutte le sue rughe, le sue falsità, i suoi ritmi inutilmente insostenibili, i suoi finti amori e le sue finte cortesie, e io non avrò il piacere di chiudere gli occhi felice. Che la vita continui. Questi idioti non hanno capito nulla.”
Non fecero in tempo a muovere due passi quando un rumore, un rumore sordo, possente, grave, apocalittico, scosse in un'esplosione la Terra fin nelle sue viscere, inghiottendo in sé l'ipocrisia dell'uomo moderno. Era finita in un nanosecondo una vita di elucubrazioni umane. Evidentemente il Big Ben quel giorno andava avanti di un minuto. O forse i due amici avevano esagerato con il gin.
21 dicembre 2012.
Ore 7.00
Dopo che le prime luci dell'alba ebbero irradiato, apparentemente come ogni altro giorno, la metà di mondo che competeva al sole a quell'ora, nelle principali città europee la vita intesa nel suo senso umano riprendeva forma. Pendolari, scolari, lavoratori si tiravano su dal letto e si trascinavano, vinti dalla forza d'inerzia, verso il loro ultimo o penultimo giorno di attività prima delle meritate vacanze di natale.
I più rilassati (insomma, quelli che avevano ancora tempo) prendevano la loro colazione, in casa, alcuni ancora in pigiama, e tra questi un gruppo accendeva come di consueto la propria radio, un po' per farsi dare la carica giusta per affrontare la giornata, un po' per informarsi sui fatti del giorno. E che giorno! I DJ di tutte le stazioni radiofoniche non avevano perso assolutamente tempo e dunque già si parlava (o meglio, si straparlava) di quello che era (o sarebbe dovuto essere) quel giorno: la fine del mondo così come lo conosciamo. Con voci sarcasticamente apocalittiche e profetiche i conduttori elencavano a mo' di scherzo tutte le catastrofi che sarebbero dovute avvenire, secondo i pessimisti, quel giorno: eruzioni, terremoti, maremoti, alluvioni. Intanto pensavano a un'alluvione ben precisa, ossia alla pioggia di denaro che sarebbe piovuta nel loro conto grazie agli ascolti di quella mattina.
Ridacchiando qua e là della profezia dei Maya, una volta per tutte smentita, la popolazione europea imburrava il suo pane, gustava il suo caffè, stuzzicava il suo bacon con le uova oppure semplicemente si faceva la barba fischiettando. Chi sentiva il tempo stringere per andare al lavoro si affrettava a correre nella doccia, spogliandosi, vinta dal freddo.
21 dicembre 2012.
Ore 9.30
Ormai la popolazione sopra citata era già in piena attività lavorativa, noncurante di ciò che di lì a poco sarebbe potuto succedere. I bambini erano tra i banchi a tirarsi palline di carta cercando di non farsi scoprire dalla maestra, i ragazzi più grandi scaldavano le sedie cercando di pensare all'algebra e non alle imminenti vacanze di natale, gli adulti lavoravano di gran lena, pensando al gravoso e faticoso shopping natalizio.
Ma nelle scuole e negli uffici, prima di iniziare l'ennesima giornata, non era mancata una parola di riso e biasimo nei confronti della ridicola profezia Maya. Si vedevano tragedie? Terremoti di alcun tipo? La neve cadeva a grandi fiocchi sulla Mitteleuropa ed anche quella del sud non se la passava peggio. I bambini attendevano Babbo Natale e gli adulti si mordevano le labbra pensando a come far quadrare i conti: tutto era invariato.
Nel frattempo coloro che credevano ciecamente nella profezia rivedevano le proprie scartoffie e le proprie carte, cercando la minima cosa che avrebbe potuto aumentare la fiducia nella propria fede, dal minimo errore di calcolo alla massima lettura traslata od obliqua possibile; ma niente sembrava dar loro ragione. In quel momento avrebbero voluto mettere la mano fuori dalla finestra e sentire una caustica pioggia acida forare i loro palmi, come dei moderni martiri: ma sentivano solo docile neve e avrebbero voluto ferirsi a morsi, pur di non ammettere il torto nemmeno di fronte ai propri, paonazzi volti.
21 dicembre 2012.
Ore 12.00
Roma. Era giorno di grande attività giù al Vaticano: cardinali, arcivescovi, vescovi più o meno importanti discutevano animatamente di come avrebbero sfruttato la già prevista smentita della profezia Maya. La Bibbia si chiudeva con l'Apocalisse, questo era certo, ma se quel giorno non era ancora arrivato, a loro parere, “lo si doveva solo a Dio Onnipotente”. Alla fine, quando il pontefice arrivò per farsi comunicare la decisione del conclave e degli arcivescovi, gli si disse ciò: “Con l'avanzare delle cosiddette verità scientifiche, con l'incalzare della vita moderna con le sue caratteristiche meccaniche e concrete, la gente sta perdendo spiritualità. Con la spiritualità perdono fede. Con la loro perdita di fede noi perdiamo consensi. Bisogna evitare di ridicolizzare la profezia, bisogna darle solide basi comprovate, in modo tale da attribuire la “salvezza” a Dio. Dobbiamo riattrarre le pecorelle all'ovile e le loro donazioni nelle nostre banche.”. Il Papa, tanto laconicamente quanto ironicamente, mosse la mano destra a mo' di segno della croce e si allontanò: era venerdì, sapeva cosa avrebbe detto nella messa di domenica 23.
21 dicembre 2012.
Ore 17.00
Le strade di Berlino brulicavano di genitori e figli, di famiglie (almeno apparentemente) felici. Nevicava abbondantemente, la vita procedeva verso il progresso; l'umanità aveva superato anche la fine del mondo e ne era felice. I telegiornali pomeridiani non mancavano, tra una notizia ministeriale, una riunione di gabinetto e una sparatoria di cronaca, di scagliare la consueta frecciatina ai fanatici e agli avvelenatori che ormai da due anni infestavano il mondo con il loro pessimismo. Il mondo doveva andare avanti, il Progresso era inarrestabile e, superata la paura da ennesima fine del mondo, l'umanità, sola o meno, era pronta ad andare avanti.
21 dicembre 2012.
Ore 23.00
Due amici attraversavano passeggiando e chiacchierando del più e del meno le strade di Londra. Erano entrambi due tipi solitari, si erano trovati quasi per caso, stavano bene da soli e non volevano nessun altro; di grande cultura artistica, scientifica e letteraria, calciavano la neve con un'aria preoccupata. In particolare uno dei due aveva assunto un'espressione particolarmente grigia e taciturna. Tacque.
21 dicembre 2012.
Ore 23.57
Tacque per quasi un'ora e l'altro non lo interruppe. Il primo volse lo sguardo al grande orologio del Big Ben, che ormai segnava inesorabilmente le 23.58: il giorno volgeva al termine. Finalmente prese parola: “Alla fine i Maya avevano ragione.” L'altro, tra lo stupito e l'incuriosito, lo guardava con sguardo indagatore: mai il tempo era stato più calmo, mai il cielo così terso, mai l'aria così leggera. Niente lasciava presagire ad alcuna catastrofe, ed anche se fosse stata prossima, non sarebbe stato spiegabile come un qualsiasi studente sarebbe stato in grado di prevederla.
“Non capisci? - proseguì – è questa la fine del mondo. Guardati intorno. Un mondo, almeno per noi umani, ormai invivibile. Frenesie, lavori, ipocrisie. Guarda la gente intorno a te. Guarda come si affannava, fino a qualche ora fa, tra pacchi e pacchetti, con quel sorriso preconfezionato dipinto sulla faccia. Che schifo.” Sputò a terra, poi proseguì. “Lo vedi questo sputo? Questo sputo è per i Maya che hanno dannatamente indovinato. Siamo dannati a proseguire così, a continuare a trascinarci e barcamenarci qua e là, sopra e sotto. Per quanto? Chi lo può sapere? I Maya avevano solo previsto che oggi ci sarebbe stata una catastrofe. E c'è stata: la vita moderna domani, anzi – guardò l'orologio – oggi, 22 dicembre 2012, riprenderà come tutto il resto dell'anno, e si trascinerà con tutte le sue rughe, le sue falsità, i suoi ritmi inutilmente insostenibili, i suoi finti amori e le sue finte cortesie, e io non avrò il piacere di chiudere gli occhi felice. Che la vita continui. Questi idioti non hanno capito nulla.”
Non fecero in tempo a muovere due passi quando un rumore, un rumore sordo, possente, grave, apocalittico, scosse in un'esplosione la Terra fin nelle sue viscere, inghiottendo in sé l'ipocrisia dell'uomo moderno. Era finita in un nanosecondo una vita di elucubrazioni umane. Evidentemente il Big Ben quel giorno andava avanti di un minuto. O forse i due amici avevano esagerato con il gin.
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