Ecco qui il famoso racconto... chi ha piacere di leggerlo e di darmi un suo critico e sincero giudizio mi farà un gran favore.
Attenzione ricordo una cosina; critico e sincero giudizio non vuol dire prendermi in giro o umiliarmi...
Prologo
“Benvenuti al notiziario delle venti, iniziamo subito collegandoci con...”. Recitava un vecchio Philips, posto su un’altrettanto vecchio mobile, quando un signore parecchio anziano barcollando portò la rotella su “Off”.
La stanza prima illuminata dal televisore divenne improvvisamente buia, il vecchio tuttavia riuscì a risedersi; il luccichio del suo sigaro appena iniziato e il leggero fumo che esso emetteva gli indicarono la strada; si sedette.
«E così, ancora non perdi tempo per umiliarmi…» disse a voce bassa il vecchio facendo disperdere per la stanza una grossa boccata di fumo. «Perché proprio io?… Perché proprio io!!»
Si alzò, mentre il terminare delle sue parole insensate invadeva la stanza d’un angosciante silenzio; ma non ebbe la forza; si risedette, per poi cercare senza farcela di trattenere il suo pianto.
«Ho rinunciato a tutto per te facendo della tua legge un fardello» disse non appena s’asciugò il viso con lo sguardo perso nell’oscurità. «E tu… E tu! E tu mi hai ripagato con l’indifferenza più atroce. Ti ho offeso, è vero; però… però ero cambiato. Cercavo in te il perdono. Un perdono che non ho mai ricevuto; anche se… anche se mi avevi fatto credere il contrario! Che illuso… Ma non importa. No, non ha importanza; sarai tu a concedermi quella giustizia che mi hai sempre negato; sarai tu a sostenere quelle braccia che mai hai sostenuto. Lo giuro.»
Alla sua destra intanto la luce proveniente dalla stanza adiacente formava sbattendo nell’unica porta un rettangolo perfetto; l’uomo s’alzò nel buio, lasciando cadere il mozzicone del sigaro a terra. Tirata giù la maniglia con delicatezza, davanti ad egli, lungo il corridoio che dava accesso alle dodici stanze di cui si componeva il suo spazioso appartamento, una donna sui cinquantacinque anni di piacevole aspetto rassettava alcuni cassetti del piccolo comò posto sul lato destro del corridoio.
La Donna sorrise leggermente, il vecchio non ricambiò.
«Quando ritornerai da tuo marito e dai tuoi figli?» Chiese, come se si fosse dimenticato della presenza della donna.
«Non me n’andrò mai da qui senza di voi, Padre» Rispose la donna.
«Non verrò mai da te, lo sai benissimo perché sei rimasta?» Replicò il vecchio; i suoi occhi s’inzupparono nuovamente.
«Perché non volete venire, cosa vi abbiamo fatto… per voi esiste solo vostro figlio!»
«No, figlia mia, non ho nulla contro di voi, ma il mio posto e qui, tanti anni fa ho iniziato molte cose, mi sono illuso; ora devo completare, devo finire ciò che ho iniziato» Rinnovò il vecchio.
«Non mi piace come parlate! Non mi piace per nulla! Ci sono i vostri nipoti, ci sono io, avete delle responsabilità nei nostri confronti» proruppe la donna.
Il vecchio non replicò, chiuse le palpebre facendo scomparire i suoi occhi gonfi e maledettamente arrossati, poi emise un lungo sospiro, come a voler suggerire che parlare era inutile.
«Volete che vi prepari il letto?» Chiese ora la figlia consapevole di tutto.
«Il letto? Oh no, non potrei dormire» Osservò il vecchio, avviandosi verso ella. «Ma questa non è una novità… da molti anni ormai non dormo».
«Da quanto?» Chiese la figlia facendosi cadere una lacrima a terra, quasi di proposito.
«Molto, molto tempo. Troppo, a dire la verità» Rispose il vecchio lasciandosi alle spalle la figlia.
Se l’era chiesto fin da, quando erano usciti dal tribunale di Nicosia alcune ore prima; ora tutto prendeva forma scoprendo che le sue paure e le sue domande in fondo erano certezze. Ma era troppo tardi per fare prediche, e forse, pensò la donna, era giusto così:
«E’ chiusa a chiave» osservò la donna, guardando il padre affannarsi nell’aprire la porta che dava a quella che doveva essere secondo alcuni la sala da pranzo.
«Perché?» Indispettito non poco chiese il vecchio.
«Voglio esserci io questa volta» Rispose la donna consegnando una semplice chiave d’ottone al padre.
«Potrebbe essere pericoloso» aggiunse l’anziano padre.
«Non m’importa, non voglio che nessuno mi racconti nulla» replicò la donna.
«Giorgia, Elisa? Che faranno senza te?»
«Lo so, ma le mie figlie sono grandi, non corrono nessun pericolo» rispose la donna.
«Come tu sai che non puoi fermarmi, anche io non ti fermerò» proferì il vecchio.
Aperta la porta, il vecchio s’indirizzò verso l’unico quadro della stanza; la luce bassa che proveniva dal corridoio non permetteva di vedere cosa riproducesse, ad egli in ogni caso non interessava affatto. Prese il quadro con entrambi le mani e lo poggiò sul vicino tavolo; ora visibile, il quadro raffigurava quattro fanciulli con i visi tramortiti dalla fame, nelle piccole mani rinsecchite tenevano una tazza; aspettavano del cibo, probabilmente.
«Gli assomiglia tanto quel bimbo…» proferì la donna guardando il quadro.
«Il più piccolo, vero?» Aggiunse il vecchio. «Ma come si può scomparire nel nulla! Come!?»
«Ormai sono passati così tanti anni…» Osservò con grande tristezza la donna.
«Sai, certe volte lo odio solo per il semplice motivo d’essere nato. Se non fosse nato, non l’avrei pianto…» esternò il vecchio mordendosi le labbra.
«Non dite così…» replicò la donna. «Era pur sempre vostro nipote, figlio di vostro figlio».
«…sangue del mio sangue» aggiunse il vecchio. «Ma è inutile parlarne, soprattutto, quando si tratta di sangue morto».
«La colpa non è sua; lui era solo un’innocente. Sua madre c’è l’ha tolto… come se noi non fossimo nessuno. E infine quella maledetta guerra che se li è portati via».
«Sua madre ha fatto bene a portarselo via, solo oggi mi rendo conto che gli ha risparmiato una vita di pianti e nient’altro.»
«Forse; ma almeno oggi sarebbe vivo»
«E tu che ne sai!?» Pieno d’ira esclamò il vecchio. «Meglio morire a quell’età, in cui non sei cosciente di nulla; che morire quando hai assaporato i pochi piaceri della vita.»
«Vi sbagliate…» allo stremo del dolore osservò la donna.
«Perché c’è stato forse qualcuno che non ha pagato a nome mio!?»
Non susseguì nessuna replica: la donna rimase in silenzio, appoggiata di fianco al battente della porta, intenta solo ad osservare il padre.
Dietro il quadro, una piccola cassaforte. L’uomo benché la stanza non fosse per nulla illuminata, se non dalle luci che provenivano dal corridoio, riuscì ad aprirla; da essa fece venire fuori una scatola. Si sedette e la aprì con riguardo, dentro vi trovò una Revolver 442 e un piccolo contenitore in cui vi erano una ventina di proiettili. La smontò, la pulì, e rimontata ne caricò il tamburo interamente; sei colpi.
«Prendetemi il mio mantello, è nella camera in cui dormo; vi aspetto in macchina» disse uscendo dalla stanza.
La donna che nel frattempo si era appoggiata sulla porta, si precipitò nella camera del padre; dentro vi era un letto singolo, un comodino e un discreto armadio, dove vi trovò la mantella e in giro per la piccola stanza appese al muro alcune foto che ritraevano sempre due uomini. A differenza di tutta la casa, la stanza da letto era scarna e dai toni stranamente spartani.
«Aspettatemi papà. Non fatemi scendere le scale da sola» gridò la donna, nel prendere il mantello.
Non ricevette nessuna risposta; il portone che dava alle scale era già aperto.
Senza indugiare uscì dall’appartamento ritrovandosi nella piazzetta d’entrata. Da sotto, i passi del padre risuonavano per le scale, li ascoltò uno dopo l’altro, poi, quando si sentì il tonfo del portone d’ingresso, incominciò anche ella a scendere.
Aperto e chiuso il largo portone in ferro si ritrovò nel piazzale della casa, a pochi passi dentro una FIAT 500 C nera, il padre sembrava aspettarla con impazienza.
Il sole era già calato da un pezzo, nel cielo gl’ultimi rossori andavano scomparendo, il vento settembrino annunciava la fine della stagione estiva.
«Guida tu; portami in chiesa» Proferì il vecchio, lasciando il posto di guida alla figlia.
«Quale chiesa?»
«Alla chiesa del Carmelo».
Fatta un poco di strada, la FIAT 500 che veniva da Via Palermo imboccò Via Roma, lasciandosi alle spalle la deserta Piazza delle Palme. Mancavano poche decine di metri al quartiere che i regalbutesi chiamavano “U Carminu” in onore dell’antica Chiesa della Madonna del Carmelo.
«Cosa devi fare?» Chiese la donna, non appena arrivati a destinazione.
«Aspettami in macchina» Rispose il vecchio scendendo dall’automobile.
«Ma cosa dovete fare?»
«Devo confessarmi» Rispose l’anziano uomo, per poi salire con calma la scalinata della chiesa.
Tutto il quartiere era silenzioso, in lontananza si sentivano le voci di un’allegra famiglia che quasi certamente si preparava a cenare; il vecchio fece uscire dal suo mantello il braccio destro e con forza aprì il grosso portone in legno dell’entrata principale.
Dentro, il profumo di mille odori gli fecero intuire che la messa era finita da pochi istanti. Non perdendo tempo s’indirizzò verso la navata centrale.
«Beneditemi, padre!» gridò l’uomo facendo echeggiare la sua voce più volte all’interno del grande edificio.
Prete Vattiato non ci mise un attimo ad uscire della sua sagrestia e a mostrarsi all’uomo.
«Ditemi buon uomo, cosa posso fare per voi?» Chiese rispettosamente.
«Voglio la vostra benedizione, padre» rispose il vecchio.
Attenzione ricordo una cosina; critico e sincero giudizio non vuol dire prendermi in giro o umiliarmi...
Prologo
“Benvenuti al notiziario delle venti, iniziamo subito collegandoci con...”. Recitava un vecchio Philips, posto su un’altrettanto vecchio mobile, quando un signore parecchio anziano barcollando portò la rotella su “Off”.
La stanza prima illuminata dal televisore divenne improvvisamente buia, il vecchio tuttavia riuscì a risedersi; il luccichio del suo sigaro appena iniziato e il leggero fumo che esso emetteva gli indicarono la strada; si sedette.
«E così, ancora non perdi tempo per umiliarmi…» disse a voce bassa il vecchio facendo disperdere per la stanza una grossa boccata di fumo. «Perché proprio io?… Perché proprio io!!»
Si alzò, mentre il terminare delle sue parole insensate invadeva la stanza d’un angosciante silenzio; ma non ebbe la forza; si risedette, per poi cercare senza farcela di trattenere il suo pianto.
«Ho rinunciato a tutto per te facendo della tua legge un fardello» disse non appena s’asciugò il viso con lo sguardo perso nell’oscurità. «E tu… E tu! E tu mi hai ripagato con l’indifferenza più atroce. Ti ho offeso, è vero; però… però ero cambiato. Cercavo in te il perdono. Un perdono che non ho mai ricevuto; anche se… anche se mi avevi fatto credere il contrario! Che illuso… Ma non importa. No, non ha importanza; sarai tu a concedermi quella giustizia che mi hai sempre negato; sarai tu a sostenere quelle braccia che mai hai sostenuto. Lo giuro.»
Alla sua destra intanto la luce proveniente dalla stanza adiacente formava sbattendo nell’unica porta un rettangolo perfetto; l’uomo s’alzò nel buio, lasciando cadere il mozzicone del sigaro a terra. Tirata giù la maniglia con delicatezza, davanti ad egli, lungo il corridoio che dava accesso alle dodici stanze di cui si componeva il suo spazioso appartamento, una donna sui cinquantacinque anni di piacevole aspetto rassettava alcuni cassetti del piccolo comò posto sul lato destro del corridoio.
La Donna sorrise leggermente, il vecchio non ricambiò.
«Quando ritornerai da tuo marito e dai tuoi figli?» Chiese, come se si fosse dimenticato della presenza della donna.
«Non me n’andrò mai da qui senza di voi, Padre» Rispose la donna.
«Non verrò mai da te, lo sai benissimo perché sei rimasta?» Replicò il vecchio; i suoi occhi s’inzupparono nuovamente.
«Perché non volete venire, cosa vi abbiamo fatto… per voi esiste solo vostro figlio!»
«No, figlia mia, non ho nulla contro di voi, ma il mio posto e qui, tanti anni fa ho iniziato molte cose, mi sono illuso; ora devo completare, devo finire ciò che ho iniziato» Rinnovò il vecchio.
«Non mi piace come parlate! Non mi piace per nulla! Ci sono i vostri nipoti, ci sono io, avete delle responsabilità nei nostri confronti» proruppe la donna.
Il vecchio non replicò, chiuse le palpebre facendo scomparire i suoi occhi gonfi e maledettamente arrossati, poi emise un lungo sospiro, come a voler suggerire che parlare era inutile.
«Volete che vi prepari il letto?» Chiese ora la figlia consapevole di tutto.
«Il letto? Oh no, non potrei dormire» Osservò il vecchio, avviandosi verso ella. «Ma questa non è una novità… da molti anni ormai non dormo».
«Da quanto?» Chiese la figlia facendosi cadere una lacrima a terra, quasi di proposito.
«Molto, molto tempo. Troppo, a dire la verità» Rispose il vecchio lasciandosi alle spalle la figlia.
Se l’era chiesto fin da, quando erano usciti dal tribunale di Nicosia alcune ore prima; ora tutto prendeva forma scoprendo che le sue paure e le sue domande in fondo erano certezze. Ma era troppo tardi per fare prediche, e forse, pensò la donna, era giusto così:
«E’ chiusa a chiave» osservò la donna, guardando il padre affannarsi nell’aprire la porta che dava a quella che doveva essere secondo alcuni la sala da pranzo.
«Perché?» Indispettito non poco chiese il vecchio.
«Voglio esserci io questa volta» Rispose la donna consegnando una semplice chiave d’ottone al padre.
«Potrebbe essere pericoloso» aggiunse l’anziano padre.
«Non m’importa, non voglio che nessuno mi racconti nulla» replicò la donna.
«Giorgia, Elisa? Che faranno senza te?»
«Lo so, ma le mie figlie sono grandi, non corrono nessun pericolo» rispose la donna.
«Come tu sai che non puoi fermarmi, anche io non ti fermerò» proferì il vecchio.
Aperta la porta, il vecchio s’indirizzò verso l’unico quadro della stanza; la luce bassa che proveniva dal corridoio non permetteva di vedere cosa riproducesse, ad egli in ogni caso non interessava affatto. Prese il quadro con entrambi le mani e lo poggiò sul vicino tavolo; ora visibile, il quadro raffigurava quattro fanciulli con i visi tramortiti dalla fame, nelle piccole mani rinsecchite tenevano una tazza; aspettavano del cibo, probabilmente.
«Gli assomiglia tanto quel bimbo…» proferì la donna guardando il quadro.
«Il più piccolo, vero?» Aggiunse il vecchio. «Ma come si può scomparire nel nulla! Come!?»
«Ormai sono passati così tanti anni…» Osservò con grande tristezza la donna.
«Sai, certe volte lo odio solo per il semplice motivo d’essere nato. Se non fosse nato, non l’avrei pianto…» esternò il vecchio mordendosi le labbra.
«Non dite così…» replicò la donna. «Era pur sempre vostro nipote, figlio di vostro figlio».
«…sangue del mio sangue» aggiunse il vecchio. «Ma è inutile parlarne, soprattutto, quando si tratta di sangue morto».
«La colpa non è sua; lui era solo un’innocente. Sua madre c’è l’ha tolto… come se noi non fossimo nessuno. E infine quella maledetta guerra che se li è portati via».
«Sua madre ha fatto bene a portarselo via, solo oggi mi rendo conto che gli ha risparmiato una vita di pianti e nient’altro.»
«Forse; ma almeno oggi sarebbe vivo»
«E tu che ne sai!?» Pieno d’ira esclamò il vecchio. «Meglio morire a quell’età, in cui non sei cosciente di nulla; che morire quando hai assaporato i pochi piaceri della vita.»
«Vi sbagliate…» allo stremo del dolore osservò la donna.
«Perché c’è stato forse qualcuno che non ha pagato a nome mio!?»
Non susseguì nessuna replica: la donna rimase in silenzio, appoggiata di fianco al battente della porta, intenta solo ad osservare il padre.
Dietro il quadro, una piccola cassaforte. L’uomo benché la stanza non fosse per nulla illuminata, se non dalle luci che provenivano dal corridoio, riuscì ad aprirla; da essa fece venire fuori una scatola. Si sedette e la aprì con riguardo, dentro vi trovò una Revolver 442 e un piccolo contenitore in cui vi erano una ventina di proiettili. La smontò, la pulì, e rimontata ne caricò il tamburo interamente; sei colpi.
«Prendetemi il mio mantello, è nella camera in cui dormo; vi aspetto in macchina» disse uscendo dalla stanza.
La donna che nel frattempo si era appoggiata sulla porta, si precipitò nella camera del padre; dentro vi era un letto singolo, un comodino e un discreto armadio, dove vi trovò la mantella e in giro per la piccola stanza appese al muro alcune foto che ritraevano sempre due uomini. A differenza di tutta la casa, la stanza da letto era scarna e dai toni stranamente spartani.
«Aspettatemi papà. Non fatemi scendere le scale da sola» gridò la donna, nel prendere il mantello.
Non ricevette nessuna risposta; il portone che dava alle scale era già aperto.
Senza indugiare uscì dall’appartamento ritrovandosi nella piazzetta d’entrata. Da sotto, i passi del padre risuonavano per le scale, li ascoltò uno dopo l’altro, poi, quando si sentì il tonfo del portone d’ingresso, incominciò anche ella a scendere.
Aperto e chiuso il largo portone in ferro si ritrovò nel piazzale della casa, a pochi passi dentro una FIAT 500 C nera, il padre sembrava aspettarla con impazienza.
Il sole era già calato da un pezzo, nel cielo gl’ultimi rossori andavano scomparendo, il vento settembrino annunciava la fine della stagione estiva.
«Guida tu; portami in chiesa» Proferì il vecchio, lasciando il posto di guida alla figlia.
«Quale chiesa?»
«Alla chiesa del Carmelo».
Fatta un poco di strada, la FIAT 500 che veniva da Via Palermo imboccò Via Roma, lasciandosi alle spalle la deserta Piazza delle Palme. Mancavano poche decine di metri al quartiere che i regalbutesi chiamavano “U Carminu” in onore dell’antica Chiesa della Madonna del Carmelo.
«Cosa devi fare?» Chiese la donna, non appena arrivati a destinazione.
«Aspettami in macchina» Rispose il vecchio scendendo dall’automobile.
«Ma cosa dovete fare?»
«Devo confessarmi» Rispose l’anziano uomo, per poi salire con calma la scalinata della chiesa.
Tutto il quartiere era silenzioso, in lontananza si sentivano le voci di un’allegra famiglia che quasi certamente si preparava a cenare; il vecchio fece uscire dal suo mantello il braccio destro e con forza aprì il grosso portone in legno dell’entrata principale.
Dentro, il profumo di mille odori gli fecero intuire che la messa era finita da pochi istanti. Non perdendo tempo s’indirizzò verso la navata centrale.
«Beneditemi, padre!» gridò l’uomo facendo echeggiare la sua voce più volte all’interno del grande edificio.
Prete Vattiato non ci mise un attimo ad uscire della sua sagrestia e a mostrarsi all’uomo.
«Ditemi buon uomo, cosa posso fare per voi?» Chiese rispettosamente.
«Voglio la vostra benedizione, padre» rispose il vecchio.
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