L'espressione che ho sempre amato, sin dal coreutico time skip zuccherato del film di Tarzan. Col senno di poi, scopro che diventare grandi significa corrompersi, peggiorare, avvelenarsi, invecchiare, morire. Controllare una liana con maestria è il segnale ultimo della fine, scalare la gerarchia orango-scimmiesca significa solo avvicinarsi al Vuoto: chi guarderò, una volta raggiunto l'agognato vertice? A quali scalini sottili anelerò nelle ansiose veglie?
Rifiutare la crescita significa perdere ugualmente il candore infantile, quella spinta istintuale che percorreva mentalmente i plateaux sconfinati dell'orografia sociale...significherebbe mentire a se stessi, rifiutare i villosi petti e le tonalità cavernose, volgere lo sguardo al pavimento per non dovere ammettere di essere più alto dei giganti infantili. Non assaporare più il mondo per quello che è, ma vederlo attraverso il filtro di formae mentis cristallizzate da rigidi educatori e da inverni sempre più impietosi, costretti ad emanciparsi per le tirannie genetiche e le norme del branco: soli, eternamente soli. Nessun cartone animato suggerirà analogie con amorosi intrecci elementari, né visitare luoghi cari potrà mai permettere di riappropriarsi di quei fantastici ricordi vagheggiati in un sogno turbolento interrotto da una sveglia antelucana. Ogni cosa sarà svuotata di quel fascino misterico per diventare banale, già visto, già sviscerato e intascato, inutile fastidio da cui affrancarsi per violentarsi in gelide settimane bianche — quasiché la neve potesse scancellare anni di torbida e collosa esistenza.
Intanto, il tubo di latta colorata collocato nella zona nordest di un centro commerciale farà un verso panpsichico: mai desiderare di essere grandi per tenere testa ad un adulto insolente! La sua insolenza cela rassegnazione e disincanto, ma l'ignoranza (l'inabitudine) è forza, è potenza, è l'anima del mondo.
Rifiutare la crescita significa perdere ugualmente il candore infantile, quella spinta istintuale che percorreva mentalmente i plateaux sconfinati dell'orografia sociale...significherebbe mentire a se stessi, rifiutare i villosi petti e le tonalità cavernose, volgere lo sguardo al pavimento per non dovere ammettere di essere più alto dei giganti infantili. Non assaporare più il mondo per quello che è, ma vederlo attraverso il filtro di formae mentis cristallizzate da rigidi educatori e da inverni sempre più impietosi, costretti ad emanciparsi per le tirannie genetiche e le norme del branco: soli, eternamente soli. Nessun cartone animato suggerirà analogie con amorosi intrecci elementari, né visitare luoghi cari potrà mai permettere di riappropriarsi di quei fantastici ricordi vagheggiati in un sogno turbolento interrotto da una sveglia antelucana. Ogni cosa sarà svuotata di quel fascino misterico per diventare banale, già visto, già sviscerato e intascato, inutile fastidio da cui affrancarsi per violentarsi in gelide settimane bianche — quasiché la neve potesse scancellare anni di torbida e collosa esistenza.
Intanto, il tubo di latta colorata collocato nella zona nordest di un centro commerciale farà un verso panpsichico: mai desiderare di essere grandi per tenere testa ad un adulto insolente! La sua insolenza cela rassegnazione e disincanto, ma l'ignoranza (l'inabitudine) è forza, è potenza, è l'anima del mondo.
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