allora... come promesso la seconda parte... non dirmi che vi avevo avvertito!
PARTE 2
L’allenamento iniziò come sempre con esercizi di riscaldamento, prima di accelerare il passo. Due cadetti combattevano tra di loro cercando di prevedere le mosse avversarie piuttosto di colpirsi veramente. Purtroppo l’avversario di Gohan non aveva nessuna intenzione di rispettare questa regola. Come novellino tutti lo ritenevano solo spazzatura, era l’ultimo di rango e questo Gohan lo sapeva bene. Era un umanoide con tratti rettiliani, di piccola statura e molto magro, ma in compenso le sue unghia e i suoi denti erano affilati come lame.
“Kekekekeh… piccolo mio… spero che mi farai divertire…!” rise facendo brillare i suoi denti nella sua bocca. Gohan cominciò a sudare freddo, involontariamente si immaginò come questi denti si conficcassero nella sua pelle.
Appena dato il via il rettiliano saltò verso Gohan spazzando con la mano destra sopra il petto del bambino che all’ultimo istante con un salto si era messo al riparo.
“Kekekekeh… niente male, pulce… la prossima volta mi impegnerò di più…!”
Il piccolo Saiyan poco dopo si accorse che quell’attacco aveva lasciato quattro strappi sulla sua maglietta; al di sotto anche la sua pelle era stata graffiata da una lama affilata come un bisturi. Ma non aveva il tempo per pensarci, l’avversario si lanciò di nuova all’attacco. Veloce come il vento volavano gli artigli facendo vibrare l’aria, Gohan faticò non poco per evitarli. Stava per farsi prendere dal panico quando ad un tratto sentì un dolore acuto e bruciante sulla guancia destra. Toccandosi la faccia con le dita lo vide macchiato del suo sangue. Aveva subito un taglio lungo e fine, dalla tempia attraverso la guancia fino quasi a mento. Due centimetri più in alto e lo avrebbe accecato.
“Allora? Continuiamo?”
Gohan cominciò a tremare quando capì che l’avversario voleva ferirlo di proposito e fece alcuni passi all’indietro.
“No… lasciami… Lasciami in pace…!”
Ma lui non ci pensava neanche. Il rettiliano si leccò l’artiglio rosso di sangue e fece un grande passo verso il bambino. Come gli piaceva la faccia impaurita di Gohan… un Saiyan! Lo eccitò la visone di un Saiyan che tremava di paura dinnanzi a lui… tutti lo avrebbero invidiato!
“Kekekeh! Forza, facciamo sul serio, scimmiotto?”
Senza badare ai rischi si avventò sul avversario impaurito puntando la sua gola, la le sua artiglia fendevano solo l’aria. Prima che potesse reagire, Gohan era saltato in alto e lo colpì con tutta la sua forza con una ginocchiata al mento. Già vacillò, ma Gohan lo colpì di nuovo con alcuni pugni prima di atterrare. Sorpreso notò che il suo avversario non si mosse più e cadde a terra come sacco di patate. Sangue bluastro uscì da bocca e naso, alcuni denti erano frantumati.
“Ma che…? Che è successo? Sono stato io…?”
Ad un tratto si ritrovò al centro dell’ attenzione, gli altri cadetti lo osservarono esterrefatti e increduli e cominciarono e bisbigliare.
“Hai visto? Kapeikan… ha perso! Contro quel moccioso… Impossibile…! Quello gioca sporco, te lo dico!”
L’unico che si mosse era Kwaldarik, prima osservò Gohan per poi esaminare con sguardo esperto l’altro cadetto a terra. Capì subito che non erano ferite letali e si limitò a chiamare il medico d’urgenza. Intanto Gohan non si mosse di un millimetro, stava fermo come un albero e fissava il suo avversario davanti a se. Kwaldarik dedusse che per lui era stata la prima volta che avesse ferito qualcuno in modo grave. Nonostante ciò - o meglio per questo - era stata una azione notevole.
Purtroppo era l’unico che provava ammirazione per il piccolo Saiyan, tutti gli altri nutrirono nient’altro che rabbia e disgusto nei suoi confronti. L’uomo insetto di prima, Zarakish, si fece avanti e lo prese per la maglietta.
“Come ti permetti, dannato? Non pensare che qualcuno si lasci intimorire! Ti avverto, ce la pagherai molto cara!”
“Lasciami.. mi dispiace! Mi dispiace, non volevo…!” gridò Gohan impaurito.
“Oh, ti dispiace… allora mi dispiace anche di questo!”
Con queste parole di scherno tirò un pugno a Gohan che affondò nel suo stomaco, poi lo lasciò cadere a terra come un sasso. Il bambino tossì e rantolò, ma senza pietà il soldato gli diede ancora un calcio nell’addome prima di lasciar perdere.
“Credo che ora lo abbia capito…”
Gohan tossiva soffocato, quasi dovette rimettere la colazione, a fatica alzò la testa osservando tra le lacrime l’uomo insetto come si allontanò ridendo. Era chiaro come la luce che quello scatto d’ira aveva ben poco a che fare con la sconfitta del compagno, quello era stato solo pretesto per poterlo menare senza venir fermato da Kwaldarik. Poi tutto divenne nero.
Quando Gohan si risvegliò era sdraiato su un lettino dell’infermeria, accanto a lui di nuovo il medico di sempre. Lamentava ancora un leggero dolore all’addome, ma a parte quello si sentiva di nuovo bene.
“Che..? Quanto… ho dormito…?” volle sapere ancora mezzo addormentato, ma venne interrotto dal medico.
“Hai dormito per quattro ore… te lo avevo detto che ci saremmo rivisti…” disse lui sospirando mentre metteva al suo posto uno strumento. “Hai avuto due costole rotte ed un piccolo pneumotorace a destra…”
“Che? Non capisco… ma … come sta l’altro…?”
“Gli hai rotto la mascella e la base del cranio… hai più forza di che quanto si possa credere… Non preoccuparti, si rimetterà presto.”
Gohan fece un bel sospiro di sollievo e si sedette sul letto. “Ma Lei… come si chiama?”
“Mi chiamo Mao Karal Lai… mi chiamano Dottor Mao.”
Gli altri cadetti avevano già scommesso che il giorno successivo il piccolo Saiyan non avrebbe avuto il coraggio di rifarsi vivo, ma si sbagliarono. Puntuale come un orologio si presentò davanti alla palestra ed entrò con aria decisa. Tutti lo fissarono, alcuni con curiosità, altri con odio aperto e pesante.
Al momento degli esercizi a due, stranamente tanti volevano combattere contro di lui; naturalmente questo non poteva rimanere nascosto al comandante. Ma finche poteva fermare tutto in caso di estremo pericolo li lasciava fare, era curioso di rivedere quella strana forza come il giorno prima.
Per tutta la settimana era quasi sempre Gohan quello che per primo doveva essere portato in infermeria, picchiato a sangue dagli altri. E se per caso il primo avversario non era riuscito a metterlo al tappeto un sostituto aspettava già impaziente. Giorno dopo giorno gli unici progressi erano quelli che ogni volta Gohan durava 10-15 minuti di più. Ma non riuscivano mai a farlo rinunciare, ogni volta ritornò alla palestra e accolse le sfide. Per questo finì per qualcuno di voler farla finita una volta per tutte.
“Non può andare avanti cosi… quel piccolo bastardo non vuole capire che non lo vogliamo qui!!” sbuffò un cadetto con dentiera da leone.
“Hai ragione… a mali estremi, estremi rimedi…” annuì Zarakish.
Era l’alba del dodicesimo giorno dell’allenamento di Gohan sotto Kwaldarik, mancavano ancora trenta minuti fino all’inizio, ma stavolta la palestra era tutt’altro che vuota. Nove cadetti si erano riuniti e sembrava che stessero aspettando qualcuno. Il loro bersaglio era chiaramente il piccolo Saiyan, che aveva l’abitudine di arrivare sempre con almeno venti minuti in anticipo.
Puntualmente la porta si aprì e Gohan entrò come sempre, cominciando con gli esercizi di riscaldamento. Un rumore improvviso lo fece girare di scatto e si spaventò: davanti a lui si presentò Kepaikan e con lui quasi metà dei cadetti del suo gruppo.
“K… Kepaikan… cose ci fai tu qua a quest’ora?”
Lui sorrise solo cupamente facendo brillare di nuovo i suoi denti, Gohan si rese conto istintivamente che si trovava in grossi guai. Anche gli altri non ne erano da meno, tutto aggressivi e assetati di sangue.
“Scimmiotto… dobbiamo parlare…! Vieni qua un attimo…”
Kwaldarik guardò di nuovo l’orologio mentre girava gli angoli della base, odiava essere in ritardo, ma il suo comandante lo aveva trattenuto per troppo tempo. Con passo veloce corse tra i corridoi fino arrivare alla sua area. L’orologio gli segnalò un ritardo di dieci minuti, quando aprì la porta. Cose vide in quel momento lo fece rabbrividire.
Davanti a lui giacevano i corpi di metà dei suoi allievi, quasi tutti privi di sensi e immobili, tre gemevano per il dolore. L’odore del sangue pizzicò il suo naso. Il pavimento era ricoperto di sangue in vari colori, persino sulle pareti erano visibili schizzi di sangue. Una figura stava retta in mezzo, voltata di spalle; si girò lentamente verso il glaciano.
“Come… tu…? Non dirmi che… tu?”
Riconobbe Gohan solo in un secondo momento, sembrò un’altra persona. Gli stessi cappelli, lo stesso copro, ma i lineamenti del viso erano completamente diversi. Occhi freddi e un sorriso malvagio su una faccia macchiata da sangue. Non si mosse, solo la sua coda scodinzolò agitata. Anche l’esperto guerriero si ricordò solo di una scena simile, più di dieci anni fa, quando Vegeta per alcuni mesi era stato un allievo di Kwaldarik. Ora Gohan sembrò quasi come suo fratello minore…
Incurante di ciò lasciò cadere il braccio di un cadetto ferito con cui lo teneva fermo per poi ucciderlo con un raggio energetico. Ancora insoddisfatto, girò intorno e si accorse che altri due erano ancora vivi. Volava occuparsi di loro, quando venne fermato dalla presa ferrea di Kwaldrik.
“Basta! Hai vinto! Calmati!”
Gohan lo fissò con uno sguardo feroce, per un attimo sembrò persino tentato di attaccare anche lui, ma poi i suoi muscoli si rilassarono e lascio cadere il braccio. Senza preavviso crollò; solo ora Kwladarik si accorse della profonda ferita sulla sua fronte che sanguinò copiosamente. Si prese il bambino sotto il braccio e lo portò in infermeria senza pronunciare parola, dopodiché dovette pensare a ripulire i segni del massacro. Gohan aveva ucciso sette cadetti e ferito gravemente altri due, e per quelli prognosi era per niente buona.
PARTE 2
L’allenamento iniziò come sempre con esercizi di riscaldamento, prima di accelerare il passo. Due cadetti combattevano tra di loro cercando di prevedere le mosse avversarie piuttosto di colpirsi veramente. Purtroppo l’avversario di Gohan non aveva nessuna intenzione di rispettare questa regola. Come novellino tutti lo ritenevano solo spazzatura, era l’ultimo di rango e questo Gohan lo sapeva bene. Era un umanoide con tratti rettiliani, di piccola statura e molto magro, ma in compenso le sue unghia e i suoi denti erano affilati come lame.
“Kekekekeh… piccolo mio… spero che mi farai divertire…!” rise facendo brillare i suoi denti nella sua bocca. Gohan cominciò a sudare freddo, involontariamente si immaginò come questi denti si conficcassero nella sua pelle.
Appena dato il via il rettiliano saltò verso Gohan spazzando con la mano destra sopra il petto del bambino che all’ultimo istante con un salto si era messo al riparo.
“Kekekekeh… niente male, pulce… la prossima volta mi impegnerò di più…!”
Il piccolo Saiyan poco dopo si accorse che quell’attacco aveva lasciato quattro strappi sulla sua maglietta; al di sotto anche la sua pelle era stata graffiata da una lama affilata come un bisturi. Ma non aveva il tempo per pensarci, l’avversario si lanciò di nuova all’attacco. Veloce come il vento volavano gli artigli facendo vibrare l’aria, Gohan faticò non poco per evitarli. Stava per farsi prendere dal panico quando ad un tratto sentì un dolore acuto e bruciante sulla guancia destra. Toccandosi la faccia con le dita lo vide macchiato del suo sangue. Aveva subito un taglio lungo e fine, dalla tempia attraverso la guancia fino quasi a mento. Due centimetri più in alto e lo avrebbe accecato.
“Allora? Continuiamo?”
Gohan cominciò a tremare quando capì che l’avversario voleva ferirlo di proposito e fece alcuni passi all’indietro.
“No… lasciami… Lasciami in pace…!”
Ma lui non ci pensava neanche. Il rettiliano si leccò l’artiglio rosso di sangue e fece un grande passo verso il bambino. Come gli piaceva la faccia impaurita di Gohan… un Saiyan! Lo eccitò la visone di un Saiyan che tremava di paura dinnanzi a lui… tutti lo avrebbero invidiato!
“Kekekeh! Forza, facciamo sul serio, scimmiotto?”
Senza badare ai rischi si avventò sul avversario impaurito puntando la sua gola, la le sua artiglia fendevano solo l’aria. Prima che potesse reagire, Gohan era saltato in alto e lo colpì con tutta la sua forza con una ginocchiata al mento. Già vacillò, ma Gohan lo colpì di nuovo con alcuni pugni prima di atterrare. Sorpreso notò che il suo avversario non si mosse più e cadde a terra come sacco di patate. Sangue bluastro uscì da bocca e naso, alcuni denti erano frantumati.
“Ma che…? Che è successo? Sono stato io…?”
Ad un tratto si ritrovò al centro dell’ attenzione, gli altri cadetti lo osservarono esterrefatti e increduli e cominciarono e bisbigliare.
“Hai visto? Kapeikan… ha perso! Contro quel moccioso… Impossibile…! Quello gioca sporco, te lo dico!”
L’unico che si mosse era Kwaldarik, prima osservò Gohan per poi esaminare con sguardo esperto l’altro cadetto a terra. Capì subito che non erano ferite letali e si limitò a chiamare il medico d’urgenza. Intanto Gohan non si mosse di un millimetro, stava fermo come un albero e fissava il suo avversario davanti a se. Kwaldarik dedusse che per lui era stata la prima volta che avesse ferito qualcuno in modo grave. Nonostante ciò - o meglio per questo - era stata una azione notevole.
Purtroppo era l’unico che provava ammirazione per il piccolo Saiyan, tutti gli altri nutrirono nient’altro che rabbia e disgusto nei suoi confronti. L’uomo insetto di prima, Zarakish, si fece avanti e lo prese per la maglietta.
“Come ti permetti, dannato? Non pensare che qualcuno si lasci intimorire! Ti avverto, ce la pagherai molto cara!”
“Lasciami.. mi dispiace! Mi dispiace, non volevo…!” gridò Gohan impaurito.
“Oh, ti dispiace… allora mi dispiace anche di questo!”
Con queste parole di scherno tirò un pugno a Gohan che affondò nel suo stomaco, poi lo lasciò cadere a terra come un sasso. Il bambino tossì e rantolò, ma senza pietà il soldato gli diede ancora un calcio nell’addome prima di lasciar perdere.
“Credo che ora lo abbia capito…”
Gohan tossiva soffocato, quasi dovette rimettere la colazione, a fatica alzò la testa osservando tra le lacrime l’uomo insetto come si allontanò ridendo. Era chiaro come la luce che quello scatto d’ira aveva ben poco a che fare con la sconfitta del compagno, quello era stato solo pretesto per poterlo menare senza venir fermato da Kwaldarik. Poi tutto divenne nero.
Quando Gohan si risvegliò era sdraiato su un lettino dell’infermeria, accanto a lui di nuovo il medico di sempre. Lamentava ancora un leggero dolore all’addome, ma a parte quello si sentiva di nuovo bene.
“Che..? Quanto… ho dormito…?” volle sapere ancora mezzo addormentato, ma venne interrotto dal medico.
“Hai dormito per quattro ore… te lo avevo detto che ci saremmo rivisti…” disse lui sospirando mentre metteva al suo posto uno strumento. “Hai avuto due costole rotte ed un piccolo pneumotorace a destra…”
“Che? Non capisco… ma … come sta l’altro…?”
“Gli hai rotto la mascella e la base del cranio… hai più forza di che quanto si possa credere… Non preoccuparti, si rimetterà presto.”
Gohan fece un bel sospiro di sollievo e si sedette sul letto. “Ma Lei… come si chiama?”
“Mi chiamo Mao Karal Lai… mi chiamano Dottor Mao.”
Gli altri cadetti avevano già scommesso che il giorno successivo il piccolo Saiyan non avrebbe avuto il coraggio di rifarsi vivo, ma si sbagliarono. Puntuale come un orologio si presentò davanti alla palestra ed entrò con aria decisa. Tutti lo fissarono, alcuni con curiosità, altri con odio aperto e pesante.
Al momento degli esercizi a due, stranamente tanti volevano combattere contro di lui; naturalmente questo non poteva rimanere nascosto al comandante. Ma finche poteva fermare tutto in caso di estremo pericolo li lasciava fare, era curioso di rivedere quella strana forza come il giorno prima.
Per tutta la settimana era quasi sempre Gohan quello che per primo doveva essere portato in infermeria, picchiato a sangue dagli altri. E se per caso il primo avversario non era riuscito a metterlo al tappeto un sostituto aspettava già impaziente. Giorno dopo giorno gli unici progressi erano quelli che ogni volta Gohan durava 10-15 minuti di più. Ma non riuscivano mai a farlo rinunciare, ogni volta ritornò alla palestra e accolse le sfide. Per questo finì per qualcuno di voler farla finita una volta per tutte.
“Non può andare avanti cosi… quel piccolo bastardo non vuole capire che non lo vogliamo qui!!” sbuffò un cadetto con dentiera da leone.
“Hai ragione… a mali estremi, estremi rimedi…” annuì Zarakish.
Era l’alba del dodicesimo giorno dell’allenamento di Gohan sotto Kwaldarik, mancavano ancora trenta minuti fino all’inizio, ma stavolta la palestra era tutt’altro che vuota. Nove cadetti si erano riuniti e sembrava che stessero aspettando qualcuno. Il loro bersaglio era chiaramente il piccolo Saiyan, che aveva l’abitudine di arrivare sempre con almeno venti minuti in anticipo.
Puntualmente la porta si aprì e Gohan entrò come sempre, cominciando con gli esercizi di riscaldamento. Un rumore improvviso lo fece girare di scatto e si spaventò: davanti a lui si presentò Kepaikan e con lui quasi metà dei cadetti del suo gruppo.
“K… Kepaikan… cose ci fai tu qua a quest’ora?”
Lui sorrise solo cupamente facendo brillare di nuovo i suoi denti, Gohan si rese conto istintivamente che si trovava in grossi guai. Anche gli altri non ne erano da meno, tutto aggressivi e assetati di sangue.
“Scimmiotto… dobbiamo parlare…! Vieni qua un attimo…”
Kwaldarik guardò di nuovo l’orologio mentre girava gli angoli della base, odiava essere in ritardo, ma il suo comandante lo aveva trattenuto per troppo tempo. Con passo veloce corse tra i corridoi fino arrivare alla sua area. L’orologio gli segnalò un ritardo di dieci minuti, quando aprì la porta. Cose vide in quel momento lo fece rabbrividire.
Davanti a lui giacevano i corpi di metà dei suoi allievi, quasi tutti privi di sensi e immobili, tre gemevano per il dolore. L’odore del sangue pizzicò il suo naso. Il pavimento era ricoperto di sangue in vari colori, persino sulle pareti erano visibili schizzi di sangue. Una figura stava retta in mezzo, voltata di spalle; si girò lentamente verso il glaciano.
“Come… tu…? Non dirmi che… tu?”
Riconobbe Gohan solo in un secondo momento, sembrò un’altra persona. Gli stessi cappelli, lo stesso copro, ma i lineamenti del viso erano completamente diversi. Occhi freddi e un sorriso malvagio su una faccia macchiata da sangue. Non si mosse, solo la sua coda scodinzolò agitata. Anche l’esperto guerriero si ricordò solo di una scena simile, più di dieci anni fa, quando Vegeta per alcuni mesi era stato un allievo di Kwaldarik. Ora Gohan sembrò quasi come suo fratello minore…
Incurante di ciò lasciò cadere il braccio di un cadetto ferito con cui lo teneva fermo per poi ucciderlo con un raggio energetico. Ancora insoddisfatto, girò intorno e si accorse che altri due erano ancora vivi. Volava occuparsi di loro, quando venne fermato dalla presa ferrea di Kwaldrik.
“Basta! Hai vinto! Calmati!”
Gohan lo fissò con uno sguardo feroce, per un attimo sembrò persino tentato di attaccare anche lui, ma poi i suoi muscoli si rilassarono e lascio cadere il braccio. Senza preavviso crollò; solo ora Kwladarik si accorse della profonda ferita sulla sua fronte che sanguinò copiosamente. Si prese il bambino sotto il braccio e lo portò in infermeria senza pronunciare parola, dopodiché dovette pensare a ripulire i segni del massacro. Gohan aveva ucciso sette cadetti e ferito gravemente altri due, e per quelli prognosi era per niente buona.
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