Proprio come ha agito Pipwolf, anche io, non avendo attualmente la benché minima voglia di affilare quattro concetti, vi ripropongo un mio topic aperto e pensato per un altro forum, nella speranza che si sviluppi meno frettolosamente.
Il titolo del topic era quello di una poesia di Carducci ma, avendolo già usato per un altro argomento in questo forum, mi limito a copia incollare mestamente.
Il titolo mente: non mi credo un novello Carducci, né ho passato queste tre settimane nella regione dello spumante; semplicemente, dopo lunghe elucubrazioni circa la scelta di un titolo appropriato e pregnante, che segnasse come la venuta di un gran Re, la mia scelta è ricaduta sulla poesia che in quel momento mi ronzava nelle orecchie, senza una precisa ragione: così, pirandellianamente, nella quotidiana e ingiustificata inerzia del mondo.
Prima di tutto, non è mia intenzione farvi un resoconto della mia esperienza estiva: questo perché, al di là della pochezza di materiale e del dubbio interesse dello stesso, il mio desiderio di distinzione non mi permetterebbe di raffigurarmi come un patetico adolescente che insegue le solite chimere tipiche dell'età: come conciliare, ve ne cito una, quel ribollire furente interiore con la tranquillità — e noia — mondana; come addomesticare il proprio desiderio di trascendere e piegarlo, definitivamente, al ritmo molto poco frenetico dell'universo stesso; come scongiurare l'ipotesi di diventare proprio come quegli esseri logori e decrepiti che tanto ci spaventano, senza rifugiarsi dietro le velleitarie e rassegnare ribellioni della massa (lubrense).
Con questi e molti altri "problemi esistenziali", ho avviato una ricerca interiore che si è andata a riflettere, inevitabilmente, sulle altrui vite: in particolare, sono rimasto affascinato dalle cosiddette costrizioni estive. Vale a dire: quelle azioni che bisogna compiere per forza nel proprio periodo d vacanza, col rischio, altrimenti, di passare per mostri e di trasformare la tranquillità in una veloce e meschina discesa agli inferi, costretti ad osservare quell'immobile eliso, inventato dalla fantasia dei vacanzieri privi di qualsiasi scopo di sorta. Insomma, ho riscontrato ad un altro livello l'impellenza umana di legarsi ad altri, sia pure per partito preso e per sentito dire, in un periodo che dovrebbe essere esente da questi infernali desii.
Ma siamo fuori tema: questo 3D non vuole parlare della mia singolare (o non singolare) asocialità, ma della idea che si è cominciata a formare dentro di me alla contemplazione di questi forzati e labili legami, creati per sopperire evidentemente a mancanze situate negli emisferi del cervello. Supplico i sostenitori della razionalità di non attaccarmi con troppa energia, perché una parte enorme di me condivide le vostre idee e condanna ciò che sto per scrivere.
La gente ama usare la frase fatta, erroneamente e ripetutamente attribuita a Jim Morrison (come tutte le altre circolanti per la rete), che "sono meglio i rimorsi dei rimpianti": io sostengo l'esatto contrario (poteva, del resto, una personalità freneticamente anticorformista adeguarsi all'opinione comune e minare i propri punti fondamentali?). O meglio, sostengo, stranamente, una via di mezzo: la superiorità del condizionale sull'indicativo (che implica la superiorità del fantastico sul reale e di internet sulla vita reale).
In parole molto povere, l'indicativo fornisce obbligatoriamente un unico percorso, coi relativi rimorsi o rimpianti che, per quanto solido e vivido nella sua tangibilità, non può che avviare pensieri sul "cosa sarebbe successo se...", lasciando un interrogativo aperto che, per alcuni — me — arriva a costituire un vero e proprio chiodo fisso, più lancinante del dolore reale e più sconfortante di quanto sia caldo il conforto derivato da qualche relazione interpersonale. Senza giri di parole, per me è impossibile operare una scelta senza pensare a tutte le altre possibilità e questo difetto mi ha sempre cagionato una ferita malinconica e una indecisione da babbeo (spesso sfociata nell'astensione).
Il condizionale, al contrario, per quanto vaporoso possa essere il modo che regala, ti permette di spaziare e di abbracciare tutte le strade che si vuole, annientando per preferibilità, qualità e quindi, in un certo senso, quantità il sentiero (sempre angusto, poco vario e poco propenso ai famosi "voli") datoci dall'indicativo. Per farvi un esempio concreto, ho constatato di poter immaginare scenari fantastici con qualsiasi bella ragazza ch'io incontrassi, figurandomi intrighi e gestendo chiunque vedessi come una marionetta: io ero il burattinaio che tendeva i fili invisibili, insomma, un'entità rassomigliante a Dio. Arrivavo sino a sentire la mancanza reale delle persone che gestivo e che osservavo anche solo per qualche secondo, segno di come possa diventare reale l'irreale, attraverso il filtro della percezione. Grande difetto, questo, perché si mischiavano reale ed irreale, un po' come capita in internet: il dolore riusciva comunque a prendermi, malgrado mi fossi costruito una protezione che stimavo efficace.
Evitare il dolore rifugiandosi nel limbo dell'irreale: cosa ne pensate? Avete pensato mai ad esperienze analoghe? Come è stata la vostra astrazione? Siete riusciti ad accantonare il vostro corpo e a dedicarvi interamente ai viaggi fantastici?
Il titolo del topic era quello di una poesia di Carducci ma, avendolo già usato per un altro argomento in questo forum, mi limito a copia incollare mestamente.
Il titolo mente: non mi credo un novello Carducci, né ho passato queste tre settimane nella regione dello spumante; semplicemente, dopo lunghe elucubrazioni circa la scelta di un titolo appropriato e pregnante, che segnasse come la venuta di un gran Re, la mia scelta è ricaduta sulla poesia che in quel momento mi ronzava nelle orecchie, senza una precisa ragione: così, pirandellianamente, nella quotidiana e ingiustificata inerzia del mondo.
Prima di tutto, non è mia intenzione farvi un resoconto della mia esperienza estiva: questo perché, al di là della pochezza di materiale e del dubbio interesse dello stesso, il mio desiderio di distinzione non mi permetterebbe di raffigurarmi come un patetico adolescente che insegue le solite chimere tipiche dell'età: come conciliare, ve ne cito una, quel ribollire furente interiore con la tranquillità — e noia — mondana; come addomesticare il proprio desiderio di trascendere e piegarlo, definitivamente, al ritmo molto poco frenetico dell'universo stesso; come scongiurare l'ipotesi di diventare proprio come quegli esseri logori e decrepiti che tanto ci spaventano, senza rifugiarsi dietro le velleitarie e rassegnare ribellioni della massa (lubrense).
Con questi e molti altri "problemi esistenziali", ho avviato una ricerca interiore che si è andata a riflettere, inevitabilmente, sulle altrui vite: in particolare, sono rimasto affascinato dalle cosiddette costrizioni estive. Vale a dire: quelle azioni che bisogna compiere per forza nel proprio periodo d vacanza, col rischio, altrimenti, di passare per mostri e di trasformare la tranquillità in una veloce e meschina discesa agli inferi, costretti ad osservare quell'immobile eliso, inventato dalla fantasia dei vacanzieri privi di qualsiasi scopo di sorta. Insomma, ho riscontrato ad un altro livello l'impellenza umana di legarsi ad altri, sia pure per partito preso e per sentito dire, in un periodo che dovrebbe essere esente da questi infernali desii.
Ma siamo fuori tema: questo 3D non vuole parlare della mia singolare (o non singolare) asocialità, ma della idea che si è cominciata a formare dentro di me alla contemplazione di questi forzati e labili legami, creati per sopperire evidentemente a mancanze situate negli emisferi del cervello. Supplico i sostenitori della razionalità di non attaccarmi con troppa energia, perché una parte enorme di me condivide le vostre idee e condanna ciò che sto per scrivere.
La gente ama usare la frase fatta, erroneamente e ripetutamente attribuita a Jim Morrison (come tutte le altre circolanti per la rete), che "sono meglio i rimorsi dei rimpianti": io sostengo l'esatto contrario (poteva, del resto, una personalità freneticamente anticorformista adeguarsi all'opinione comune e minare i propri punti fondamentali?). O meglio, sostengo, stranamente, una via di mezzo: la superiorità del condizionale sull'indicativo (che implica la superiorità del fantastico sul reale e di internet sulla vita reale).
In parole molto povere, l'indicativo fornisce obbligatoriamente un unico percorso, coi relativi rimorsi o rimpianti che, per quanto solido e vivido nella sua tangibilità, non può che avviare pensieri sul "cosa sarebbe successo se...", lasciando un interrogativo aperto che, per alcuni — me — arriva a costituire un vero e proprio chiodo fisso, più lancinante del dolore reale e più sconfortante di quanto sia caldo il conforto derivato da qualche relazione interpersonale. Senza giri di parole, per me è impossibile operare una scelta senza pensare a tutte le altre possibilità e questo difetto mi ha sempre cagionato una ferita malinconica e una indecisione da babbeo (spesso sfociata nell'astensione).
Il condizionale, al contrario, per quanto vaporoso possa essere il modo che regala, ti permette di spaziare e di abbracciare tutte le strade che si vuole, annientando per preferibilità, qualità e quindi, in un certo senso, quantità il sentiero (sempre angusto, poco vario e poco propenso ai famosi "voli") datoci dall'indicativo. Per farvi un esempio concreto, ho constatato di poter immaginare scenari fantastici con qualsiasi bella ragazza ch'io incontrassi, figurandomi intrighi e gestendo chiunque vedessi come una marionetta: io ero il burattinaio che tendeva i fili invisibili, insomma, un'entità rassomigliante a Dio. Arrivavo sino a sentire la mancanza reale delle persone che gestivo e che osservavo anche solo per qualche secondo, segno di come possa diventare reale l'irreale, attraverso il filtro della percezione. Grande difetto, questo, perché si mischiavano reale ed irreale, un po' come capita in internet: il dolore riusciva comunque a prendermi, malgrado mi fossi costruito una protezione che stimavo efficace.
Evitare il dolore rifugiandosi nel limbo dell'irreale: cosa ne pensate? Avete pensato mai ad esperienze analoghe? Come è stata la vostra astrazione? Siete riusciti ad accantonare il vostro corpo e a dedicarvi interamente ai viaggi fantastici?
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