Napolitano contro di noi
Maurizio Blondet
16/12/2007
(...)Il New York Times ha scritto, come si sa, che l’Italia è un Paese senza speranza, schiacciato dal debito pubblico e ostacolato nel fare dalla burocrazia più incompetente e costosa del pianeta.
E come si sa, il presidente Napolitano, che era in USA al Council on Foreign Relations («dov’è di casa», scrivono i media) ha «difeso l’Italia» (dicono sempre i media) da questa critica che tutti condividiamo.
In realtà, ha ammesso che esistono «interessi corporativi» che bloccano il Paese: e come esempio di privilegio corporativo, ha citato i taxisti di Roma.
Settemila taxisti, ecco il problema.
Lo dice il solo presidente repubblicano che ci costa dodici volte di più che la monarchia britannica. E che presiede su un organo, il Quirinale, che ha 5 mila dipendenti i quali costano annualmente quanto la gestione di una città di mezzo milione di persone, diciamo Padova.
Non gli è venuto in mente, a Napolitano, di citare fra le cosche corporative il personale Alitalia: tre volte più dei taxisti, che hanno perso in tre anni (dal 2003 al 2006) qualcosa come 2,1 miliardi di euro.
Un esemplare «servizio pubblico» che serve solo a se stesso: i suoi piloti guadagnano il 30% in più di quelli dell’Air France, le sue hostess il 26% in più, il personale tecnico il 22% in più.
E mentre Alitalia perdeva 700 milioni di euro l’anno, il presidente Cimoli «guadagnava» 190 mila euro al mese, e per andarsene ha avuto una buonuscita di 8 milioni di euro.
Questa è la mentalità della Casta: per i suoi parassiti, il problema dell’Italia sono i cittadini che difendono il loro reddito, mille volte inferiore.
I taxisti sono «corporativi» perché tentano di limitare la concorrenza.
I padroncini dei Tir sono «corporativi».
Un taxista ha scritto a Libero: con più taxisti a Roma i prezzi delle corse aumenteranno, perché ciascuno facendo meno corse dovrà far pagare di più quelle.
Il solito teorico liberista da giornale che non conosce la vita gli ha risposto: ecco, l’errore è voler difendere il proprio reddito di oggi.
Rassegnatevi al mercato, i meno imprenditoriali di voi saranno assorbiti da più grosse imprese e diverranno lavoratori dipendenti, i più intraprendenti faranno le concentrazioni.
La stessa lezioncina era rivolta ai TIR, questi criminali che «vìolano le regole».
Facile, da un giornale che ha il finanziamento pubblico, e dunque è protetto dal libero mercato.
Il teorico da quotidiano dovrebbe capire che in Italia non c’è un «mercato» se non per i disgraziati.
I molteplici apparati pubblici si sono messi al riparo, e per questo si fanno pagare la loro inefficienza come fosse oro: sul «mercato», i loro sedicenti «servizi» non li vorrebbe nessuno.
La magistratura lascia impuniti il 72% degli omicidi e il 98% dei furti: pensate quanto durerebbe un padroncino di TIR che non consegnasse il 72% delle merci affidategli.
Non solo la Casta si è protetta dal mercato, ha protetto il corpo sociale di riferimento.
Alitalia, sul mercato, sarebbe scomparsa da anni.
I magistrati pure, facilmente sostituibili, almeno per le cause civili, da collegi arbitrali (ci sono già nelle Camere di Commercio) accettati previamente fra le parti.
Mi spiace per gli insegnanti, che sono vittime più che colpevoli, ma anche la scuola pubblica, produttrice di bulli analfabeti, non durerebbe molto, sul «mercato».
Giorni fa una madre mi ha riferito che a scuola, alla sua bambina di 12 anni, insegnano tutto (e solo) sui dinosauri: una scienza che la maestra ha chiamato «archeologia» anziché «paleontologia».
Guadagnerà poco quella maestra, ma evidentemente non merita nemmeno quel poco: diffonde analfabetismo pressapochista, a bambini per cui i dinosauri sono creature magiche, da Harry Potter (la maestra ne continua a parlare perché è una darwinista accanita, e per lei i grandi sauri estinti sono «la prova dell’evoluzione»).
Bene o male, nel «servizio pubblico», anche i peggio pagati stanno meglio del resto della società, possono sparare cretinerie come queste e non perdere il posto.
Sono centinaia di migliaia, e sono ben difesi dai sindacati.
I sindacati fanno la faccia feroce, vogliono che Alitalia resti nazionale.
Il motivo è ovvio: comprata da stranieri, Alitalia e i suoi parassiti sono persi come mammella di denaro pubblico e come massa clientelare, a cui fare favori in cambio di appoggio politico.
Infatti, s’è visto, i sindacati difendono «l’occupazione in Alitalia», ma da gran tempo si sono dimenticati dei metallurgici, che bruciano nelle acciaierie per 1.200 al mese, 16 ore al giorno, e con il licenziamento in vista.
I parassiti Alitalia minacciano sciopero selvaggio a Natale, e la Casta li implora, gentile: no, non fatelo.
I camionisti non sono stati con la stessa implorante gentilezza.
«Hanno fatto perdere al Paese 2 miliardi di euro, ed hanno ottenuto 30 milioni di euro di benefici», urlano i media (con finanziamento di Stato).
Colpa loro?
Il nostro è il solo Paese europeo dove l’80 % delle merci cammina sui pneumatici, perché le ferrovie «pubbliche» non fanno il servizio, anche se dilapidano 15 miliardi di euro l’anno in perdite. E i costi aumentano perché da trent’anni i politici bloccano le cosiddette infrastrutture.
L’autostrada verso Mestre è un ingorgo permanente di bisonti con targhe turche, slovene, romene, bulgare, greche e francesi; tra Firenze e Scandicci un altro ingorgo perenne, ore ed ore in colonna, perché i Verdi non vogliono il raddoppio in quel tratto.
Ma la colpa è dei padroncini dei bisonti coperti di cambiali, che difendono il loro reddito - grave colpa per la Casta, che il suo l’ha difeso una volta per tutte.
Sono loro, i parassiti a vario titolo «pubblici», che obbligano le categorie (quelle che possono) a difendere il loro reddito comunque calante, con le unghie e coi denti: in uno Stato dove l’ingiustizia è la norma, è ovvio che chiunque abbia un potere reale lo faccia pesare.
I sacrifici come l’accettazione di un reddito minore sono, alla lunga, necessari: ma comincino prima loro.
Cominci Napolitano a snellire il Quirinale, cominci il ministro Bianchi a sfoltire i 51 mila dipendenti ministeriali dei Trasporti che si sono fatti una cassa-previdenza aggiuntiva, che paga pensioni d’oro, un doppio TFR e persino le spese scolastiche per i figli della convivente, anzi persino le spese legali per i dipendenti condannati per disonestà.
E non sono troppi, 51 mila?
Non saranno mica iscritte anche mamme, amanti e sorelle, a quella cassa che paghiamo noi contribuenti con sovrattasse recentissime?
Cominciamo di lì, magari.
Macchè.
Si è saputo che la magistratura di Roma minaccia di sequestrare i TIR dei padroncini più focosi nel blocco.
Fateci capire: li volete ridurre alla fame.
Un principio generale del diritto dice che persino al debitore insolvente non si possono pignorare i mezzi per sopravvivere: non si pignora il letto, il tavolo, le pentole.
E il TIR ancora da pagare, secondo i magistrati, si può sequestrare, mandando in rovina il camionista privato del suo «ferro del mestiere».
Dov’è scritto?
In quale legge?
Inutile chiederlo: la casta giudiziaria s’inventa le leggi secondo il nemico del momento, sapendo che può farle approvare da un parlamento complice.
E’ il suo modo d’intendere il diritto positivo.
E’ la mentalità, sempre punitiva e poliziesca: la Casta sospetta i privati che si arrabattano di crimini, per il fatto che esercitano la loro libertà, ciò che viene inteso come insulto alla Volontà Generale che la Casta, beninteso, identifica con i suoi interessi.
Quei giudici, evidentemente, aspirano a sequestrare tutti i TIR: chiaramente, perché pensano che i camionisti siano superflui come i loro parassiti protetti.
Non sanno che tutte le categorie autonome sono indispensabili alla società, e non se ne accorgono nemmeno dopo averne avuto la prova in tre giorni di blocco.
Pensiamoci: è la stessa mentalità per cui il regime sovietico sequestrò ai coltivatori diretti ucraini (kulaki) anche il grano per le sementi, con l’accusa di «nascondere le riserve» e di «sottrarsi all’ammasso».
L’anno dopo il raccolto mancò, come vuole la natura.
Ma la nomenklatura di Stalin e Kaganovic mica prese atto che l’errore idiota era il suo: anzi, si mise a fucilare ancor più kulaki, come «sabotatori».
Il pensiero che c’è dietro è lo stesso: i corpi sociali autonomi sono inutili, si possono liquidare.
Maurizio Blondet
16/12/2007
(...)Il New York Times ha scritto, come si sa, che l’Italia è un Paese senza speranza, schiacciato dal debito pubblico e ostacolato nel fare dalla burocrazia più incompetente e costosa del pianeta.
E come si sa, il presidente Napolitano, che era in USA al Council on Foreign Relations («dov’è di casa», scrivono i media) ha «difeso l’Italia» (dicono sempre i media) da questa critica che tutti condividiamo.
In realtà, ha ammesso che esistono «interessi corporativi» che bloccano il Paese: e come esempio di privilegio corporativo, ha citato i taxisti di Roma.
Settemila taxisti, ecco il problema.
Lo dice il solo presidente repubblicano che ci costa dodici volte di più che la monarchia britannica. E che presiede su un organo, il Quirinale, che ha 5 mila dipendenti i quali costano annualmente quanto la gestione di una città di mezzo milione di persone, diciamo Padova.
Non gli è venuto in mente, a Napolitano, di citare fra le cosche corporative il personale Alitalia: tre volte più dei taxisti, che hanno perso in tre anni (dal 2003 al 2006) qualcosa come 2,1 miliardi di euro.
Un esemplare «servizio pubblico» che serve solo a se stesso: i suoi piloti guadagnano il 30% in più di quelli dell’Air France, le sue hostess il 26% in più, il personale tecnico il 22% in più.
E mentre Alitalia perdeva 700 milioni di euro l’anno, il presidente Cimoli «guadagnava» 190 mila euro al mese, e per andarsene ha avuto una buonuscita di 8 milioni di euro.
Questa è la mentalità della Casta: per i suoi parassiti, il problema dell’Italia sono i cittadini che difendono il loro reddito, mille volte inferiore.
I taxisti sono «corporativi» perché tentano di limitare la concorrenza.
I padroncini dei Tir sono «corporativi».
Un taxista ha scritto a Libero: con più taxisti a Roma i prezzi delle corse aumenteranno, perché ciascuno facendo meno corse dovrà far pagare di più quelle.
Il solito teorico liberista da giornale che non conosce la vita gli ha risposto: ecco, l’errore è voler difendere il proprio reddito di oggi.
Rassegnatevi al mercato, i meno imprenditoriali di voi saranno assorbiti da più grosse imprese e diverranno lavoratori dipendenti, i più intraprendenti faranno le concentrazioni.
La stessa lezioncina era rivolta ai TIR, questi criminali che «vìolano le regole».
Facile, da un giornale che ha il finanziamento pubblico, e dunque è protetto dal libero mercato.
Il teorico da quotidiano dovrebbe capire che in Italia non c’è un «mercato» se non per i disgraziati.
I molteplici apparati pubblici si sono messi al riparo, e per questo si fanno pagare la loro inefficienza come fosse oro: sul «mercato», i loro sedicenti «servizi» non li vorrebbe nessuno.
La magistratura lascia impuniti il 72% degli omicidi e il 98% dei furti: pensate quanto durerebbe un padroncino di TIR che non consegnasse il 72% delle merci affidategli.
Non solo la Casta si è protetta dal mercato, ha protetto il corpo sociale di riferimento.
Alitalia, sul mercato, sarebbe scomparsa da anni.
I magistrati pure, facilmente sostituibili, almeno per le cause civili, da collegi arbitrali (ci sono già nelle Camere di Commercio) accettati previamente fra le parti.
Mi spiace per gli insegnanti, che sono vittime più che colpevoli, ma anche la scuola pubblica, produttrice di bulli analfabeti, non durerebbe molto, sul «mercato».
Giorni fa una madre mi ha riferito che a scuola, alla sua bambina di 12 anni, insegnano tutto (e solo) sui dinosauri: una scienza che la maestra ha chiamato «archeologia» anziché «paleontologia».
Guadagnerà poco quella maestra, ma evidentemente non merita nemmeno quel poco: diffonde analfabetismo pressapochista, a bambini per cui i dinosauri sono creature magiche, da Harry Potter (la maestra ne continua a parlare perché è una darwinista accanita, e per lei i grandi sauri estinti sono «la prova dell’evoluzione»).
Bene o male, nel «servizio pubblico», anche i peggio pagati stanno meglio del resto della società, possono sparare cretinerie come queste e non perdere il posto.
Sono centinaia di migliaia, e sono ben difesi dai sindacati.
I sindacati fanno la faccia feroce, vogliono che Alitalia resti nazionale.
Il motivo è ovvio: comprata da stranieri, Alitalia e i suoi parassiti sono persi come mammella di denaro pubblico e come massa clientelare, a cui fare favori in cambio di appoggio politico.
Infatti, s’è visto, i sindacati difendono «l’occupazione in Alitalia», ma da gran tempo si sono dimenticati dei metallurgici, che bruciano nelle acciaierie per 1.200 al mese, 16 ore al giorno, e con il licenziamento in vista.
I parassiti Alitalia minacciano sciopero selvaggio a Natale, e la Casta li implora, gentile: no, non fatelo.
I camionisti non sono stati con la stessa implorante gentilezza.
«Hanno fatto perdere al Paese 2 miliardi di euro, ed hanno ottenuto 30 milioni di euro di benefici», urlano i media (con finanziamento di Stato).
Colpa loro?
Il nostro è il solo Paese europeo dove l’80 % delle merci cammina sui pneumatici, perché le ferrovie «pubbliche» non fanno il servizio, anche se dilapidano 15 miliardi di euro l’anno in perdite. E i costi aumentano perché da trent’anni i politici bloccano le cosiddette infrastrutture.
L’autostrada verso Mestre è un ingorgo permanente di bisonti con targhe turche, slovene, romene, bulgare, greche e francesi; tra Firenze e Scandicci un altro ingorgo perenne, ore ed ore in colonna, perché i Verdi non vogliono il raddoppio in quel tratto.
Ma la colpa è dei padroncini dei bisonti coperti di cambiali, che difendono il loro reddito - grave colpa per la Casta, che il suo l’ha difeso una volta per tutte.
Sono loro, i parassiti a vario titolo «pubblici», che obbligano le categorie (quelle che possono) a difendere il loro reddito comunque calante, con le unghie e coi denti: in uno Stato dove l’ingiustizia è la norma, è ovvio che chiunque abbia un potere reale lo faccia pesare.
I sacrifici come l’accettazione di un reddito minore sono, alla lunga, necessari: ma comincino prima loro.
Cominci Napolitano a snellire il Quirinale, cominci il ministro Bianchi a sfoltire i 51 mila dipendenti ministeriali dei Trasporti che si sono fatti una cassa-previdenza aggiuntiva, che paga pensioni d’oro, un doppio TFR e persino le spese scolastiche per i figli della convivente, anzi persino le spese legali per i dipendenti condannati per disonestà.
E non sono troppi, 51 mila?
Non saranno mica iscritte anche mamme, amanti e sorelle, a quella cassa che paghiamo noi contribuenti con sovrattasse recentissime?
Cominciamo di lì, magari.
Macchè.
Si è saputo che la magistratura di Roma minaccia di sequestrare i TIR dei padroncini più focosi nel blocco.
Fateci capire: li volete ridurre alla fame.
Un principio generale del diritto dice che persino al debitore insolvente non si possono pignorare i mezzi per sopravvivere: non si pignora il letto, il tavolo, le pentole.
E il TIR ancora da pagare, secondo i magistrati, si può sequestrare, mandando in rovina il camionista privato del suo «ferro del mestiere».
Dov’è scritto?
In quale legge?
Inutile chiederlo: la casta giudiziaria s’inventa le leggi secondo il nemico del momento, sapendo che può farle approvare da un parlamento complice.
E’ il suo modo d’intendere il diritto positivo.
E’ la mentalità, sempre punitiva e poliziesca: la Casta sospetta i privati che si arrabattano di crimini, per il fatto che esercitano la loro libertà, ciò che viene inteso come insulto alla Volontà Generale che la Casta, beninteso, identifica con i suoi interessi.
Quei giudici, evidentemente, aspirano a sequestrare tutti i TIR: chiaramente, perché pensano che i camionisti siano superflui come i loro parassiti protetti.
Non sanno che tutte le categorie autonome sono indispensabili alla società, e non se ne accorgono nemmeno dopo averne avuto la prova in tre giorni di blocco.
Pensiamoci: è la stessa mentalità per cui il regime sovietico sequestrò ai coltivatori diretti ucraini (kulaki) anche il grano per le sementi, con l’accusa di «nascondere le riserve» e di «sottrarsi all’ammasso».
L’anno dopo il raccolto mancò, come vuole la natura.
Ma la nomenklatura di Stalin e Kaganovic mica prese atto che l’errore idiota era il suo: anzi, si mise a fucilare ancor più kulaki, come «sabotatori».
Il pensiero che c’è dietro è lo stesso: i corpi sociali autonomi sono inutili, si possono liquidare.
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