Natale. La sua influenza si percepisce a distanza di settimane, il suo respiro mefitico non risparmia nessuno. Uomini perfettamente incongruenti, tutti affaccendati, si precipitano nei negozi alla ricerca di una qualche giustificazione: un percorso catartico? Di sicuro è la gioia per i ventri di pasciuti industriali, che ridono sguaiati in cene degne di sovrani orientali.
Una leggera brezza invernale frantuma le labbra e gela il cervello, mentre schegge di malvagia bontà si insinuano nell'uomo timorato. Tutto diventa un'orgia di morale e stolidità, anche il più savio resta impelagato in queste vischiose sabbie mobili. Un imperioso "DEVI" riecheggia e stordisce anche l'uomo più retto.
In vero, lo spirito natalizio è contagioso, si trasmette per imposizione: se vuoi essere perfettamente inserito nel mondo sociale, non puoi sottrarti a questi doveri! Quante persone rabbiose e tristi vengono costrette ad un finto sorriso per non deludere chi stia loro intorno? Quanti di noi vorrebbero allontanarsi per un po' da questi ambienti frenetici ed insensati, ma sono obbligati a presentarsi felici e spensierati al giudizio di una severa parentela?
In molti decidono di prendere il largo e di dirigersi verso sponde più "vacanziere", idonee alle festività, adatte ad ingerire la sazietà per rinnovare il bisogno di lavoro. Ma è un esodo ilusorio, una fuga ingannevole: dai problemi non si scappa. Diverse isolette oceaniche, elisi per lassi occidentali, si gonfiano fino ad esplodere, mutandosi in succursali di questa Europa dissoluta. Insomma, per allontanarsi dalla mestizia invernale, si finisce schiacciati in qualche prigione del pacifico, con la precisa convinzione che quella sosta possa rinvigorire un punto imprecisato della nostra testa o le membra stanche per la troppa laboriosità. Non è anche questa una sciocca tradizione, un assoggettamento del clima natalizio?
Veniamo alla parte più schifosamente ipocrita del discorso: gli auguri. Sotto l'incombente pressione atmosferica e le richieste di intransigenti creditori, svolazzano piacevolmente auguri per un buon natale ed un felice anno nuovo. Anno nuovo? 365 (366, negli anni bisestili) giorni di sofferenza!
Nel momento in cui si vorrebbe piangere per la propria miseria e per le proprie sventure, Babbo Natale, munito di sagaci pinzette, tende le nostre facce provate e le nostre pigre corde vocali: "Auguri, buone feste, buon natale!". Avremmo voglia di fare un falò delle nostre carni, ma dobbiamo improvvisarci attori. Le nostre maschere rabbuiate dispensano una felicità di plastica, mentre nuvole portatrici di esaurimento folleggiano sulle nostre ignare teste.
Qualcuno ha anche il coraggio di reprimere i miei istinti delittuosi.
Una leggera brezza invernale frantuma le labbra e gela il cervello, mentre schegge di malvagia bontà si insinuano nell'uomo timorato. Tutto diventa un'orgia di morale e stolidità, anche il più savio resta impelagato in queste vischiose sabbie mobili. Un imperioso "DEVI" riecheggia e stordisce anche l'uomo più retto.
In vero, lo spirito natalizio è contagioso, si trasmette per imposizione: se vuoi essere perfettamente inserito nel mondo sociale, non puoi sottrarti a questi doveri! Quante persone rabbiose e tristi vengono costrette ad un finto sorriso per non deludere chi stia loro intorno? Quanti di noi vorrebbero allontanarsi per un po' da questi ambienti frenetici ed insensati, ma sono obbligati a presentarsi felici e spensierati al giudizio di una severa parentela?
In molti decidono di prendere il largo e di dirigersi verso sponde più "vacanziere", idonee alle festività, adatte ad ingerire la sazietà per rinnovare il bisogno di lavoro. Ma è un esodo ilusorio, una fuga ingannevole: dai problemi non si scappa. Diverse isolette oceaniche, elisi per lassi occidentali, si gonfiano fino ad esplodere, mutandosi in succursali di questa Europa dissoluta. Insomma, per allontanarsi dalla mestizia invernale, si finisce schiacciati in qualche prigione del pacifico, con la precisa convinzione che quella sosta possa rinvigorire un punto imprecisato della nostra testa o le membra stanche per la troppa laboriosità. Non è anche questa una sciocca tradizione, un assoggettamento del clima natalizio?
Veniamo alla parte più schifosamente ipocrita del discorso: gli auguri. Sotto l'incombente pressione atmosferica e le richieste di intransigenti creditori, svolazzano piacevolmente auguri per un buon natale ed un felice anno nuovo. Anno nuovo? 365 (366, negli anni bisestili) giorni di sofferenza!
Nel momento in cui si vorrebbe piangere per la propria miseria e per le proprie sventure, Babbo Natale, munito di sagaci pinzette, tende le nostre facce provate e le nostre pigre corde vocali: "Auguri, buone feste, buon natale!". Avremmo voglia di fare un falò delle nostre carni, ma dobbiamo improvvisarci attori. Le nostre maschere rabbuiate dispensano una felicità di plastica, mentre nuvole portatrici di esaurimento folleggiano sulle nostre ignare teste.
Qualcuno ha anche il coraggio di reprimere i miei istinti delittuosi.
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