Origini demonologiche del marxismo
Premessa
"proletari di tutti i paesi, unitevi!" esortava il noto giornalista e scrittore politico tedesco karl heinrich marx (1818-1883) nel 1848. Lo slogan era 'preso in prestito' da karl schapper e riportato in quel manifest der kommunistischen partei che, uniformandosi al dibattito inglese, egli aveva pubblicato a londra insieme all'amico friedrich engels (1820-1895). Esso rappresentava, secondo l'auspicio dell'autore stesso, il 'catechismo' su cui formare le future generazioni socialiste; lo strumento attraverso il quale abbattere tutte le religioni e tutte le morali, rendendo ogni cosa permissibile. Le credenze religiose vennero bollate nell'introduzione al saggio del 1843 zur kritik der hegelschen rechtsphilosophie - ovvero: per la critica della filosofia del diritto di hegel - come 'oppio dei popoli' (opium des völks). Si rilevi, incidentalmente, come la scarsa originalità di marx lo condannasse a copiare anche questa famigerata definizione da un altro autore: in questo caso il debito è nei confronti di heinrich heine.
Tuttavia, se l'invito all'unità della classe operaia costituiva la celebre chiusura del manifesto, l'incipit non è certo meno conosciuto, giacché recava insita in sé una formidabile sintesi del clima politico che caratterizzava il vecchio continente alla metà dell'ottocento. "uno spettro si aggira per l'europa: lo spettro del comunismo", era l'inquietante monito dei due teorici del socialismo, soi-disant, 'scientifico'. Ma cos'era, in realtà, quello 'spettro'? Quali intenti animavano marx nella sua opera teorica in favore della costituzione della prima 'società senza classi' nella storia umana? E la sua metodologia può, oggettivamente, definirsi 'scientifica'?
Rigurgiti trockijsti
Tutti questi interrogativi, tanto elementari quanto fondamentali, hanno già trovato alcune parziali risposte in attenti lavori di ricerca condotti da numerosi studiosi nelle varie discipline in cui ha spaziato l'opera marxiana. Tali studi hanno decretato l'inesorabile distruzione del complesso, ma fragile, castello intellettuale che avrebbe dovuto sorreggere anche tutta la successiva produzione di scuola marxista, sebbene troppo raramente ciò venga rammentato alla pubblica opinione. Al di là dei compiacenti ritratti che ne hanno fatto propagandisti tendenziosi, è stato ampiamente rilevato come -con le parole di paul johnson- "egli non fu né uno studioso né uno scienziato. Non gli interessava trovare la verità, bensì proclamarla", tanto che è stato perfino possibile decretare come si mostrasse "del tutto privo di vocazione scientifica: in realtà, per quanto attiene alle questioni di fondo, egli era addirittura antiscientifico".
Gli accenti misticheggianti ed apocalittici che connotano le sue opere hanno indotto importanti studiosi a parlare di lui, piuttosto, nei termini di uno scrittore 'escatologico'. Nonostante l'evidenza dei fatti, molto spesso, gli intellettuali 'progressisti' si nascondono dietro a un dito, arrivando perfino -con un tardivo rigurgito di opportunistico e strumentale trockijsmo- a negare che vi siano connessioni strette fra il comunismo teorizzato e quello realizzato. In tal modo, essi vorrebbero escludere che quel fallimento clamoroso, col quale si è tragicamente decretata la sconfitta del socialismo 'reale', possa in alcun modo scalfire la validità di quello ideale.
L'amara verità è che molti tiranni hanno massacrato i loro popoli in nome della lieta novella social-comunista, attraverso cui si annunciava l'instaurazione di un mondo migliore senza più diseguaglianze né ingiustizie. Assai spesso, quei tiranni assassini non soltanto erano attenti lettori della produzione filosofica, economica e sociologica marx-engelsiana, ma alacri teorici essi stessi. Lenin docet: comunismo-socialismo ideale = comunismo-socialismo reale.
Una teoria senza alcun fondamento
La filosofia marxiana, improntata al metodo dialettico, pretendeva di ridurre la complessità della vita terrena ad una mera questione materiale: soltanto la sfera dell'economia aveva infatti dignità di 'struttura' fondante nel contesto dell'intera 'formazione sociale' (gesellschaftsformation), dove tutto il resto veniva considerato 'sovrastruttura' (überbau). Questa estrema semplificazione dell'elaborato sistema che filtra attraverso il pensiero di marx, non ne stravolge tuttavia il messaggio essenziale, che riconduce a quel 'materialismo storico' nel quale il filosofo di treviri individuava la vera causa delle continue 'lotte di classi' che, a suo dire, avevano da sempre caratterizzato l'esistenza dell'uomo su questa terra.
Tutta l'argomentazione circa lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, utilizzata da marx per dimostrare la pressante esigenza di quell'unione di tutti i proletari del mondo -in una parola, l'intera dottrina sociale su cui poggiava il marxismo-, era basata sulla famigerata teoria del 'plusvalore' (surplus value), conseguenza e logico (ancorché capzioso) sviluppo della teoria del 'valore-lavoro' che avevano formulato gli economisti anglosassoni della scuola classica.
Già nel 1896, ad appena due anni dalla pubblicazione postuma dell'ultimo fra i volumi che componevano il trattato das kapital (che costituiva il magnum opus in cui marx aveva esposto le proprie teorie), il celebre economista di scuola austriaca eugen von bohm-bawerk (1851-1914) demolì i sofismi del filosofo tedesco nel proprio saggio zum abschluss des marxschen system, mostrandone i gravi vizi logici intrinseci. D'un soffio svanivano, così, tutte le argomentazioni ed arguzie di cui marx si era servito per attribuire al proprio sistema quel crisma di presunta 'scientificità' di cui si diceva.
Al giorno d'oggi la teoria del 'plusvalore' è stata del tutto abbandonata e in ambiente accademico viene unanimemente ritenuta -nelle parole dell'economista francesco vito- "una nozione che non può in nessun modo essere utilizzata dalla scienza economica, a cagione della fallacia dei fondamenti su cui riposa", al punto che, addirittura, "non merita un posto nello svolgimento storico della teoria del valore". Ecco demolita, in un sol colpo e dalle fondamenta, tutta la dottrina della lotta di classe. Non si può, infatti, fare a meno di concordare con il marxista austriaco rudolf hilferding (1877-1941) nel sostenere l'indissolubilità del legame ideale che univa l'analisi economica di marx alla sua filosofia. Nel 1904, replicando a la critica di bohm-bawerk a marx, egli affermava correttamente come il problema non si ponesse a livello semplicemente economico: l'analisi materialistica dell'economia non poteva essere giudicata indipendentemente dal materialismo storico-dialettico; al contrario, essa ne costituiva la mera applicazione al campo economico. Ciò implica, mutatis mutandis, la validità anche del ragionamento inverso.
Dunque, la teoria marxiana, ben lungi dal rappresentare un caso di ricerca scientifica, costituirebbe, piuttosto, un icastico esempio di mistificazione ideologica. Peraltro, lo stesso marx ammise apertamente nel suo poema su hegel: "parole che insegno, tutte mescolate / in un pasticcio diabolico. / così, chiunque può pensare proprio quello / che preferisce pensare". D'altra parte, era già noto ai suoi biografi come egli fosse avvezzo all'alterazione dei dati che contraddicevano le proprie tesi. Ma quale intento, allora, animava realmente questa discussa figura intellettuale? Se non si trattava dell'emancipazione della classe lavoratrice, a cosa si mirava, realmente, con quel guazzabuglio di arcane e cervellotiche teorie, con quel "pasticcio diabolico", secondo le sue stesse parole?
Premessa
"proletari di tutti i paesi, unitevi!" esortava il noto giornalista e scrittore politico tedesco karl heinrich marx (1818-1883) nel 1848. Lo slogan era 'preso in prestito' da karl schapper e riportato in quel manifest der kommunistischen partei che, uniformandosi al dibattito inglese, egli aveva pubblicato a londra insieme all'amico friedrich engels (1820-1895). Esso rappresentava, secondo l'auspicio dell'autore stesso, il 'catechismo' su cui formare le future generazioni socialiste; lo strumento attraverso il quale abbattere tutte le religioni e tutte le morali, rendendo ogni cosa permissibile. Le credenze religiose vennero bollate nell'introduzione al saggio del 1843 zur kritik der hegelschen rechtsphilosophie - ovvero: per la critica della filosofia del diritto di hegel - come 'oppio dei popoli' (opium des völks). Si rilevi, incidentalmente, come la scarsa originalità di marx lo condannasse a copiare anche questa famigerata definizione da un altro autore: in questo caso il debito è nei confronti di heinrich heine.
Tuttavia, se l'invito all'unità della classe operaia costituiva la celebre chiusura del manifesto, l'incipit non è certo meno conosciuto, giacché recava insita in sé una formidabile sintesi del clima politico che caratterizzava il vecchio continente alla metà dell'ottocento. "uno spettro si aggira per l'europa: lo spettro del comunismo", era l'inquietante monito dei due teorici del socialismo, soi-disant, 'scientifico'. Ma cos'era, in realtà, quello 'spettro'? Quali intenti animavano marx nella sua opera teorica in favore della costituzione della prima 'società senza classi' nella storia umana? E la sua metodologia può, oggettivamente, definirsi 'scientifica'?
Rigurgiti trockijsti
Tutti questi interrogativi, tanto elementari quanto fondamentali, hanno già trovato alcune parziali risposte in attenti lavori di ricerca condotti da numerosi studiosi nelle varie discipline in cui ha spaziato l'opera marxiana. Tali studi hanno decretato l'inesorabile distruzione del complesso, ma fragile, castello intellettuale che avrebbe dovuto sorreggere anche tutta la successiva produzione di scuola marxista, sebbene troppo raramente ciò venga rammentato alla pubblica opinione. Al di là dei compiacenti ritratti che ne hanno fatto propagandisti tendenziosi, è stato ampiamente rilevato come -con le parole di paul johnson- "egli non fu né uno studioso né uno scienziato. Non gli interessava trovare la verità, bensì proclamarla", tanto che è stato perfino possibile decretare come si mostrasse "del tutto privo di vocazione scientifica: in realtà, per quanto attiene alle questioni di fondo, egli era addirittura antiscientifico".
Gli accenti misticheggianti ed apocalittici che connotano le sue opere hanno indotto importanti studiosi a parlare di lui, piuttosto, nei termini di uno scrittore 'escatologico'. Nonostante l'evidenza dei fatti, molto spesso, gli intellettuali 'progressisti' si nascondono dietro a un dito, arrivando perfino -con un tardivo rigurgito di opportunistico e strumentale trockijsmo- a negare che vi siano connessioni strette fra il comunismo teorizzato e quello realizzato. In tal modo, essi vorrebbero escludere che quel fallimento clamoroso, col quale si è tragicamente decretata la sconfitta del socialismo 'reale', possa in alcun modo scalfire la validità di quello ideale.
L'amara verità è che molti tiranni hanno massacrato i loro popoli in nome della lieta novella social-comunista, attraverso cui si annunciava l'instaurazione di un mondo migliore senza più diseguaglianze né ingiustizie. Assai spesso, quei tiranni assassini non soltanto erano attenti lettori della produzione filosofica, economica e sociologica marx-engelsiana, ma alacri teorici essi stessi. Lenin docet: comunismo-socialismo ideale = comunismo-socialismo reale.
Una teoria senza alcun fondamento
La filosofia marxiana, improntata al metodo dialettico, pretendeva di ridurre la complessità della vita terrena ad una mera questione materiale: soltanto la sfera dell'economia aveva infatti dignità di 'struttura' fondante nel contesto dell'intera 'formazione sociale' (gesellschaftsformation), dove tutto il resto veniva considerato 'sovrastruttura' (überbau). Questa estrema semplificazione dell'elaborato sistema che filtra attraverso il pensiero di marx, non ne stravolge tuttavia il messaggio essenziale, che riconduce a quel 'materialismo storico' nel quale il filosofo di treviri individuava la vera causa delle continue 'lotte di classi' che, a suo dire, avevano da sempre caratterizzato l'esistenza dell'uomo su questa terra.
Tutta l'argomentazione circa lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, utilizzata da marx per dimostrare la pressante esigenza di quell'unione di tutti i proletari del mondo -in una parola, l'intera dottrina sociale su cui poggiava il marxismo-, era basata sulla famigerata teoria del 'plusvalore' (surplus value), conseguenza e logico (ancorché capzioso) sviluppo della teoria del 'valore-lavoro' che avevano formulato gli economisti anglosassoni della scuola classica.
Già nel 1896, ad appena due anni dalla pubblicazione postuma dell'ultimo fra i volumi che componevano il trattato das kapital (che costituiva il magnum opus in cui marx aveva esposto le proprie teorie), il celebre economista di scuola austriaca eugen von bohm-bawerk (1851-1914) demolì i sofismi del filosofo tedesco nel proprio saggio zum abschluss des marxschen system, mostrandone i gravi vizi logici intrinseci. D'un soffio svanivano, così, tutte le argomentazioni ed arguzie di cui marx si era servito per attribuire al proprio sistema quel crisma di presunta 'scientificità' di cui si diceva.
Al giorno d'oggi la teoria del 'plusvalore' è stata del tutto abbandonata e in ambiente accademico viene unanimemente ritenuta -nelle parole dell'economista francesco vito- "una nozione che non può in nessun modo essere utilizzata dalla scienza economica, a cagione della fallacia dei fondamenti su cui riposa", al punto che, addirittura, "non merita un posto nello svolgimento storico della teoria del valore". Ecco demolita, in un sol colpo e dalle fondamenta, tutta la dottrina della lotta di classe. Non si può, infatti, fare a meno di concordare con il marxista austriaco rudolf hilferding (1877-1941) nel sostenere l'indissolubilità del legame ideale che univa l'analisi economica di marx alla sua filosofia. Nel 1904, replicando a la critica di bohm-bawerk a marx, egli affermava correttamente come il problema non si ponesse a livello semplicemente economico: l'analisi materialistica dell'economia non poteva essere giudicata indipendentemente dal materialismo storico-dialettico; al contrario, essa ne costituiva la mera applicazione al campo economico. Ciò implica, mutatis mutandis, la validità anche del ragionamento inverso.
Dunque, la teoria marxiana, ben lungi dal rappresentare un caso di ricerca scientifica, costituirebbe, piuttosto, un icastico esempio di mistificazione ideologica. Peraltro, lo stesso marx ammise apertamente nel suo poema su hegel: "parole che insegno, tutte mescolate / in un pasticcio diabolico. / così, chiunque può pensare proprio quello / che preferisce pensare". D'altra parte, era già noto ai suoi biografi come egli fosse avvezzo all'alterazione dei dati che contraddicevano le proprie tesi. Ma quale intento, allora, animava realmente questa discussa figura intellettuale? Se non si trattava dell'emancipazione della classe lavoratrice, a cosa si mirava, realmente, con quel guazzabuglio di arcane e cervellotiche teorie, con quel "pasticcio diabolico", secondo le sue stesse parole?
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