Topic edito da Marchese di San Mauro e da me pienamente condiviso...
Elogio del Colonialismo
1) Premessa
Premetto che sono ovviamente un colonialista convinto e un nemico totale della decolonizzazione forzata operata dall'Onu, dagli Usa e dalle multinazionali nella seconda metà del secolo xx.
Il colonialismo di per sé è un fatto neutro, né positivo, né negativo: esso altro non è che un'azione biologica dei popoli quand'essi si trovino nelle condizioni di:
1) incremento demografico
2) necessità di terra
3) espansione politico-economica
In particolare il Colonialismo Italiano d'Epoca Fascista è da me giudicato come positivissimo, necessario e fondato su alti principj politici, sociali ed etici.
Si dice che, con la fine dei blocchi contrapposti (capitalismo a ovest, comunismo a est) la vera spartizione del mondo è, e sarà sempre più, quella tra un nord benestante e un sud miserabile. E non da oggi si afferma che la miseria di questo è dovuta anche alla rapina delle sue risorse da parte di quello. Tra i capisaldi della mentalità corrente c'è, dunque, la credenza in quello che i francesi chiamano “le grand pillage”, il "grande saccheggio" che avrebbe permesso all'occidente di impossessarsi di mezzi non suoi per costruire su questi le sue fortune. Tutto il "terzomondismo" prima di scuola marxista (anche se, su questo tema, Marx fu più cauto di Lenin) e poi purtroppo di tanti ambienti che si dicono “cristiani”, si basa su questo schema: il nord del mondo ricco perché rapinatore, il sud povero perché rapinato. Da qui, anche, il mea culpa che a tutti noi, bianchi, viene chiesto di recitare. Come spesso avviene, nessuno si cura di verificare se lo schema in questione abbia una base reale o non sia, per caso, uno dei tanti miti e leggende nere contemporanei. Qualche tempo fa, per incarico del collège d'Europe, lo studioso Léo Mulin ha provato a confrontarsi con i dati concreti di questo problema, ovvero con cifre, numeri, valori inequivocabili. Le conclusioni dello studioso confermano quanto sospettavano coloro che rifiutano di accettare acriticamente gli “slogan”: il "grande saccheggio" è un mito. Il colonialismo, anche sul piano economico, ha dato alle altre zone del mondo più di quanto non ne abbia ricavato. Dunque, sia la contrizione del nord sia le recriminazioni quando non il vittimismo del sud non hanno giustificazione storica: le cause dello sviluppo e del sottosviluppo vanno ricercate altrove che nel mito della rapina. Innanzitutto, moulin fa i conti in tasca all'interscambio, sin dai tempi del medio evo, tra europa e medio oriente, nei cui porti giungevano le merci e i prodotti di Asia e di Africa che non solo il desiderio di lusso ma anche le esigenze vitali (le spezie, per esempio, per conservare i cibi) degli occidentali reclamavano. Quell'interscambio fu ampiamente deficitario per l'europa, la quale "sanguina per arricchire l'Asia", come diceva, alla fine del cinquecento, l'inglese Sir Thomas Roe. Ribadisce Moulin: "si dimentica che per secoli l'occidente si è svuotato del suo oro per comprare dall'oriente, spesso a prezzi di strozzinaggio e pagando dazi, gabelle, taglie. E questo non solo nel medio evo: anche quando i portoghesi e gli olandesi apparvero nei mari Asiatici e, rischiando ogni volta la vita, assicurarono il traffico con il Giappone, Sumatra, l'Indocina e l'Arabia, i maggiori vantaggi del commercio restarono tra le mani dei mercanti astuti e sedentari di quei lontani paesi. Prelevando diritti di mediazione sino al 100 per cento del valore delle merci, gli indiani si arricchirono favolosamente, senza però che l'economia del loro paese ne approfittasse in qualche modo". C'è poi il "caso americano" ma, come scrive ancora lo studioso belga, "i tesori delle Indie occidentali furono ben lontani dall'esercitare gli effetti decisivi che si immaginano” e il cosiddetto eldorado non è mai esistito. “tutta la produzione americana d'oro tra il 1520 e il 1660 fu inferiore alla produzione attuale di un anno delle sole miniere Sudafricane". Va notato che quel metallo fu estratto grazie a tecniche che solo gli europei conoscevano o che inventarono sotto la spinta delle necessità. Si sa, infatti, che i nativi non utilizzavano che quelle poche quantità di argento e di oro che affioravano in superficie o che erano altrettanto facilmente estraibili. Dunque, per parlare con precisione, non si trattò di "rapina", visto che le genti del posto non avevano né capacità né interesse né desiderio di procurarsi quel metallo a prezzo di ricerche, di fatiche, di invenzioni tecnologiche. In ogni caso, come tutti sanno, quei "tesori" non fecero la fortuna ma il disastro della Spagna e del Portogallo, portando a una gigantesca inflazione. Comunque, stando sempre alle cifre di moulin, ciò che gli iberici portarono oltreoceano, sotto forma di manufatti, supera le importazioni dal nuovo mondo. C'è poi la fase del "colonialismo" vero e proprio, dì quel moderno "Imperialismo" contro il quale si appuntano gli strali della polemica terzomondista, stracciona e masochista. Quella nuova fase comincia con il 1830, quando la francia conquista l'algeria, strappandola al dominio turco. A lungo l'esempio francese restò isolato e l'espansione coloniale europea non cominciò che alcuni decenni dopo. Come ricorda Moulin, spesso siamo vittime di una sorta di illusione ottica che ci impedisce di ricordare che l'era del colonialismo europeo in Africa e in Asia fu assai breve: il suo apogeo, con la spartizione di quei due continenti in "zone di influenza" tra le potenze europee, fu al congresso di Berlino, nel 1884. Ma solo trent'anni dopo, nel 1914, comincia la fine: la conquista Italiana dell'Etiopia, nel 1936 rappresenta in questo senso una delle ultime eroiche imprese. Ma fu, almeno, quella brevissima stagione del Colonialismo, tanto proficua per l'europa da far pensare a una rapina dei cui frutti ancora beneficeremmo? Moulin non solo ne dubita ma, cifre alla mano, lo esclude assolutamente. Ancor più di quanto non fosse avvenuto in America, anche in Africa e in Asia gli europei diedero una violenta accelerazione a economie stagnanti, portando nuove tecniche, introducendo coltivazioni sconosciute, creando una infrastruttura di strade, ferrovie, porti. Infatti nel periodo d’oro del Colonialismo, le popolazioni colonizzate conobbero un miglioramento di tutti gli indici sociali: mortalità infantile, reddito pro capite, speranza di vita, alfabetismo. Solo la sciagurata decolonizzazione fece regredire la situazione a livelli tragici. 'E ormai assodato che la decolonizzazione fu prevalentemente “imposta” ai popoli del terzo mondo. Se da un lato le potenze europee non riuscivano più a sostenere a livello economico i loro Imperi Coloniali, è oggi palese che furono i potentati economici, spesso legati agli Stati Uniti, che misero in gioco tutta la loro influenza per giungere ad una decolonizzazione mirata ai loro interessi. Da qui sorge lo strapotere odierno delle multinazionali in quei Paesi: dalla decolonizzazione, non dalla Colonizzazione. Questo concetto risulta purtroppo chiaro a ben pochi. Così come ben pochi sanno che oggi giorno ci sono stati del terzo mondo che farebbero carte false per diventare colonie, mentre gli stati europei si guardano bene dall’assecondare questa tendenza in quanto si rendono conto che oggigiorno sarebbe insostenibile avere grandi Imperi Coloniali. Emblematico è stato il caso di Anjouan, un’isola dell’arcipelago delle Comore, che nel 2002 ha unilateramente proclamato la propria annessione alla Francia chiedendo il medesimo status della vicina (e non a caso fiorente) Mayotte, Colonia Francese. Bene la Francia ha risposto: no grazie! L’evidenza di questo caso dovrebbe definitivamente chiudere la diatriba. Al contrario i colonizzatori, costretti a vivere in climi micidiali e tra malattie e pericoli sconosciuti, fecero molta fatica ad adattarsi alle nuove terre. Casi come quelli del Colonialismo Italiano non solo non furono di vantaggio economico ma si rivelarono sovente pure opere umanitarie e di soccorso, onerosissime per la Madrepatria, che aumentò così molto di più il suo prestigio: il concetto di Impero come missione e grandezza della Patria fu la spinta di quel progetto, che poco o nulla aveva di economico. É certo che Libia, Eritrea, Somalia e poi Etiopia costarono infinitamente di più di quanto non abbiano reso. E il belga Moulin cita il caso del Congo: perderlo significò per il Belgio un aumento del reddito nazionale. Lo stesso per l'Olanda, pur padrona delle opulente Isole Asiatiche, e che proprio con la decolonizzazione vide uno sviluppo impetuoso. Per non parlare del fatto che i più alti redditi si registrarono in due paesi europei che mai ebbero Colonie: Svizzera e Svezia. Se va dunque rivisto il puerile “slogan” del "grande saccheggio", va valutata con l'attenzione e la serietà che merita anche l'osservazione spesso ripetuta da quel conoscitore vero (sul campo ben prima che sui libri) e da quel nemico degli schemi ideologici alla moda che è Padre Piero Gheddo. Il quale constata che i paesi del terzo mondo che se la passano meglio sono quelli che più a lungo hanno avuto il Dominio Coloniale europeo e che, dopo l'indipendenza, non hanno rotto i contatti con l'occidente mantenendo uno status privilegiato rispetto alla propria Madrepatria. Se è la verità che fa liberi, solo il superamento di “slogan” propagandistici e demagogici di persone indegne di appartenere a questa civiltà, può "liberare" il mondo dal sottosviluppo, ricercandone le cause vere, senz’altro risolvibili da quell’uomo bianco che ha costruito il mondo.
Elogio del Colonialismo
1) Premessa
Premetto che sono ovviamente un colonialista convinto e un nemico totale della decolonizzazione forzata operata dall'Onu, dagli Usa e dalle multinazionali nella seconda metà del secolo xx.
Il colonialismo di per sé è un fatto neutro, né positivo, né negativo: esso altro non è che un'azione biologica dei popoli quand'essi si trovino nelle condizioni di:
1) incremento demografico
2) necessità di terra
3) espansione politico-economica
In particolare il Colonialismo Italiano d'Epoca Fascista è da me giudicato come positivissimo, necessario e fondato su alti principj politici, sociali ed etici.
Si dice che, con la fine dei blocchi contrapposti (capitalismo a ovest, comunismo a est) la vera spartizione del mondo è, e sarà sempre più, quella tra un nord benestante e un sud miserabile. E non da oggi si afferma che la miseria di questo è dovuta anche alla rapina delle sue risorse da parte di quello. Tra i capisaldi della mentalità corrente c'è, dunque, la credenza in quello che i francesi chiamano “le grand pillage”, il "grande saccheggio" che avrebbe permesso all'occidente di impossessarsi di mezzi non suoi per costruire su questi le sue fortune. Tutto il "terzomondismo" prima di scuola marxista (anche se, su questo tema, Marx fu più cauto di Lenin) e poi purtroppo di tanti ambienti che si dicono “cristiani”, si basa su questo schema: il nord del mondo ricco perché rapinatore, il sud povero perché rapinato. Da qui, anche, il mea culpa che a tutti noi, bianchi, viene chiesto di recitare. Come spesso avviene, nessuno si cura di verificare se lo schema in questione abbia una base reale o non sia, per caso, uno dei tanti miti e leggende nere contemporanei. Qualche tempo fa, per incarico del collège d'Europe, lo studioso Léo Mulin ha provato a confrontarsi con i dati concreti di questo problema, ovvero con cifre, numeri, valori inequivocabili. Le conclusioni dello studioso confermano quanto sospettavano coloro che rifiutano di accettare acriticamente gli “slogan”: il "grande saccheggio" è un mito. Il colonialismo, anche sul piano economico, ha dato alle altre zone del mondo più di quanto non ne abbia ricavato. Dunque, sia la contrizione del nord sia le recriminazioni quando non il vittimismo del sud non hanno giustificazione storica: le cause dello sviluppo e del sottosviluppo vanno ricercate altrove che nel mito della rapina. Innanzitutto, moulin fa i conti in tasca all'interscambio, sin dai tempi del medio evo, tra europa e medio oriente, nei cui porti giungevano le merci e i prodotti di Asia e di Africa che non solo il desiderio di lusso ma anche le esigenze vitali (le spezie, per esempio, per conservare i cibi) degli occidentali reclamavano. Quell'interscambio fu ampiamente deficitario per l'europa, la quale "sanguina per arricchire l'Asia", come diceva, alla fine del cinquecento, l'inglese Sir Thomas Roe. Ribadisce Moulin: "si dimentica che per secoli l'occidente si è svuotato del suo oro per comprare dall'oriente, spesso a prezzi di strozzinaggio e pagando dazi, gabelle, taglie. E questo non solo nel medio evo: anche quando i portoghesi e gli olandesi apparvero nei mari Asiatici e, rischiando ogni volta la vita, assicurarono il traffico con il Giappone, Sumatra, l'Indocina e l'Arabia, i maggiori vantaggi del commercio restarono tra le mani dei mercanti astuti e sedentari di quei lontani paesi. Prelevando diritti di mediazione sino al 100 per cento del valore delle merci, gli indiani si arricchirono favolosamente, senza però che l'economia del loro paese ne approfittasse in qualche modo". C'è poi il "caso americano" ma, come scrive ancora lo studioso belga, "i tesori delle Indie occidentali furono ben lontani dall'esercitare gli effetti decisivi che si immaginano” e il cosiddetto eldorado non è mai esistito. “tutta la produzione americana d'oro tra il 1520 e il 1660 fu inferiore alla produzione attuale di un anno delle sole miniere Sudafricane". Va notato che quel metallo fu estratto grazie a tecniche che solo gli europei conoscevano o che inventarono sotto la spinta delle necessità. Si sa, infatti, che i nativi non utilizzavano che quelle poche quantità di argento e di oro che affioravano in superficie o che erano altrettanto facilmente estraibili. Dunque, per parlare con precisione, non si trattò di "rapina", visto che le genti del posto non avevano né capacità né interesse né desiderio di procurarsi quel metallo a prezzo di ricerche, di fatiche, di invenzioni tecnologiche. In ogni caso, come tutti sanno, quei "tesori" non fecero la fortuna ma il disastro della Spagna e del Portogallo, portando a una gigantesca inflazione. Comunque, stando sempre alle cifre di moulin, ciò che gli iberici portarono oltreoceano, sotto forma di manufatti, supera le importazioni dal nuovo mondo. C'è poi la fase del "colonialismo" vero e proprio, dì quel moderno "Imperialismo" contro il quale si appuntano gli strali della polemica terzomondista, stracciona e masochista. Quella nuova fase comincia con il 1830, quando la francia conquista l'algeria, strappandola al dominio turco. A lungo l'esempio francese restò isolato e l'espansione coloniale europea non cominciò che alcuni decenni dopo. Come ricorda Moulin, spesso siamo vittime di una sorta di illusione ottica che ci impedisce di ricordare che l'era del colonialismo europeo in Africa e in Asia fu assai breve: il suo apogeo, con la spartizione di quei due continenti in "zone di influenza" tra le potenze europee, fu al congresso di Berlino, nel 1884. Ma solo trent'anni dopo, nel 1914, comincia la fine: la conquista Italiana dell'Etiopia, nel 1936 rappresenta in questo senso una delle ultime eroiche imprese. Ma fu, almeno, quella brevissima stagione del Colonialismo, tanto proficua per l'europa da far pensare a una rapina dei cui frutti ancora beneficeremmo? Moulin non solo ne dubita ma, cifre alla mano, lo esclude assolutamente. Ancor più di quanto non fosse avvenuto in America, anche in Africa e in Asia gli europei diedero una violenta accelerazione a economie stagnanti, portando nuove tecniche, introducendo coltivazioni sconosciute, creando una infrastruttura di strade, ferrovie, porti. Infatti nel periodo d’oro del Colonialismo, le popolazioni colonizzate conobbero un miglioramento di tutti gli indici sociali: mortalità infantile, reddito pro capite, speranza di vita, alfabetismo. Solo la sciagurata decolonizzazione fece regredire la situazione a livelli tragici. 'E ormai assodato che la decolonizzazione fu prevalentemente “imposta” ai popoli del terzo mondo. Se da un lato le potenze europee non riuscivano più a sostenere a livello economico i loro Imperi Coloniali, è oggi palese che furono i potentati economici, spesso legati agli Stati Uniti, che misero in gioco tutta la loro influenza per giungere ad una decolonizzazione mirata ai loro interessi. Da qui sorge lo strapotere odierno delle multinazionali in quei Paesi: dalla decolonizzazione, non dalla Colonizzazione. Questo concetto risulta purtroppo chiaro a ben pochi. Così come ben pochi sanno che oggi giorno ci sono stati del terzo mondo che farebbero carte false per diventare colonie, mentre gli stati europei si guardano bene dall’assecondare questa tendenza in quanto si rendono conto che oggigiorno sarebbe insostenibile avere grandi Imperi Coloniali. Emblematico è stato il caso di Anjouan, un’isola dell’arcipelago delle Comore, che nel 2002 ha unilateramente proclamato la propria annessione alla Francia chiedendo il medesimo status della vicina (e non a caso fiorente) Mayotte, Colonia Francese. Bene la Francia ha risposto: no grazie! L’evidenza di questo caso dovrebbe definitivamente chiudere la diatriba. Al contrario i colonizzatori, costretti a vivere in climi micidiali e tra malattie e pericoli sconosciuti, fecero molta fatica ad adattarsi alle nuove terre. Casi come quelli del Colonialismo Italiano non solo non furono di vantaggio economico ma si rivelarono sovente pure opere umanitarie e di soccorso, onerosissime per la Madrepatria, che aumentò così molto di più il suo prestigio: il concetto di Impero come missione e grandezza della Patria fu la spinta di quel progetto, che poco o nulla aveva di economico. É certo che Libia, Eritrea, Somalia e poi Etiopia costarono infinitamente di più di quanto non abbiano reso. E il belga Moulin cita il caso del Congo: perderlo significò per il Belgio un aumento del reddito nazionale. Lo stesso per l'Olanda, pur padrona delle opulente Isole Asiatiche, e che proprio con la decolonizzazione vide uno sviluppo impetuoso. Per non parlare del fatto che i più alti redditi si registrarono in due paesi europei che mai ebbero Colonie: Svizzera e Svezia. Se va dunque rivisto il puerile “slogan” del "grande saccheggio", va valutata con l'attenzione e la serietà che merita anche l'osservazione spesso ripetuta da quel conoscitore vero (sul campo ben prima che sui libri) e da quel nemico degli schemi ideologici alla moda che è Padre Piero Gheddo. Il quale constata che i paesi del terzo mondo che se la passano meglio sono quelli che più a lungo hanno avuto il Dominio Coloniale europeo e che, dopo l'indipendenza, non hanno rotto i contatti con l'occidente mantenendo uno status privilegiato rispetto alla propria Madrepatria. Se è la verità che fa liberi, solo il superamento di “slogan” propagandistici e demagogici di persone indegne di appartenere a questa civiltà, può "liberare" il mondo dal sottosviluppo, ricercandone le cause vere, senz’altro risolvibili da quell’uomo bianco che ha costruito il mondo.
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