Copio un topic scritto da me su GR perché ne ho voglia di aprirne uno ma non vorrei dividermi. Non accadrà più.
Mentre vi scrivo, in questo momento, sono assediato dall'incessante zufolare di alcuni malvagi uccelli: i loro fischi penetrano nell'atmosfera, lacerano l'aria e arrivano ai timpani, strappandoli per poi rammendarli con fili di oscurità. Nessuno conosce la loro ubicazione, ma tutti ne avvertono le lamentose emissioni: perché gli uccellini si divertono a tormentare gli esseri umani? Perché fischiettano? Perché lo fanno così intensamente?
Cosa li spinge a trovare dimora in una grigia e fumosa città, quale mano celeste li esorta ogni giorno a portare a termine il loro biasimevole compito?
Più generalmente, gli uccelli esistono? Che siano soltanto suppliche delle nostre sinapsi, implorazioni dei nostri fiacchi neuroni, preghiere delle nostre consunte cortecce?
Io credo che nulla, a questo mondo, sia casuale, ancorché non possiamo capirne il senso; dunque, cosa determina il manifestarsi di un supplizio tanto insensibile ai dolori umani? Qual è la causa finale di costoro?
Gli uccelli hanno diverse forme, analogamente agli stati d'animo (alcuni studiosi, probabilmente troppo avventati, compiono coraggiose e svianti associazioni che li legano indissolubilmente al frutto maleifico): ci sono i corvi e gli avvoltoi, neri e gracchianti; ci sono gli uccelli piccoli e policromi, collegabili alle variopinte modalità di giungere alla soddisfazione personale; ne esistono di grandi, solenni, dotati di un'ampiezza d'apertura alare che farebbe invidia ad un aeroplano di linea: essi incarnano l'ambizione, la Sapienza, le qualità divine cui non possiamo che anelare invano.
Cos'hanno in comune? Sono muniti di ali, svolazzano nel cielo. Noi siamo ancorati al suolo, subordinati alla attrazione gravitazionale e soggetti alle regole del Cosmo; loro svolazzano nel cielo. Sono esseri superiori: esenti dalle debolezze e dall'invidia divina, si fanno beffe di noi comuni mortali. Chi erano, secondo voi, le divinità del mondo classico? Uccelli. A chi si rivolgevano le preghiere e le invocazioni di una Medea disperata o di un Achille redivivo? Agli uccelli.
Essi dovrebbero fungere da tramite tra noi e la trascendenza, ma ci scherniscono continuamente. La loro infernale cadenza, il loro ritmo tamburellante continua a trapanare le nostre membra gonfie e stanche per la tensione. Dio, come re medievali, ha affidato loro la sovrintendenza del consorzio umano; loro, di tutta risposta, come signorotti, si crogiolano nella superiorità concessa e si riducono deliberatamente per essere studiati, per poi tramare di ribellarsi un giorno e di far ripiombare l'essere umano nel profondo abisso da cui si è originato.
Non tollerano una cosa: il fatto che abbiamo tentato di imitarli. Il volo per noi è sempre stato fondamentale e la tecnologia permette di progettare veivoli che, per definizione, compiono enormi traversate in poco tempo. Cosa accade, allora? Accade che siamo empi, che non rispettiamo il volere divino, che ci affacciamo ad un mondo che non ci appartiene: quando credete che la civiltà greca sia tramontata? Vi stupirà, ma il suo tramonto coincide fatalmente con la cessazione delle adorazioni ornitologiche.
E Romolo Augustolo, da giovane quale era, saltava dai Colli muovendo le braccia a mo' di ali. Per questo fu punito.
Cosa fare? Semplice. Prima di tutto, bisogna abbandonare ogni tentativo di oltrepassare l'atmosfera e abolire qualunque mezzo ci permetta di elevarci; poi, passare all'adorazione degli uccelli: il pettirosso addolcisce il presente, il gufo il passato, l'aquila il futuro.
Non passeremo mai ad un livello superiore? Non importa, io sono convinto che sia necessaria una osservazione della propria interiorità ed un tentativo di riappacificazione con essa.
Mentre vi scrivo, in questo momento, sono assediato dall'incessante zufolare di alcuni malvagi uccelli: i loro fischi penetrano nell'atmosfera, lacerano l'aria e arrivano ai timpani, strappandoli per poi rammendarli con fili di oscurità. Nessuno conosce la loro ubicazione, ma tutti ne avvertono le lamentose emissioni: perché gli uccellini si divertono a tormentare gli esseri umani? Perché fischiettano? Perché lo fanno così intensamente?
Cosa li spinge a trovare dimora in una grigia e fumosa città, quale mano celeste li esorta ogni giorno a portare a termine il loro biasimevole compito?
Più generalmente, gli uccelli esistono? Che siano soltanto suppliche delle nostre sinapsi, implorazioni dei nostri fiacchi neuroni, preghiere delle nostre consunte cortecce?
Io credo che nulla, a questo mondo, sia casuale, ancorché non possiamo capirne il senso; dunque, cosa determina il manifestarsi di un supplizio tanto insensibile ai dolori umani? Qual è la causa finale di costoro?
Gli uccelli hanno diverse forme, analogamente agli stati d'animo (alcuni studiosi, probabilmente troppo avventati, compiono coraggiose e svianti associazioni che li legano indissolubilmente al frutto maleifico): ci sono i corvi e gli avvoltoi, neri e gracchianti; ci sono gli uccelli piccoli e policromi, collegabili alle variopinte modalità di giungere alla soddisfazione personale; ne esistono di grandi, solenni, dotati di un'ampiezza d'apertura alare che farebbe invidia ad un aeroplano di linea: essi incarnano l'ambizione, la Sapienza, le qualità divine cui non possiamo che anelare invano.
Cos'hanno in comune? Sono muniti di ali, svolazzano nel cielo. Noi siamo ancorati al suolo, subordinati alla attrazione gravitazionale e soggetti alle regole del Cosmo; loro svolazzano nel cielo. Sono esseri superiori: esenti dalle debolezze e dall'invidia divina, si fanno beffe di noi comuni mortali. Chi erano, secondo voi, le divinità del mondo classico? Uccelli. A chi si rivolgevano le preghiere e le invocazioni di una Medea disperata o di un Achille redivivo? Agli uccelli.
Essi dovrebbero fungere da tramite tra noi e la trascendenza, ma ci scherniscono continuamente. La loro infernale cadenza, il loro ritmo tamburellante continua a trapanare le nostre membra gonfie e stanche per la tensione. Dio, come re medievali, ha affidato loro la sovrintendenza del consorzio umano; loro, di tutta risposta, come signorotti, si crogiolano nella superiorità concessa e si riducono deliberatamente per essere studiati, per poi tramare di ribellarsi un giorno e di far ripiombare l'essere umano nel profondo abisso da cui si è originato.
Non tollerano una cosa: il fatto che abbiamo tentato di imitarli. Il volo per noi è sempre stato fondamentale e la tecnologia permette di progettare veivoli che, per definizione, compiono enormi traversate in poco tempo. Cosa accade, allora? Accade che siamo empi, che non rispettiamo il volere divino, che ci affacciamo ad un mondo che non ci appartiene: quando credete che la civiltà greca sia tramontata? Vi stupirà, ma il suo tramonto coincide fatalmente con la cessazione delle adorazioni ornitologiche.
E Romolo Augustolo, da giovane quale era, saltava dai Colli muovendo le braccia a mo' di ali. Per questo fu punito.
Cosa fare? Semplice. Prima di tutto, bisogna abbandonare ogni tentativo di oltrepassare l'atmosfera e abolire qualunque mezzo ci permetta di elevarci; poi, passare all'adorazione degli uccelli: il pettirosso addolcisce il presente, il gufo il passato, l'aquila il futuro.
Non passeremo mai ad un livello superiore? Non importa, io sono convinto che sia necessaria una osservazione della propria interiorità ed un tentativo di riappacificazione con essa.
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