Quando ci si approccia alla morte, specie quando a farlo è un ragazzo di 29 anni che ha ancora un sacco di cose da imparare, specie quando chi se n'è andato è uno di 24 (l'ossìmoricità della giovinezza con la tematica al centro di questo post è di una tragicità senza pari), ogni abbozzo di riflessione risulta vano, stereotipato e dannatamente fine a se stesso.
Contravvenendo alla prolissità che mi contraddistingue, solitamente mi taccio in contesti del genere. Stavolta, però, avverto l'esigenza di aggiungere qualcosa, cercando di dipanare la mole di pensieri che ho in testa, sia perché il mondo delle due ruote rappresenta un universo fin troppo conosciuto al sottoscritto, capace di miscelare passione e dolore, sia in quanto Marco Simoncelli è stato più e più volte oggetto di critiche all'interno delle mie analisi.
Per onestà intellettuale, per rispetto nei confronti del cadavere di un ventiquattrenne e di chi ha letto quanto ho scritto, non rettifico nulla; come potrei. In base a cosa avrei il diritto di confutare constatazioni che soltanto uno scandaloso buonismo potrebbe impedire di considerare oggettive? Però ritrovandosi a pensare a ciò che è successo, il cuore batte più forte; ugualmente. Come potrebbe essere altrimenti, mi chiedo, stavolta? Affastellando un'indagine prettamente personale e qualche riflessione condivisa con chi avrà la pazienza di leggere queste righe, non è davvero possibile sottrarsi all'enorme tristezza che circonda quanto è successo, partendo proprio dall'epilogo, o forse dal principio, dalla morte consegnata dal compagno di giochi, da un'anima così sconvolgentemente simile ed atipica, in questa terra di boria e superbia. Uno prosegue, cosciente dell'irrimediabilità dell'accaduto; l'altro giace, immobile.
Mentre si cerca, del tutto vanamente, di metabolizzare la tragedia, il pensiero non può che volgere al suo sorriso; un sorriso che diventa maledetto, in quanto non fa altro che acuire il dolore, sottolineando una contrapposizione ancor più antitetica di quella illustrata ad inizio post; il sorriso e la morte.
Conserviamo il primo, se non altro. Non rimuovendo il lutto, ovviamente, ma focalizzandosi su uno stile di vita tanto démodé quanto sano e genuino.
À bientôt.
Contravvenendo alla prolissità che mi contraddistingue, solitamente mi taccio in contesti del genere. Stavolta, però, avverto l'esigenza di aggiungere qualcosa, cercando di dipanare la mole di pensieri che ho in testa, sia perché il mondo delle due ruote rappresenta un universo fin troppo conosciuto al sottoscritto, capace di miscelare passione e dolore, sia in quanto Marco Simoncelli è stato più e più volte oggetto di critiche all'interno delle mie analisi.
Per onestà intellettuale, per rispetto nei confronti del cadavere di un ventiquattrenne e di chi ha letto quanto ho scritto, non rettifico nulla; come potrei. In base a cosa avrei il diritto di confutare constatazioni che soltanto uno scandaloso buonismo potrebbe impedire di considerare oggettive? Però ritrovandosi a pensare a ciò che è successo, il cuore batte più forte; ugualmente. Come potrebbe essere altrimenti, mi chiedo, stavolta? Affastellando un'indagine prettamente personale e qualche riflessione condivisa con chi avrà la pazienza di leggere queste righe, non è davvero possibile sottrarsi all'enorme tristezza che circonda quanto è successo, partendo proprio dall'epilogo, o forse dal principio, dalla morte consegnata dal compagno di giochi, da un'anima così sconvolgentemente simile ed atipica, in questa terra di boria e superbia. Uno prosegue, cosciente dell'irrimediabilità dell'accaduto; l'altro giace, immobile.
Mentre si cerca, del tutto vanamente, di metabolizzare la tragedia, il pensiero non può che volgere al suo sorriso; un sorriso che diventa maledetto, in quanto non fa altro che acuire il dolore, sottolineando una contrapposizione ancor più antitetica di quella illustrata ad inizio post; il sorriso e la morte.
Conserviamo il primo, se non altro. Non rimuovendo il lutto, ovviamente, ma focalizzandosi su uno stile di vita tanto démodé quanto sano e genuino.
À bientôt.
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