Non credo nel dio cristiano. Per me il concetto di divinità è un qualcosa di troppo lontano e immateriale per poterci pensare al riguardo, quindi vivo la mia vita senza provare capire come possa esistere o meno, perchè tanto attualmente non possiamo dimostrare nulla. Diciamo che metto dio sullo stesso piano degli alieni, non è nient'altro che un'idea in cui si può credere. Odio la chiesa e la ritengo uno dei più grandi mali che affligge il pianeta. Rispetto comunque chi crede finchè vedo che è un credente moderato e con un cervello pensante, perchè i fanatici li odio ancor più della chiesa stessa. Fin'ora, l'unica religione che ho avuto modo di odiare è quella cristiana cattolica comunque, spesso ho visto preti e fedeli molto molto intolleranti e ottusi, parecchio chiusi mentalmente. Comunque ho qualche amico credente ma capace di ragionare, e li io mostro tutto il mio rispetto. Bestemmio quando serve, ma cerco di non farlo in presenza di cristiani...per me bestemmiare è offendere ciò in cui crede una persona, quindi se posso non lo faccio. Ma se devo, allora non mi faccio nessun problema, e fin'ora non ho mai manco dato fastidio a nessuno.
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Una cosa non l'ho mai capita: se la bestemmia è un insulto verso la religione perché ci sono regioni in cui è praticata ad oltranza da buona parte della popolazione (vecchi e credenti in prima linea)?
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Si sottovaluta troppo la domanda sull'esistenza o meno di Dio: fa tutta la differenza del mondo la sua presenza o meno, e la differenza non è nei libri di testo filosofici liceali, nè nella ratio essendi della Chiesa o delle Chiese del mondo.
Se Dio non c'è, tutto quello che facciamo, dalle cose più insulse a quelle a cui diamo più significato, non ha senso. E se ciò che facciamo non ha senso, non ha importanza, allora tutto è lecito e tutto è giusto, e noi non siamo che sacchi di carne deambulanti in un enorme campo di battaglia.
Tutti, anche i più impenitenti atei, hanno bisogno di Dio, e penso che il più grande compito che ha l'uomo oggi sia di trovarlo; o al limite di crearlo.
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Originariamente Scritto da Il Nicco Visualizza MessaggioUna cosa non l'ho mai capita: se la bestemmia è un insulto verso la religione perché ci sono regioni in cui è praticata ad oltranza da buona parte della popolazione (vecchi e credenti in prima linea)?
Vero, non l'ho mai capito neppure io, è una contraddizione assurda
Quando ero credente, una volta sentii un ragazzo bestemmiare assieme ad altri, e io gli chiesi "non credi in dio?" e lui si mise a ridere guardando il resto del suo gruppo, come per dire "certo che credo in dio!che domanda è?"Last edited by Shadow; 04 September 2012, 16:36.sigpic
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Originariamente Scritto da Lorenzo GOV Visualizza MessaggioSi sottovaluta troppo la domanda sull'esistenza o meno di Dio: fa tutta la differenza del mondo la sua presenza o meno, e la differenza non è nei libri di testo filosofici liceali, nè nella ratio essendi della Chiesa o delle Chiese del mondo.
Se Dio non c'è, tutto quello che facciamo, dalle cose più insulse a quelle a cui diamo più significato, non ha senso. E se ciò che facciamo non ha senso, non ha importanza, allora tutto è lecito e tutto è giusto, e noi non siamo che sacchi di carne deambulanti in un enorme campo di battaglia.
Tutti, anche i più impenitenti atei, hanno bisogno di Dio, e penso che il più grande compito che ha l'uomo oggi sia di trovarlo; o al limite di crearlo.
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Per farla breve, dato l'orario, la pongo in questi termini e nel caso poi la specifico.
Che cos'è la Verità? La Verità è ciò-che-è, ovvero ciò che è universalmente dato e intersoggettivo. La Verità è ciò che determina escludendo tutto il resto (alla buona, se il tempo va avanti, la verità sarà che il tempo va avanti, escludendo dal vero l'opposto, ovvero che il tempo va indietro). Tuttavia il problema di fondo rimane: perchè il tempo va avanti, e non indietro? Si pone il problema del senso della Verità, perchè senza un senso, la realtà diventa un vicolo cieco, dove tutto ciò che accade, accade e basta. E la stessa impasse si pone per qualsiasi questione, macroscopica o miscoscopica che sia. Se non c'è una ratio, essendi e/o volendi, tutto ciò che l'uomo fa diventa puro frutto del caso, puro agire insensato, e tutto ciò che si può inferire dell'uomo e del mondo non diventa altro che una lungua sequela di causa/effetto che porta ad un punto di domanda enorme quanto l'universo: perchè dunque?
Ora, il Dio di cui parlo (che tutti i filosofi del passato hanno postulato, alla fine tutti hanno compiuto al termine del loro bel viaggio logico-metafisico un bel salto mistico-fideistico) non è altro che il senso o l'idea che noi percepiamo o postuliamo alla base e al fine di tutto, quello che impregna di significato l'accadere del reale. E può essere tanto il barbuto e canuto Dio cristiano quanto l'apeiron indistinto. Alla fine non è che comunque un'esigenza dell'uomo, quello di mettere un punto oltre il quale la ragione non deve più ridiscendere.
E questo Dio lo si rinviene, lo si crede o lo si crea.Last edited by Lorenzo GOV; 05 September 2012, 04:02.
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Il problema a mio parere rimane invariato.
Gli atei (intesi come coloro che non credono nell'esistenza di enti non appartenenti alla sfera del materiale e dello scibile) devono per forza crearsi una divinità, magari andando contro le loro stesse idee, solo perchè tutto abbia un senso? Oppure possono rassegnarsi e vivere facendo a meno di conoscere l'origine dell'essere?
Il fine ultimo della vita per i non credenti può esser ritrovato in situazioni concrete, che possono spaziare dalla famiglia al successo economico fino ad arrivare alla fama imperitura. Non a caso nell'Iliade (è il primo esempio idiota che ora mi sovviene) il trasformare la propria esistenza in un'icona immortale anche a costo della propria vita sembra essere la massima aspirazione dell'uomo, ed è un'aspirazione tutta terrena e oggi dotata IMHO di sufficiente autonomia rispetto al mondo greco-pagano in cui l'opera è stata concepita.
La vita a mio parere non può essere sintetizzata nella pessimistica formula "se Dio non c'è [...] non siamo che sacchi di carne deambulanti in un enorme campo di battaglia"; la vita è fatta anche di esperienze, di legami, di emozioni. Se non si crede in un'entità divina, ci si deve obbligatoriamente disperare perchè tutto ciò che facciamo prima o poi cadrà nell'oblio? Oppure si può continuare a mantenere alta la testa e godere delle infinite sfaccettature di questa vita, seppur nei grossi limiti impostici dalla natura?
Insomma, citando le tue parole, devono necessariamente coesistere in un unico individuo le idee di una ratio vivendi (un obiettivo ultimo della propria esistenza) e di una ratio essendi (la causa prima alla base dell'essere)? Io penso di no. Per un ateo sarà forse difficile riuscire a comprendere il principio dell'esistenza delle cose, il motivo per cui la realtà è, ma non è altrettanto difficile poter perseguire un obiettivo sensato e allo stesso tempo in un ambito assolutamente concreto e separato da quello divino.
Le mie idee le ho già espresse anche in modo abbastanza prolisso, quindi non sto qui a riprenderle in modo approfondito; personalmente arrivo a concepire l'esistenza di un'origine sovrannaturale della realtà tangibile tramite ragionamenti logici, senza bisogno di slanci fideistici di alcun genere, e non mi fa nè caldo nè freddo essere arrivato a questa (incerta) conclusione. Continuo a vivere la mia vita serenamente, pur senza poter sapere con estrema sicurezza perchè io sono, nè perchè invece non sono.
Ho però il dubbio di aver ancora frainteso il tuo discorso:Spoiler:Originariamente Scritto da Lorenzo GOV Visualizza MessaggioIl Dio di cui parlo [...] non è altro che il senso o l'idea che noi percepiamo o postuliamo alla base e al fine di tutto.
Correggimi se ho frainteso.
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Originariamente Scritto da TheOnlyBest Visualizza MessaggioIl problema a mio parere rimane invariato.
Gli atei (intesi come coloro che non credono nell'esistenza di enti non appartenenti alla sfera del materiale e dello scibile) devono per forza crearsi una divinità, magari andando contro le loro stesse idee, solo perchè tutto abbia un senso? Oppure possono rassegnarsi e vivere facendo a meno di conoscere l'origine dell'essere?
Il fine ultimo della vita per i non credenti può esser ritrovato in situazioni concrete, che possono spaziare dalla famiglia al successo economico fino ad arrivare alla fama imperitura. Non a caso nell'Iliade (è il primo esempio idiota che ora mi sovviene) il trasformare la propria esistenza in un'icona immortale anche a costo della propria vita sembra essere la massima aspirazione dell'uomo, ed è un'aspirazione tutta terrena e oggi dotata IMHO di sufficiente autonomia rispetto al mondo greco-pagano in cui l'opera è stata concepita.
La vita a mio parere non può essere sintetizzata nella pessimistica formula "se Dio non c'è [...] non siamo che sacchi di carne deambulanti in un enorme campo di battaglia"; la vita è fatta anche di esperienze, di legami, di emozioni. Se non si crede in un'entità divina, ci si deve obbligatoriamente disperare perchè tutto ciò che facciamo prima o poi cadrà nell'oblio? Oppure si può continuare a mantenere alta la testa e godere delle infinite sfaccettature di questa vita, seppur nei grossi limiti impostici dalla natura?
Insomma, citando le tue parole, devono necessariamente coesistere in un unico individuo le idee di una ratio vivendi (un obiettivo ultimo della propria esistenza) e di una ratio essendi (la causa prima alla base dell'essere)? Io penso di no. Per un ateo sarà forse difficile riuscire a comprendere il principio dell'esistenza delle cose, il motivo per cui la realtà è, ma non è altrettanto difficile poter perseguire un obiettivo sensato e allo stesso tempo in un ambito assolutamente concreto e separato da quello divino.
Le mie idee le ho già espresse anche in modo abbastanza prolisso, quindi non sto qui a riprenderle in modo approfondito; personalmente arrivo a concepire l'esistenza di un'origine sovrannaturale della realtà tangibile tramite ragionamenti logici, senza bisogno di slanci fideistici di alcun genere, e non mi fa nè caldo nè freddo essere arrivato a questa (incerta) conclusione. Continuo a vivere la mia vita serenamente, pur senza poter sapere con estrema sicurezza perchè io sono, nè perchè invece non sono.
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Originariamente Scritto da TheOnlyBest Visualizza MessaggioIl problema a mio parere rimane invariato.
Gli atei (intesi come coloro che non credono nell'esistenza di enti non appartenenti alla sfera del materiale e dello scibile) devono per forza crearsi una divinità, magari andando contro le loro stesse idee, solo perchè tutto abbia un senso? Oppure possono rassegnarsi e vivere facendo a meno di conoscere l'origine dell'essere?
Il fine ultimo della vita per i non credenti può esser ritrovato in situazioni concrete, che possono spaziare dalla famiglia al successo economico fino ad arrivare alla fama imperitura. Non a caso nell'Iliade (è il primo esempio idiota che ora mi sovviene) il trasformare la propria esistenza in un'icona immortale anche a costo della propria vita sembra essere la massima aspirazione dell'uomo, ed è un'aspirazione tutta terrena e oggi dotata IMHO di sufficiente autonomia rispetto al mondo greco-pagano in cui l'opera è stata concepita.
La vita a mio parere non può essere sintetizzata nella pessimistica formula "se Dio non c'è [...] non siamo che sacchi di carne deambulanti in un enorme campo di battaglia"; la vita è fatta anche di esperienze, di legami, di emozioni. Se non si crede in un'entità divina, ci si deve obbligatoriamente disperare perchè tutto ciò che facciamo prima o poi cadrà nell'oblio? Oppure si può continuare a mantenere alta la testa e godere delle infinite sfaccettature di questa vita, seppur nei grossi limiti impostici dalla natura?
Insomma, citando le tue parole, devono necessariamente coesistere in un unico individuo le idee di una ratio vivendi (un obiettivo ultimo della propria esistenza) e di una ratio essendi (la causa prima alla base dell'essere)? Io penso di no. Per un ateo sarà forse difficile riuscire a comprendere il principio dell'esistenza delle cose, il motivo per cui la realtà è, ma non è altrettanto difficile poter perseguire un obiettivo sensato e allo stesso tempo in un ambito assolutamente concreto e separato da quello divino.
Le mie idee le ho già espresse anche in modo abbastanza prolisso, quindi non sto qui a riprenderle in modo approfondito; personalmente arrivo a concepire l'esistenza di un'origine sovrannaturale della realtà tangibile tramite ragionamenti logici, senza bisogno di slanci fideistici di alcun genere, e non mi fa nè caldo nè freddo essere arrivato a questa (incerta) conclusione. Continuo a vivere la mia vita serenamente, pur senza poter sapere con estrema sicurezza perchè io sono, nè perchè invece non sono.
Ho però il dubbio di aver ancora frainteso il tuo discorso:Spoiler:Secondo questa definizione, per gli atei Dio potrebbe essere il nulla assoluto. Tutto parte dal nulla per poi probabilmente finire nel nulla, ma la nostra breve vita può comunque assumere un determinato senso nel contesto in cui noi siamo, e tanto per gli atei può bastare.
Correggimi se ho frainteso.Last edited by jenny56; 05 September 2012, 14:22.QUANDO QUESTO GOVERNO DI TOSSICI CADRA' LE SARDINE SPARIRANNO!
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Partiamo da un presupposto a mio parere errato: ateo non è chi non crede in Dio, ma... (citandomi, perchè son pesoculo)
La convinzione nell'esistenza di un'evidenza della realtà, alla quale ciecamente si affida, rende l'ateo tale. La differenza fra un ateo e un credente (tra l'altro due essenze non proprio antitetiche) è che il primo, riponendo assoluta fiducia nella ragione e nell'esperienza, pensa che il mondo si risolva in una serie di dati sensibili oltre i quali non si può andare, in quanto l'autoevidenza del tutto si da' già, ora e adesso; il secondo invece trova una mancanza nella realtà immanente così come arriva ai sensi e pensa che vi possa essere un senso ultimo olistico non quantificabile, non per forza una sostanza invisibile ultraterrena o un omaccione barbuto onnipotente: anche un'idea o una forza o qualsiasi altro concetto che dia un senso.
Io penso che non abbia spiegato sufficientemente bene cosa significhi per me Dio. Cerco di rimediare.
Dio è quel salto irrazionalistico grazie al quale e (solo per il quale) tutto il discorso fila, ed è l'esigenza principe che tutti i pensatori di ogni epoca hanno dovuto ricercare. Breve exscursus: il primo motore immobile di Aristotele, ovvero il punto fermo e postulato da cui tutto prende le mosse, il fulcro razionale; Kant con la sua rivoluzione copernicana, quando capisce che se non è la realtà che ci può dare solide basi, allora magari si deve partire dall'Io; Leibniz con il suo migliore dei mondi possibili (perchè il mondo è così, fra tutti i milioni possibili? Perchè Dio ha fatto il meno peggio); Spinoza e la sua conseguenzialità geometrica (la geometria è una scienza certa? Rendiamo anche il mondo metafisicamente geometrico). E taccio naturalmente dei pensatori di matrice profondamente cristiana e dei presocratici.
Tutti costoro hanno avuto bisogno di quel quid che non è rinvenibile attraverso un percorso induttivo e diaretico, ma che va posto, in cima, come base da cui partire. Ed è evidente che costoro non hanno parlato necessariamente di Dio come comunemente inteso. E l'hanno fatto, anche i più strenui razionalisti, perchè sentivano, come dovrebbero sentire tutti, l'esigenza di dare una direzione a ciò che altrimenti rimarrebbe un flatus vocis, una percezione che ha timore di essere fortemente solipsistica, per uscire fuori da un orizzonte isolato ed egoistico.
Perciò, quando dico che abbiamo bisogno di Dio, non intendo che abbiamo biosgno del Dio della tradizione cristiana, ma che necessitiamo di quell'orizzonte comune che sia capace di dare un senso compiuto all'agire dell'uomo sulla terra.
Quando tu parli di fini materialistci che indirizzano l'agire singolo dell'uomo, la tua definizione trova il proprio limite in essa stessa: parliamo di uno scopo, di un sogno, di un'affezione che trova la propria limitatezza nel suo essere isolato, debole e racchiuso nell'animo fragile di una singola persona, senza che perciò acquisisca quello statuto metafisico che valorizzi da un punto di vista più alto e collettivo l'agire dell'uomo in quanto tale.
Per molte persone tutto ciò basta, e non avvertono o non si fanno carica della profonda vacuità di ciò in cui loro ripongono il totale impegno.
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Capito.
Dal tuo punto di vista allora ciò per cui mi impegno nella vita è vacuo. Non per questo però devo necessariamente sforzarmi (lottando tra l'altro contro le mie stesse convinzioni) di trovare un senso che ponga in uno statuto metafisico la mia intera esistenza.
Non so come risponderti altrimenti.
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