l gelo infinito. I ghiacci.
tutto avvolto nell'oscurità, quelle terre non conoscevano il significato della parola luce.
Il vento era qualcosa di veramente strano, carezzava senza che la pelle potesse avvertirne il vellutato tocco, senza che i timpani potessero anche minimamente vibrare al suo soffice sfiorare l'orecchio. Il silenzio...
in vita avevano provato tanto di quel gelo chiamato “silenzio”...il più ossessivo, il più tremendo dei nemici. Una vita da sordi senza essere privati dell'udito, non è forse una delle torture più incredibili, più efficaci?
Eppure questo non è l'inferno, io non ricordo d'esser morto. Perché sono nudo? Il freddo è tremendo...vorrei coprirmi...vorrei far rumore per scaldarmi dentro, vorrei correre per rendere tiepido il corpo.
Un dolore nella testa bloccava in lui ogni funzione vitale. Eppure improvvisamente qualcosa in lui si mosse, qualcosa che voleva il sopravvento nelle sue azioni. Sentì la gamba sinistra muoversi quasi da sola in avanti. Sentì il ginocchio piegarsi, per dare spinta al suo movimento. La gamba destra, di lì a poco, seguitò il movimento della sua gemella. Fu così che riuscì a camminare nel nulla totale per qualche metro. Il suo corpo si era ribellato al rischio congelamento. Ritmicamente, le braccia ondulavano, quasi seguendo il passo dei piedi, per garantire equilibrio al corpo intero. La figura che stava dietro di lui, vide la carnagione un po' scura mimetizzarsi nell'ombra, fino a sparire completamente in essa. Gli occhi scuri del giovane cercavano, attraverso il dilatamento della pupilla, di rubare all'aria quanta più luce possibile, ma questa sembrava esserne molto avida.
Il freddo si faceva lancinante con il tempo. I capelli neri lunghi fino alle spalle del giovane colorarono le proprie punte di bianca neve. Violacee labbra si stringevano, per lasciare liberi i denti di battere.
Udì un sibilo tremendo, proveniente dalla sua sinistra. Si voltò, era il primo rumore che sentiva, da quanto era lì. Pochi, infiniti, minuti. Si aggrappò a quel suono agghiacciante, quel soffio sordo e profondo, come una speranza. Finalmente le orecchie poteva gioire di essere utili. Con un sorriso che parve a lui stesso irreale, si voltò. Non capiva nemmeno il motivo del suo sorriso; ed ebbe ancora meno motivi per farlo. Una sferetta gialla schizzava a destra a sinistra, per pochi millimetri. Un occhio sfavillante, vivo. Famelico. Il secondo suono. Artigli che graffiavano contro dura pietra. Ancora un altro suono. L'ennesimo, oramai. In quel momento si pentiva di aver tanto desiderato di avvertire ancora i suoni. Un ringhio. Un ringhio di tigre dei ghiacci. Mano a mano che si avvicinava, il bianco pelo striato di nero si faceva notare, per il suo andamento sinuoso, quasi ondulato, femmineo, quasi.
Si aggrappò a quell'immagine, l'ultima, di cui i suoi occhi poterono godere.
Almeno, lui credeva fosse così. Sentì l'alito del felino avvicinarsi alle sue narici, che avvertirono quell'odore, che parve quasi gradevole. Si erano preparate all'odore del sangue che di lì a poco avrebbero avvertito. Anche loro si erano convinti che prima o poi, quegli artigli, si sarebbero avvinghiati alla sua carne. Un altro ringhio, potente. Immobile, il ragazzo oramai non aspettava che il morso che l'avrebbe finito. Girato a tre quarti verso l'animale, aveva gli occhi spalancati, solcati da fredde gocce di sudore, trafitte dal vento.
Un urlo ancora più agghiacciante di quel freddo cattivo e famelico si sollevò nel cielo. Una zampata irta di unghie affilatissime si abbatté sul fianco destro del volto dello sfortunato. Spinto dalla forza di quel colpo, rotolò all'indietro, cadendo. Non sentiva le pietre, la terra, sotto la sua schiena. Appallottolato, si portò le mani al volto, ancora urlando. Provò, tutto tremante, ad aprire gli occhi. L'occhio sinistro svolgeva ancora la sua funzione...ma il destro era andato via. Preso come tributo dal felino.
Perché non mi finisci? UCCIDIMI!
Con uno strattone deciso, ma non offensivo, la zampa della tigre bianca allontanò le mani dal volto del giovane, costringendolo a stare a pancia all'aria. Il ventre si sollevava ed abbassava ritmicamente, straziato dal freddo, dal dolore, dalla paura. Questi tre tempi, sommati assieme, formavano un ritmo unico, e purtroppo, inimitabile. Il ritmo della morte. Invece, il felino, non voleva uccidere quella che sarebbe dovuta essere la sua preda. Al contrario, si preoccupò per lei. Leccò via il sangue misto a lacrime. L'umano non osò muoversi, qualcosa gli diceva di non farlo. Forse, la paura stessa. Tutto ad un tratto, sentì il dolore alleviarsi. Il suo respiro si placò, i polmoni si erano dilatati, il cuore ripreso il suo battito normale. Tornava a respirare normalmente il suo corpo.
Il bianco felino si allontanò per un secondo, senza staccare gli occhi da lui. L'umano si rialzò, senza fatica. Si portò la mano al volto. Sentiva i tre solchi provocati dalle unghie della bestia. Cicatrizzati, come fossero ferite di molti anni addietro. Con l'unico occhio rimasto, osservò profondamente lo sguardo del suo nuovo, unico, amico.
ecco a voi un altro paragrafo, anche se credo che non posterò più, credo sia un flop, nessuno commenta, dunque non piace, dunque è inutile...è stato bello raga, vi lascio questo, ma poi non credo che sia il caso di postare altrove...
tutto avvolto nell'oscurità, quelle terre non conoscevano il significato della parola luce.
Il vento era qualcosa di veramente strano, carezzava senza che la pelle potesse avvertirne il vellutato tocco, senza che i timpani potessero anche minimamente vibrare al suo soffice sfiorare l'orecchio. Il silenzio...
in vita avevano provato tanto di quel gelo chiamato “silenzio”...il più ossessivo, il più tremendo dei nemici. Una vita da sordi senza essere privati dell'udito, non è forse una delle torture più incredibili, più efficaci?
Eppure questo non è l'inferno, io non ricordo d'esser morto. Perché sono nudo? Il freddo è tremendo...vorrei coprirmi...vorrei far rumore per scaldarmi dentro, vorrei correre per rendere tiepido il corpo.
Un dolore nella testa bloccava in lui ogni funzione vitale. Eppure improvvisamente qualcosa in lui si mosse, qualcosa che voleva il sopravvento nelle sue azioni. Sentì la gamba sinistra muoversi quasi da sola in avanti. Sentì il ginocchio piegarsi, per dare spinta al suo movimento. La gamba destra, di lì a poco, seguitò il movimento della sua gemella. Fu così che riuscì a camminare nel nulla totale per qualche metro. Il suo corpo si era ribellato al rischio congelamento. Ritmicamente, le braccia ondulavano, quasi seguendo il passo dei piedi, per garantire equilibrio al corpo intero. La figura che stava dietro di lui, vide la carnagione un po' scura mimetizzarsi nell'ombra, fino a sparire completamente in essa. Gli occhi scuri del giovane cercavano, attraverso il dilatamento della pupilla, di rubare all'aria quanta più luce possibile, ma questa sembrava esserne molto avida.
Il freddo si faceva lancinante con il tempo. I capelli neri lunghi fino alle spalle del giovane colorarono le proprie punte di bianca neve. Violacee labbra si stringevano, per lasciare liberi i denti di battere.
Udì un sibilo tremendo, proveniente dalla sua sinistra. Si voltò, era il primo rumore che sentiva, da quanto era lì. Pochi, infiniti, minuti. Si aggrappò a quel suono agghiacciante, quel soffio sordo e profondo, come una speranza. Finalmente le orecchie poteva gioire di essere utili. Con un sorriso che parve a lui stesso irreale, si voltò. Non capiva nemmeno il motivo del suo sorriso; ed ebbe ancora meno motivi per farlo. Una sferetta gialla schizzava a destra a sinistra, per pochi millimetri. Un occhio sfavillante, vivo. Famelico. Il secondo suono. Artigli che graffiavano contro dura pietra. Ancora un altro suono. L'ennesimo, oramai. In quel momento si pentiva di aver tanto desiderato di avvertire ancora i suoni. Un ringhio. Un ringhio di tigre dei ghiacci. Mano a mano che si avvicinava, il bianco pelo striato di nero si faceva notare, per il suo andamento sinuoso, quasi ondulato, femmineo, quasi.
Si aggrappò a quell'immagine, l'ultima, di cui i suoi occhi poterono godere.
Almeno, lui credeva fosse così. Sentì l'alito del felino avvicinarsi alle sue narici, che avvertirono quell'odore, che parve quasi gradevole. Si erano preparate all'odore del sangue che di lì a poco avrebbero avvertito. Anche loro si erano convinti che prima o poi, quegli artigli, si sarebbero avvinghiati alla sua carne. Un altro ringhio, potente. Immobile, il ragazzo oramai non aspettava che il morso che l'avrebbe finito. Girato a tre quarti verso l'animale, aveva gli occhi spalancati, solcati da fredde gocce di sudore, trafitte dal vento.
Un urlo ancora più agghiacciante di quel freddo cattivo e famelico si sollevò nel cielo. Una zampata irta di unghie affilatissime si abbatté sul fianco destro del volto dello sfortunato. Spinto dalla forza di quel colpo, rotolò all'indietro, cadendo. Non sentiva le pietre, la terra, sotto la sua schiena. Appallottolato, si portò le mani al volto, ancora urlando. Provò, tutto tremante, ad aprire gli occhi. L'occhio sinistro svolgeva ancora la sua funzione...ma il destro era andato via. Preso come tributo dal felino.
Perché non mi finisci? UCCIDIMI!
Con uno strattone deciso, ma non offensivo, la zampa della tigre bianca allontanò le mani dal volto del giovane, costringendolo a stare a pancia all'aria. Il ventre si sollevava ed abbassava ritmicamente, straziato dal freddo, dal dolore, dalla paura. Questi tre tempi, sommati assieme, formavano un ritmo unico, e purtroppo, inimitabile. Il ritmo della morte. Invece, il felino, non voleva uccidere quella che sarebbe dovuta essere la sua preda. Al contrario, si preoccupò per lei. Leccò via il sangue misto a lacrime. L'umano non osò muoversi, qualcosa gli diceva di non farlo. Forse, la paura stessa. Tutto ad un tratto, sentì il dolore alleviarsi. Il suo respiro si placò, i polmoni si erano dilatati, il cuore ripreso il suo battito normale. Tornava a respirare normalmente il suo corpo.
Il bianco felino si allontanò per un secondo, senza staccare gli occhi da lui. L'umano si rialzò, senza fatica. Si portò la mano al volto. Sentiva i tre solchi provocati dalle unghie della bestia. Cicatrizzati, come fossero ferite di molti anni addietro. Con l'unico occhio rimasto, osservò profondamente lo sguardo del suo nuovo, unico, amico.
ecco a voi un altro paragrafo, anche se credo che non posterò più, credo sia un flop, nessuno commenta, dunque non piace, dunque è inutile...è stato bello raga, vi lascio questo, ma poi non credo che sia il caso di postare altrove...
Comment