Il 10 febbraio 1947 è la data simbolo della tragedia delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata, seguito alla firma del trattato di pace di Parigi tra l'Italia e le potenze alleate, alla fine della seconda guerra mondiale. Con questo trattato, l'Istria, Fiume e il territorio di Zara, in Dalmazia, passarono alla Jugoslavia, provocando l'esodo di oltre 350 mila italiani, che scelsero la via dolorosa dell'esilio per fuggire agli orrori del regime di Tito.
Il 10 febbraio 1947 l'Italia, apena uscita dal fascismo e dalla guerra civile, firmava a Parigi il trattato di pace definitivo con gli Alleati, tracciando così i nuovi confini dello Stato e rinunciando a buona parte dei suoi territori nord-orientali. 57 anni dopo, il 10 febbraio viene celebrato come il "Giorno del ricordo": il ricordo dell'esodo degli italiani d'Istria ma anche delle foibe, dove i partigiani titini trucidarono migliaia di italiani. E mentre a Padova la fondazione Perlasca ha organizzato una serie di iniziative per ricordare i martiri delle foibe e la tragedia degli italiani d'Istria, il Parlamento discute due proposte di legge (una presentata dalla maggioranza, una dall'opposizione) per istituire ufficialmente il "Giorno del Ricordo". Ma mentre sulla data c'è accordo (il 10 febbraio, appunto) già si prevede un aspro scontro sul contenuto: per la destra bisogna ricordare insieme l'esodo istriano e la tragedia delle foibe, per la sinistra le due questioni vanno scisse nettamente
I territori contesi
La contesa dei territori di Nord-Est inizia con la fine della Prima Guerra mondiale, quando la frontiera tra l'Italia e la Jugoslavia viene stabilita sulla "linea Wilson": agli slavi viene assegnata solo una parte minore dell'Istria, mentre i centri più importanti passano sotto il tricolore. 500mila slavi diventano improvvisamente "italiani" senza volerlo, e vedono (non senza ragione) gli italiani come "occupanti", che impongono la loro cultura opprimendo le popolazioni slave. Una "dominazione" che gli jugoslavi non dimenticheranno facilmente.
Nel maggio-giugno 1945, quando i tedeschi vengono sconfitti, nei territori giuliani arrivano i reparti jugoslavi, accolti dagli italiani come liberatori alla stregua di americani e inglesi. Ma le intenzioni delle forze del maresciallo Tito sono ben diverse da quelle degli Alleati: riconquistare i territori che, alla fine della Grande Guerra, erano stati negati alla Jugoslavia. E così, a partire dal 1° maggio 1945, i Volontari italiani della Libertà vengono disarmati, e man mano che i partigiani sloveni avanzano in Venezia-Giulia disarmano e internano gli avversari, mandandone poi a morte a migliaia nelle foibe. Avversari che non sono solo i (pochi) repubblichini rimasti nella zona: sono anche, e soprattutto, civili inermi, donne, vecchi, bambini: tutti coloro che, secondo un'ordinanza del governo di Tito, si oppongano al passaggio dell'Istria alla Jugoslavia o rifiutino di dichiararsi slavi. E, esattamente come durante il Ventennio, può bastare una denuncia anonima, magari di un vicino di casa invidioso che voglia acquisire rapidamente un alloggio, oppure di qualcuno che da anni covi una sua vendetta personale, per condannare a morte una persona. Ma tra le vittime si contano anche centinaia di persone uccise solo perché vengono identificate come simbolo del fascismo (come carabinieri, finanzieri, podestà), o della borghesia (come maestre e levatrici).
Gli infoibamenti erano iniziati nel '43, dal 9 settembre al 13 ottobre, quando, dopo l'armistizio, i partigiani titini si erano impadroniti di gran parte dell'Istria iniziando con la loro sistematica opera di pulizia etnica. E proseguirono dal 1945 al '47, ben oltre la fine della guerra, spingendo all'esodo migliaia di italiani d'Istria e sterminando coloro che si rifiutavano di andarsene
Le foibe
La parola foiba deriva dal latino fovea, fossa: si tratta di profonde voragini rocciose che le popolazioni slovene e croate del carso triestino utilizzavano come discariche, gettandovi rifiuti quali carcasse di animali, scarti di lavorazione, oggetti rotti. Ecco allora che le foibe non vengono scelte a caso come luogo per lo sterminio degli italiani: gettare gli italiani nelle voragini significa mostrare loro tutto il disprezzo possibile, trattandoli come rifiuti.
Migliaia e migliaia di persone morirono in quelle fosse (in Istria sono state trovate più di 1.700 foibe), alcune gettate nel baratro dopo una veloce esecuzione, altre dopo essere state torturate con metodi da far invidia ai nazisti più feroci, altre ancora addirittura vive, lasciate a morire duecento metri sottoterra circondate di cadaveri. Un conto preciso delle vittime è impossibile: secondo alcune fonti gli italiani sterminati furono dai 4 ai 6mila, per altre addirittura 10 o 20mila. Alcuni finirono fucilati, altri morirono nei campi di concentramento. Per la maggior parte, però, si aprirono le porte dell'inferno: le foibe.
I soldati di Tito facevano irruzione di notte nelle case dei civili, caricando decine di persone alla volta sui camion. Le vittime predestinate, quindi, venivano legate una all'altra con corde, fil di ferro, filo spinato: qualsiasi mezzo che impedisse loro di fuggire. A questo punto, disposti sull'orlo del precipizio, i primi venivano fucilati, trascinando con sé nel baratro anche tutti gli altri, ancora vivi. Alcuni avevano la fortuna di morire subito nella caduta, altri resistevano per ore e ore, feriti, agonizzando circondati da cadaveri in putrefazione.
Ma l'orrore poteva essere ancora peggiore, perché prima della morte potevano esserci le torture e le sevizie: nelle fosse carsiche sono state trovate donne stuprate o con il ventre reciso per estrarre il fetro che portavano in grembo, uomini evirati che, prima di essere gettati nelle foibe, venivano costretti a mangiare i propri genitali, cadaveri decapitati, con la testa dei quali i titini improvvisavano partite a pallone...
Il 10 febbraio 1947 l'Italia, apena uscita dal fascismo e dalla guerra civile, firmava a Parigi il trattato di pace definitivo con gli Alleati, tracciando così i nuovi confini dello Stato e rinunciando a buona parte dei suoi territori nord-orientali. 57 anni dopo, il 10 febbraio viene celebrato come il "Giorno del ricordo": il ricordo dell'esodo degli italiani d'Istria ma anche delle foibe, dove i partigiani titini trucidarono migliaia di italiani. E mentre a Padova la fondazione Perlasca ha organizzato una serie di iniziative per ricordare i martiri delle foibe e la tragedia degli italiani d'Istria, il Parlamento discute due proposte di legge (una presentata dalla maggioranza, una dall'opposizione) per istituire ufficialmente il "Giorno del Ricordo". Ma mentre sulla data c'è accordo (il 10 febbraio, appunto) già si prevede un aspro scontro sul contenuto: per la destra bisogna ricordare insieme l'esodo istriano e la tragedia delle foibe, per la sinistra le due questioni vanno scisse nettamente
I territori contesi
La contesa dei territori di Nord-Est inizia con la fine della Prima Guerra mondiale, quando la frontiera tra l'Italia e la Jugoslavia viene stabilita sulla "linea Wilson": agli slavi viene assegnata solo una parte minore dell'Istria, mentre i centri più importanti passano sotto il tricolore. 500mila slavi diventano improvvisamente "italiani" senza volerlo, e vedono (non senza ragione) gli italiani come "occupanti", che impongono la loro cultura opprimendo le popolazioni slave. Una "dominazione" che gli jugoslavi non dimenticheranno facilmente.
Nel maggio-giugno 1945, quando i tedeschi vengono sconfitti, nei territori giuliani arrivano i reparti jugoslavi, accolti dagli italiani come liberatori alla stregua di americani e inglesi. Ma le intenzioni delle forze del maresciallo Tito sono ben diverse da quelle degli Alleati: riconquistare i territori che, alla fine della Grande Guerra, erano stati negati alla Jugoslavia. E così, a partire dal 1° maggio 1945, i Volontari italiani della Libertà vengono disarmati, e man mano che i partigiani sloveni avanzano in Venezia-Giulia disarmano e internano gli avversari, mandandone poi a morte a migliaia nelle foibe. Avversari che non sono solo i (pochi) repubblichini rimasti nella zona: sono anche, e soprattutto, civili inermi, donne, vecchi, bambini: tutti coloro che, secondo un'ordinanza del governo di Tito, si oppongano al passaggio dell'Istria alla Jugoslavia o rifiutino di dichiararsi slavi. E, esattamente come durante il Ventennio, può bastare una denuncia anonima, magari di un vicino di casa invidioso che voglia acquisire rapidamente un alloggio, oppure di qualcuno che da anni covi una sua vendetta personale, per condannare a morte una persona. Ma tra le vittime si contano anche centinaia di persone uccise solo perché vengono identificate come simbolo del fascismo (come carabinieri, finanzieri, podestà), o della borghesia (come maestre e levatrici).
Gli infoibamenti erano iniziati nel '43, dal 9 settembre al 13 ottobre, quando, dopo l'armistizio, i partigiani titini si erano impadroniti di gran parte dell'Istria iniziando con la loro sistematica opera di pulizia etnica. E proseguirono dal 1945 al '47, ben oltre la fine della guerra, spingendo all'esodo migliaia di italiani d'Istria e sterminando coloro che si rifiutavano di andarsene
Le foibe
La parola foiba deriva dal latino fovea, fossa: si tratta di profonde voragini rocciose che le popolazioni slovene e croate del carso triestino utilizzavano come discariche, gettandovi rifiuti quali carcasse di animali, scarti di lavorazione, oggetti rotti. Ecco allora che le foibe non vengono scelte a caso come luogo per lo sterminio degli italiani: gettare gli italiani nelle voragini significa mostrare loro tutto il disprezzo possibile, trattandoli come rifiuti.
Migliaia e migliaia di persone morirono in quelle fosse (in Istria sono state trovate più di 1.700 foibe), alcune gettate nel baratro dopo una veloce esecuzione, altre dopo essere state torturate con metodi da far invidia ai nazisti più feroci, altre ancora addirittura vive, lasciate a morire duecento metri sottoterra circondate di cadaveri. Un conto preciso delle vittime è impossibile: secondo alcune fonti gli italiani sterminati furono dai 4 ai 6mila, per altre addirittura 10 o 20mila. Alcuni finirono fucilati, altri morirono nei campi di concentramento. Per la maggior parte, però, si aprirono le porte dell'inferno: le foibe.
I soldati di Tito facevano irruzione di notte nelle case dei civili, caricando decine di persone alla volta sui camion. Le vittime predestinate, quindi, venivano legate una all'altra con corde, fil di ferro, filo spinato: qualsiasi mezzo che impedisse loro di fuggire. A questo punto, disposti sull'orlo del precipizio, i primi venivano fucilati, trascinando con sé nel baratro anche tutti gli altri, ancora vivi. Alcuni avevano la fortuna di morire subito nella caduta, altri resistevano per ore e ore, feriti, agonizzando circondati da cadaveri in putrefazione.
Ma l'orrore poteva essere ancora peggiore, perché prima della morte potevano esserci le torture e le sevizie: nelle fosse carsiche sono state trovate donne stuprate o con il ventre reciso per estrarre il fetro che portavano in grembo, uomini evirati che, prima di essere gettati nelle foibe, venivano costretti a mangiare i propri genitali, cadaveri decapitati, con la testa dei quali i titini improvvisavano partite a pallone...
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