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The Sixth
Part 02 - Make a Wish (parte prima)
Piccolo atterrò al Santuario di Dio, il suo mantello immacolato che svolazzava al vento contro il cielo notturno. Si guardò intorno come se arrivasse lì per la prima volta, ma in realtà conosceva già fin troppo bene quel posto dove il suo alter ego, ora fuso con il suo corpo, era vissuto per secoli. “Piccolo!” esclamò Dende correndo incontro al guerriero verde seguito da Mr. Popo a breve distanza. “Ero preoccupato per te! Ho avuto un brutto presentimento mentre ero in meditazione e temevo fosse successo qualcosa di grave.. Forse l’aura che ho sentito comparire all’improvviso era solo una mia impressione?”. Piccolo non rispose. Fece qualche passo avanti, come se stesse saggiando il terreno sotto i suoi piedi. “Sì,” disse poi “credo sia successo qualcosa di grave”. “Davvero?” il giovane namekiano spalancò gli occhi “Pensi sia il caso di chiamare anche Goku e gli altri?”. Nonostante fosse il Dio della Terra, Dende continuava a provare un grande rispetto per quello che considerava essere il suo tutore e preferiva avere la sua approvazione qualunque decisione prendesse. “No,” replicò Piccolo “non ancora. Anzi, è meglio che loro non abbiano niente a che fare con questa storia. Dobbiamo sistemare il problema in maniera più pulita. Dove sono le Sfere del Drago?”. Dende esitò: c’era qualcosa che non lo convinceva nel comportamento di Piccolo. Aveva ammesso l’esistenza di un problema, ma non voleva parlarne. E riteneva che fosse così grave da dover usare le Sfere del Drago.
Era passato molto tempo dall’ultima volta che le Sfere del Drago erano state utilizzate, quasi vent’anni. Dopo la sconfitta di Majin Bu, Dende aveva deciso che erano troppo pericolose per essere lasciate sulla Terra; aveva chiesto a Piccolo di ritrovarle e portarle al Santuario, in modo che potessero esservi custodite finché non si fosse veramente presentata una situazione di emergenza. I due namekiani aveva discusso a lungo in proposito: troppe volte, in passato, le Sfere erano state nelle mire di individui che avevano voluto sfruttarle per i loro fini, non ultimo lo stesso Piccolo. Sarebbe stato molto meglio che gli abitanti della Terra dimenticassero della loro esistenza e che restassero custodite nel posto più sicuro del mondo. Non doveva più accadere che una ragazzina ne trovasse per caso una nella cantina di casa e decidesse di cercare le altre per avere qualcosa da fare durante le vacanze. Le Sfere del Drago non dovevano più essere usate per motivi personali. Fu per questo motivo che Dende si insospettì: possibile che Piccolo gliele chiedesse senza nemmeno spiegargliene la ragione? Il giovane alieno si mise direttamente davanti il suo compagno più anziano: “Cosa significa che dobbiamo sistemare le cose in maniera pulita? Perché ti servono le Sfere del Drago?”. Piccolo sembrò risentirsi: “Non devo rendertene conto! Dimmi dove sono e basta!”. Adesso Dende era certo che ci fosse qualcosa di strano: quello non era Piccolo, poco ma sicuro. Mr. Popo, anch’egli visibilmente atterrito (il che era notevole, considerata la sua consueta mancanza di espressività, faceva correre lo sguardo da un namekiano all’altro, in attesa che qualcuno dicesse qualcosa che potesse sbloccare la situazione. A sbloccare la situazione fu la mano di Piccolo che gli si serrò sulla gola senza che lui nemmeno potesse vederne il movimento. Sollevando da terra il basso uomo nero senza apparente sforzo, Piccolo puntò lo sguardo su Dende: “Portami immediatamente le Sfere del Drago, se non vuoi che il tuo amico faccia una brutta fine!” sibilò mentre una luce omicida gli balenava negli occhi. Il giovane arretrò di qualche passo: “Chi sei? Tu non puoi essere Piccolo!”. “Chi io sia non ti deve interessare! Portami quelle Sfere senza fare storie”. Quasi a enfatizzare le proprie parole, Piccolo strinse la gola di Mr. Popo, estraendone un rantolo di agonia. “E va bene!” cedette Dende “Adesso vado a prenderle!”. Il Dio della Terra scomparve tra le colonne del Santuario, mentre si inoltrava nell’edificio principale. Per espressa richiesta di Piccolo, era meglio che solo Dende, e nessun altro, conoscesse l’esatta posizione delle Sfere: nessuno lo avrebbe ucciso per impadronirsene, perché la sua morte sarebbe stata la fine delle Sfere del Drago. Mentre il giovane namekiano percorreva i labirintici complessi di corridoi e scale che costituivano l’interno del Santuario, pensò che il suo brutto presentimento si era avverato nella maniera peggiore possibile. Piccolo doveva essere posseduto da un qualche tipo di agente esterno, non c’era altra spiegazione per il suo comportamento. Fortunatamente, Dende sapeva a chi rivolgersi.
“Manca ancora molto?” chiese Marron cominciando a spazientirsi. “Ci siamo quasi” la tranquillizzò Trunks. Quel viaggio in macchina era un po’ troppo lungo per i gusti della ragazza. Stava incominciando a chiedersi seriamente se Trunks non si fosse perso. Erano partiti da circa un’ora dalla Città dell’Ovest e Trunks si era vantato di conoscere un ristorante come non se ne potevano immaginare a poca distanza dal centro abitato. Eppure, non erano ancora arrivati. Stavano viaggiando ormai da un pezzo su di una ampia strada di periferia, incrociando altre auto solo di tanto in tanto. Tutto ciò che c’era da vedere nel paesaggio erano degli enormi campi coltivati. Tanto più che il giovane presidente della Capsule Corporation non era esattamente un brillante conversatore e, nonostante fosse abituata a negarli di fronte a tutti, c’erano dei momenti in cui Marron doveva ammettere i suoi difetti almeno con se stessa. Quando riusciva a venire a patti con la propria testardaggine, cercava di compensare alle carenze del suo ragazzo. “Com’è andata sul lavoro?” gli chiese per rompere l’irritante silenzio che stava diventando intollerabile. Trunks si girò verso Marron quasi sorpreso: ma quando mai lei si era interessata al suo lavoro? “Oh, niente di che” rispose con distacco. Marron sospirò: la conversazione languiva, come al solito. Nonostante si vantasse sempre del suo ragazzo, certe volte le veniva da chiedersi perché stessero insieme. Certo, perché era stata lei a farsi avanti per prima: se avesse aspettato lui, avrebbe fatto in tempo a invecchiare. Ma valeva davvero la pena di portare avanti una storia simile? I suoi pensieri furono interrotti dalla brusca frenata dell’auto, che la fece quasi andare a sbattere contro il cruscotto. “Ehi!” gridò sollevando la faccia e lanciando un’occhiata di rimprovero a Trunks “Sta’ più attento, per poco…”. Non fece in tempo a finire la frase: vide il motivo per cui Trunks aveva inchiodato. Un uomo dal lungo mantello nero, con un’armatura blu cupo a proteggergli il corpo, stava levitando a pochi metri da terra proprio davanti a loro.
“Non vale la pena di andare avanti!” sentenziò Chichi sporgendosi dal sedile posteriore dell’auto e afferrando Goten per un orecchio “È inutile che tu continui ad andare all’università se non hai voglia di studiare!”. “Ma dai,” la tranquillizzò Goku dal posto di guida “in fondo, si tratta solo di aspettare un paio di mesi! Non mi sembra una tragedia se questo esame gli è andato male!” “Tu sta’ zitto!” lo rimproverò la moglie “Non è solo per questo esame! Cosa mi dici di tutti gli altri? E poi, perché prendi sempre le sue difese quando lo sgrido?”. Goku si trovò spiazzato. Era il guerriero più forte dell’universo, eppure, quando si trovava a litigare con sua moglie, provava l’irrefrenabile desiderio di sparire. Voleva una scusa per potersene andare. E la scusa arrivò. La voce di Dende gli risuonò nella testa: “Goku! C’è un’emergenza! Ho bisogno di te qui, subito!”. L’auto frenò bruscamente, mentre le parole di Chichi si perdevano nel rumore delle ruote che stridevano sull’asfalto. “Prendi tu il volante” disse Goku rivolto a Goten “Io ho una cosa urgente da fare”. Un attimo dopo, era scomparso.
The Sixth
Part 02 - Make a Wish (parte prima)
Piccolo atterrò al Santuario di Dio, il suo mantello immacolato che svolazzava al vento contro il cielo notturno. Si guardò intorno come se arrivasse lì per la prima volta, ma in realtà conosceva già fin troppo bene quel posto dove il suo alter ego, ora fuso con il suo corpo, era vissuto per secoli. “Piccolo!” esclamò Dende correndo incontro al guerriero verde seguito da Mr. Popo a breve distanza. “Ero preoccupato per te! Ho avuto un brutto presentimento mentre ero in meditazione e temevo fosse successo qualcosa di grave.. Forse l’aura che ho sentito comparire all’improvviso era solo una mia impressione?”. Piccolo non rispose. Fece qualche passo avanti, come se stesse saggiando il terreno sotto i suoi piedi. “Sì,” disse poi “credo sia successo qualcosa di grave”. “Davvero?” il giovane namekiano spalancò gli occhi “Pensi sia il caso di chiamare anche Goku e gli altri?”. Nonostante fosse il Dio della Terra, Dende continuava a provare un grande rispetto per quello che considerava essere il suo tutore e preferiva avere la sua approvazione qualunque decisione prendesse. “No,” replicò Piccolo “non ancora. Anzi, è meglio che loro non abbiano niente a che fare con questa storia. Dobbiamo sistemare il problema in maniera più pulita. Dove sono le Sfere del Drago?”. Dende esitò: c’era qualcosa che non lo convinceva nel comportamento di Piccolo. Aveva ammesso l’esistenza di un problema, ma non voleva parlarne. E riteneva che fosse così grave da dover usare le Sfere del Drago.
Era passato molto tempo dall’ultima volta che le Sfere del Drago erano state utilizzate, quasi vent’anni. Dopo la sconfitta di Majin Bu, Dende aveva deciso che erano troppo pericolose per essere lasciate sulla Terra; aveva chiesto a Piccolo di ritrovarle e portarle al Santuario, in modo che potessero esservi custodite finché non si fosse veramente presentata una situazione di emergenza. I due namekiani aveva discusso a lungo in proposito: troppe volte, in passato, le Sfere erano state nelle mire di individui che avevano voluto sfruttarle per i loro fini, non ultimo lo stesso Piccolo. Sarebbe stato molto meglio che gli abitanti della Terra dimenticassero della loro esistenza e che restassero custodite nel posto più sicuro del mondo. Non doveva più accadere che una ragazzina ne trovasse per caso una nella cantina di casa e decidesse di cercare le altre per avere qualcosa da fare durante le vacanze. Le Sfere del Drago non dovevano più essere usate per motivi personali. Fu per questo motivo che Dende si insospettì: possibile che Piccolo gliele chiedesse senza nemmeno spiegargliene la ragione? Il giovane alieno si mise direttamente davanti il suo compagno più anziano: “Cosa significa che dobbiamo sistemare le cose in maniera pulita? Perché ti servono le Sfere del Drago?”. Piccolo sembrò risentirsi: “Non devo rendertene conto! Dimmi dove sono e basta!”. Adesso Dende era certo che ci fosse qualcosa di strano: quello non era Piccolo, poco ma sicuro. Mr. Popo, anch’egli visibilmente atterrito (il che era notevole, considerata la sua consueta mancanza di espressività, faceva correre lo sguardo da un namekiano all’altro, in attesa che qualcuno dicesse qualcosa che potesse sbloccare la situazione. A sbloccare la situazione fu la mano di Piccolo che gli si serrò sulla gola senza che lui nemmeno potesse vederne il movimento. Sollevando da terra il basso uomo nero senza apparente sforzo, Piccolo puntò lo sguardo su Dende: “Portami immediatamente le Sfere del Drago, se non vuoi che il tuo amico faccia una brutta fine!” sibilò mentre una luce omicida gli balenava negli occhi. Il giovane arretrò di qualche passo: “Chi sei? Tu non puoi essere Piccolo!”. “Chi io sia non ti deve interessare! Portami quelle Sfere senza fare storie”. Quasi a enfatizzare le proprie parole, Piccolo strinse la gola di Mr. Popo, estraendone un rantolo di agonia. “E va bene!” cedette Dende “Adesso vado a prenderle!”. Il Dio della Terra scomparve tra le colonne del Santuario, mentre si inoltrava nell’edificio principale. Per espressa richiesta di Piccolo, era meglio che solo Dende, e nessun altro, conoscesse l’esatta posizione delle Sfere: nessuno lo avrebbe ucciso per impadronirsene, perché la sua morte sarebbe stata la fine delle Sfere del Drago. Mentre il giovane namekiano percorreva i labirintici complessi di corridoi e scale che costituivano l’interno del Santuario, pensò che il suo brutto presentimento si era avverato nella maniera peggiore possibile. Piccolo doveva essere posseduto da un qualche tipo di agente esterno, non c’era altra spiegazione per il suo comportamento. Fortunatamente, Dende sapeva a chi rivolgersi.
“Manca ancora molto?” chiese Marron cominciando a spazientirsi. “Ci siamo quasi” la tranquillizzò Trunks. Quel viaggio in macchina era un po’ troppo lungo per i gusti della ragazza. Stava incominciando a chiedersi seriamente se Trunks non si fosse perso. Erano partiti da circa un’ora dalla Città dell’Ovest e Trunks si era vantato di conoscere un ristorante come non se ne potevano immaginare a poca distanza dal centro abitato. Eppure, non erano ancora arrivati. Stavano viaggiando ormai da un pezzo su di una ampia strada di periferia, incrociando altre auto solo di tanto in tanto. Tutto ciò che c’era da vedere nel paesaggio erano degli enormi campi coltivati. Tanto più che il giovane presidente della Capsule Corporation non era esattamente un brillante conversatore e, nonostante fosse abituata a negarli di fronte a tutti, c’erano dei momenti in cui Marron doveva ammettere i suoi difetti almeno con se stessa. Quando riusciva a venire a patti con la propria testardaggine, cercava di compensare alle carenze del suo ragazzo. “Com’è andata sul lavoro?” gli chiese per rompere l’irritante silenzio che stava diventando intollerabile. Trunks si girò verso Marron quasi sorpreso: ma quando mai lei si era interessata al suo lavoro? “Oh, niente di che” rispose con distacco. Marron sospirò: la conversazione languiva, come al solito. Nonostante si vantasse sempre del suo ragazzo, certe volte le veniva da chiedersi perché stessero insieme. Certo, perché era stata lei a farsi avanti per prima: se avesse aspettato lui, avrebbe fatto in tempo a invecchiare. Ma valeva davvero la pena di portare avanti una storia simile? I suoi pensieri furono interrotti dalla brusca frenata dell’auto, che la fece quasi andare a sbattere contro il cruscotto. “Ehi!” gridò sollevando la faccia e lanciando un’occhiata di rimprovero a Trunks “Sta’ più attento, per poco…”. Non fece in tempo a finire la frase: vide il motivo per cui Trunks aveva inchiodato. Un uomo dal lungo mantello nero, con un’armatura blu cupo a proteggergli il corpo, stava levitando a pochi metri da terra proprio davanti a loro.
“Non vale la pena di andare avanti!” sentenziò Chichi sporgendosi dal sedile posteriore dell’auto e afferrando Goten per un orecchio “È inutile che tu continui ad andare all’università se non hai voglia di studiare!”. “Ma dai,” la tranquillizzò Goku dal posto di guida “in fondo, si tratta solo di aspettare un paio di mesi! Non mi sembra una tragedia se questo esame gli è andato male!” “Tu sta’ zitto!” lo rimproverò la moglie “Non è solo per questo esame! Cosa mi dici di tutti gli altri? E poi, perché prendi sempre le sue difese quando lo sgrido?”. Goku si trovò spiazzato. Era il guerriero più forte dell’universo, eppure, quando si trovava a litigare con sua moglie, provava l’irrefrenabile desiderio di sparire. Voleva una scusa per potersene andare. E la scusa arrivò. La voce di Dende gli risuonò nella testa: “Goku! C’è un’emergenza! Ho bisogno di te qui, subito!”. L’auto frenò bruscamente, mentre le parole di Chichi si perdevano nel rumore delle ruote che stridevano sull’asfalto. “Prendi tu il volante” disse Goku rivolto a Goten “Io ho una cosa urgente da fare”. Un attimo dopo, era scomparso.
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