dal sito ufficiale dei cobas....
VI ALLEGO DA UN SITO SINDACALISTA (COBAS) UN INTERESSANTE SPIEGAZIONE SUL TFR,giusto per saperne di più.
Alcune note per difendere le nostre liquidazioni (TFR/TFS)
e riaprire la battaglia generale sulle pensioni
1. Smascherare le falsità sulla bancarotta annunciata della previdenza pubblica
L’argomento principe, usato da governo e sindacati confederali e autonomi per convincere lavoratori e lavoratrici ad optare per i fondi pensione finanziandoli con le proprie liquidazioni e quindi rinunziando ad esse, è il seguente: la vita media si è allungata, il costo delle prestazioni pensionistiche per gli enti previdenziali pubblici (INPS, INPDAP,…) si è fatto insostenibile, i contributi versati non riescono a far fronte alla crescita del numero dei pensionati che hanno preso la maledetta abitudine di vivere molto più a lungo che in passato e stanno per superare quantitativamente i lavoratori in attività; i deficit di INPS ed INPDAP sono incolmabili e tra alcuni anni si rischia di non poter più pagare le pensioni; perciò bisogna accontentarsi di pensioni pubbliche molto più basse di quelle attuali e, per garantirsi una vecchiaia dignitosa, occorre costruirsi un’altra pensione (la cosiddetta seconda gamba previdenziale), finanziata con le proprie liquidazioni.
In realtà non è poi così scontato che INPS ed INPDAP siano in deficit, perché, se andiamo a leggere gli ultimi dati disponibili forniti dai diretti interessati, scopriamo che nel 2001 l’INPS ha chiuso con un avanzo economico netto di 2645 miliardi di lire; l’INPDAP nel 2003 ha realizzato un avanzo di copertura di 5,24 miliardi di euro.
Lor signori forse obietteranno che nelle Finanziarie di fine anno si inseriscono fondi di spesa per ripianare eventuali deficit degli enti previdenziali.
Noi replichiamo osservando che comunque la situazione non è per nulla così drammatica come si vuol far credere, avendo tra l’altro gli enti previdenziali un patrimonio immobiliare e finanziario di riserva di tutto rispetto (seppur pesantemente depauperato dalle sciagurate operazioni di cartolarizzazione e svendita di sedi e immobili di proprietà INPS e INPDAP messe in atto dal governo Berlusconi).
E soprattutto sottolineiamo che sono a carico dell’INPS tutta una serie di spese per prestazioni (cassintegrazione, sussidi di disoccupazione, integrazione ai minimi pensionistici, pagamento degli LSU, versamento dei TFR in caso di fallimenti aziendali,..) che sono assistenziali, svolgono la funzione di ammortizzatori sociali e dovrebbero rientrare nella fiscalità generale.
Non abbiamo dimenticato che nel ’94 contro la controriforma Berlusconi (in realtà l’anno successivo sostanzialmente realizzata da Dini) uno dei cavalli di battaglia del sindacato, in linea di principio condiviso da tutte le forze politiche, era la separazione della previdenza dall’assistenza (quest’ultima da mettere a carico delle spese della fiscalità generale). Invece tutto questo è finito nel porto delle nebbie.
D’altra parte la stessa legge, la n. 88 del 1989, che prevede la separazione tra previdenza ed assistenza, è rimasta inapplicata fino alla Finanziaria ’98, che ha sollevato l’INPS esclusivamente dall’onere finanziario della gestione previdenziale per coltivatori diretti e mezzadri.
La commistione tra previdenza da una parte e assistenza e ammortizzatori sociali dall’altra fa sì che la spesa pensionistica italiana sia di due punti di percentuale di PIL superiore alla media di quella europea, mentre il totale della spesa sociale nel nostro Paese (comprensiva anche di quella previdenziale) risulta di oltre due punti di percentuale di PIL inferiore alla media di quella dell’UE (25,3% contro 27,6%).
Ma soprattutto l’evasione contributiva (si parla di circa 20 miliardi di euro) messa in pratica dalle aziende contribuisce a far vacillare i conti degli enti previdenziali. Infatti recentemente su tutti i media è circolata la notizia di fonte ufficiale secondo cui, dalle migliaia di accertamenti effettuati dagli ispettori del lavoro, sono emerse irregolarità contributive per il 75% delle aziende. Non va dimenticato che, quella accertata, è comunque solo una parte dell’evasione contributiva totale.
Né è un caso che l’organico degli ispettori del lavoro sia nettamente sottodimensionato alla bisogna ed in progressiva diminuzione e nel contempo forti pressioni padronali spingono per modificare i loro compiti, trasformandoli di fatto in consulenti aziendali; da parte nostra invece occorre rivendicare un notevole potenziamento del loro organico ed un rafforzamento delle funzioni ispettive, per poter meglio assolvere ai loro compiti di difesa della previdenza pubblica.
Se a ciò aggiungiamo le sempre più numerose decontribuzioni che vengono garantite soprattutto per le nuove assunzioni più o meno precarie e la parte della legge delega del governo Berlusconi sulla previdenza già in atto dal 1° gennaio –cioè quella che consente a coloro che hanno raggiunto l’età pensionabile di restare al lavoro senza versamento di contributi che invece vengono accreditati direttamente in busta paga- allora si comprende che c’è una chiara volontà politica da parte governativa, accettata più o meno tacitamente dai sindacati e dall’”opposizione” di centrosinistra, di progressivo indebitamento e tendenziale liquidazione degli enti previdenziali pubblici.
Da parte nostra non dobbiamo mai smettere di denunciare questa manovra e contrapporre una posizione limpida; separazione tra assistenza e previdenza, recupero dell’evasione contributiva, cancellazione di qualsiasi forma di decontribuzione: questi devono essere i capisaldi alla base della nostra battaglia per la difesa e il risanamento degli enti previdenziali pubblici.
Va poi capovolto il luogo comune fideisticamente sostenuto in maniera trasversalissima da centrodestra e centrosinistra, banche ed assicurazioni, finanziarie e Confindustria, CGIL-CISL-UIL e sindacati autonomi, secondo cui i fondi pensione costituiscano il necessario rimedio a posteriori alla crisi del sistema previdenziale pubblico.
In realtà è proprio il tentativo di generalizzare la diffusione delle pensioni complementari private –sempre meno integrative e sempre più sostitutive di quelle pubbliche- che sottrae linfa vitale e tende a mettere in crisi il sistema previdenziale pubblico
VI ALLEGO DA UN SITO SINDACALISTA (COBAS) UN INTERESSANTE SPIEGAZIONE SUL TFR,giusto per saperne di più.
Alcune note per difendere le nostre liquidazioni (TFR/TFS)
e riaprire la battaglia generale sulle pensioni
1. Smascherare le falsità sulla bancarotta annunciata della previdenza pubblica
L’argomento principe, usato da governo e sindacati confederali e autonomi per convincere lavoratori e lavoratrici ad optare per i fondi pensione finanziandoli con le proprie liquidazioni e quindi rinunziando ad esse, è il seguente: la vita media si è allungata, il costo delle prestazioni pensionistiche per gli enti previdenziali pubblici (INPS, INPDAP,…) si è fatto insostenibile, i contributi versati non riescono a far fronte alla crescita del numero dei pensionati che hanno preso la maledetta abitudine di vivere molto più a lungo che in passato e stanno per superare quantitativamente i lavoratori in attività; i deficit di INPS ed INPDAP sono incolmabili e tra alcuni anni si rischia di non poter più pagare le pensioni; perciò bisogna accontentarsi di pensioni pubbliche molto più basse di quelle attuali e, per garantirsi una vecchiaia dignitosa, occorre costruirsi un’altra pensione (la cosiddetta seconda gamba previdenziale), finanziata con le proprie liquidazioni.
In realtà non è poi così scontato che INPS ed INPDAP siano in deficit, perché, se andiamo a leggere gli ultimi dati disponibili forniti dai diretti interessati, scopriamo che nel 2001 l’INPS ha chiuso con un avanzo economico netto di 2645 miliardi di lire; l’INPDAP nel 2003 ha realizzato un avanzo di copertura di 5,24 miliardi di euro.
Lor signori forse obietteranno che nelle Finanziarie di fine anno si inseriscono fondi di spesa per ripianare eventuali deficit degli enti previdenziali.
Noi replichiamo osservando che comunque la situazione non è per nulla così drammatica come si vuol far credere, avendo tra l’altro gli enti previdenziali un patrimonio immobiliare e finanziario di riserva di tutto rispetto (seppur pesantemente depauperato dalle sciagurate operazioni di cartolarizzazione e svendita di sedi e immobili di proprietà INPS e INPDAP messe in atto dal governo Berlusconi).
E soprattutto sottolineiamo che sono a carico dell’INPS tutta una serie di spese per prestazioni (cassintegrazione, sussidi di disoccupazione, integrazione ai minimi pensionistici, pagamento degli LSU, versamento dei TFR in caso di fallimenti aziendali,..) che sono assistenziali, svolgono la funzione di ammortizzatori sociali e dovrebbero rientrare nella fiscalità generale.
Non abbiamo dimenticato che nel ’94 contro la controriforma Berlusconi (in realtà l’anno successivo sostanzialmente realizzata da Dini) uno dei cavalli di battaglia del sindacato, in linea di principio condiviso da tutte le forze politiche, era la separazione della previdenza dall’assistenza (quest’ultima da mettere a carico delle spese della fiscalità generale). Invece tutto questo è finito nel porto delle nebbie.
D’altra parte la stessa legge, la n. 88 del 1989, che prevede la separazione tra previdenza ed assistenza, è rimasta inapplicata fino alla Finanziaria ’98, che ha sollevato l’INPS esclusivamente dall’onere finanziario della gestione previdenziale per coltivatori diretti e mezzadri.
La commistione tra previdenza da una parte e assistenza e ammortizzatori sociali dall’altra fa sì che la spesa pensionistica italiana sia di due punti di percentuale di PIL superiore alla media di quella europea, mentre il totale della spesa sociale nel nostro Paese (comprensiva anche di quella previdenziale) risulta di oltre due punti di percentuale di PIL inferiore alla media di quella dell’UE (25,3% contro 27,6%).
Ma soprattutto l’evasione contributiva (si parla di circa 20 miliardi di euro) messa in pratica dalle aziende contribuisce a far vacillare i conti degli enti previdenziali. Infatti recentemente su tutti i media è circolata la notizia di fonte ufficiale secondo cui, dalle migliaia di accertamenti effettuati dagli ispettori del lavoro, sono emerse irregolarità contributive per il 75% delle aziende. Non va dimenticato che, quella accertata, è comunque solo una parte dell’evasione contributiva totale.
Né è un caso che l’organico degli ispettori del lavoro sia nettamente sottodimensionato alla bisogna ed in progressiva diminuzione e nel contempo forti pressioni padronali spingono per modificare i loro compiti, trasformandoli di fatto in consulenti aziendali; da parte nostra invece occorre rivendicare un notevole potenziamento del loro organico ed un rafforzamento delle funzioni ispettive, per poter meglio assolvere ai loro compiti di difesa della previdenza pubblica.
Se a ciò aggiungiamo le sempre più numerose decontribuzioni che vengono garantite soprattutto per le nuove assunzioni più o meno precarie e la parte della legge delega del governo Berlusconi sulla previdenza già in atto dal 1° gennaio –cioè quella che consente a coloro che hanno raggiunto l’età pensionabile di restare al lavoro senza versamento di contributi che invece vengono accreditati direttamente in busta paga- allora si comprende che c’è una chiara volontà politica da parte governativa, accettata più o meno tacitamente dai sindacati e dall’”opposizione” di centrosinistra, di progressivo indebitamento e tendenziale liquidazione degli enti previdenziali pubblici.
Da parte nostra non dobbiamo mai smettere di denunciare questa manovra e contrapporre una posizione limpida; separazione tra assistenza e previdenza, recupero dell’evasione contributiva, cancellazione di qualsiasi forma di decontribuzione: questi devono essere i capisaldi alla base della nostra battaglia per la difesa e il risanamento degli enti previdenziali pubblici.
Va poi capovolto il luogo comune fideisticamente sostenuto in maniera trasversalissima da centrodestra e centrosinistra, banche ed assicurazioni, finanziarie e Confindustria, CGIL-CISL-UIL e sindacati autonomi, secondo cui i fondi pensione costituiscano il necessario rimedio a posteriori alla crisi del sistema previdenziale pubblico.
In realtà è proprio il tentativo di generalizzare la diffusione delle pensioni complementari private –sempre meno integrative e sempre più sostitutive di quelle pubbliche- che sottrae linfa vitale e tende a mettere in crisi il sistema previdenziale pubblico
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