Mi spiego.
Oggi in classe è sorta una discussione riguardo a questo argomento.
Il professore di Filosofia (naturalmente ateo) sosteneva che il credente non è felice, in quanto lui vive nell'illusione di vivere "sotto le dipendenze" di un essere superiore, che decide cosa è bene e cosa è male. Quindi secondo lui il credente non può essere felice, perché credendo nella vita eterna, crede nell'infelicità eterna, quindi se dice di essere felice, è un imbecille.
Il non credente, al contrario, è felice, in quanto si basa solo sul proprio merito, e sapendo che non c'è nulla dopo la morte, cerca di vivere meglio la vita, in modo felice. Questo è il succo del suo pensiero odierno.
La maggior parte di noi, e la professoressa di Scienze, sosteneva invece che il credente è più felice, in quanto vive in modo più spensierato, poiché se succede qualcosa di male, è Dio che l'ha fatto accadere seguendo il suo Disegno, che poi porterà il credente alla vita eterna, e quindi è felice; se succede qualcosa di buono, è felice in quanto è successo.
Il credente non si rende conto di essere irrazionale, lui pensa di aver ragione, e se lui ha ragione, è più felice, in quanto ciò in cui crede, non lo fa sentire solo e gli "offre" sempre un'altra possibilità, quella della giustificazione seguendo il modello del Disegno divino.
Voi che ne pensate? Non vi basate solo sulla nostra discussione, dite la vostra, senza per forza rispondere a quello che ho scritto.
Ripropongo la domanda: "chi è più felice? Il credente o il non credente?"
Sì, lo so, sarà il millesimo topic sull'ateismo e sulla religione, ma almeno il particolare argomento è diverso. In classe ne è uscita una discussione interessante (il che è tutto dire).
Oggi in classe è sorta una discussione riguardo a questo argomento.
Il professore di Filosofia (naturalmente ateo) sosteneva che il credente non è felice, in quanto lui vive nell'illusione di vivere "sotto le dipendenze" di un essere superiore, che decide cosa è bene e cosa è male. Quindi secondo lui il credente non può essere felice, perché credendo nella vita eterna, crede nell'infelicità eterna, quindi se dice di essere felice, è un imbecille.
Il non credente, al contrario, è felice, in quanto si basa solo sul proprio merito, e sapendo che non c'è nulla dopo la morte, cerca di vivere meglio la vita, in modo felice. Questo è il succo del suo pensiero odierno.
La maggior parte di noi, e la professoressa di Scienze, sosteneva invece che il credente è più felice, in quanto vive in modo più spensierato, poiché se succede qualcosa di male, è Dio che l'ha fatto accadere seguendo il suo Disegno, che poi porterà il credente alla vita eterna, e quindi è felice; se succede qualcosa di buono, è felice in quanto è successo.
Il credente non si rende conto di essere irrazionale, lui pensa di aver ragione, e se lui ha ragione, è più felice, in quanto ciò in cui crede, non lo fa sentire solo e gli "offre" sempre un'altra possibilità, quella della giustificazione seguendo il modello del Disegno divino.
Voi che ne pensate? Non vi basate solo sulla nostra discussione, dite la vostra, senza per forza rispondere a quello che ho scritto.
Ripropongo la domanda: "chi è più felice? Il credente o il non credente?"
Sì, lo so, sarà il millesimo topic sull'ateismo e sulla religione, ma almeno il particolare argomento è diverso. In classe ne è uscita una discussione interessante (il che è tutto dire).
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