Grazie Smartie.......
Capitolo 7, lacci intorno ai polsi:
L’allenamento si protrasse a lungo quella sera. Vegeta non mi diede un attimo di tregua e mi fece riposare solo per una quindicina di minuti, ogni ora, concedendomi di bere qualcosa. Lui non sembrava gran che affaticato dai miei attacchi in cui però racchiudevo tutta la mia forza. Dovetti affrontarlo in un estenuante corpo a corpo, in cui impiegammo tutto il tempo a nostra disposizione. Quando mi accorsi di che ora fosse, tagliai la corda senza neanche il tempo di dire qualcosa e, gemendo e zoppicando, raggiunsi infine i miei appartamenti. Mi gettai a capofitto nel letto, sfinita, senza neanche prendermi la briga di levarmi le scarpe o sciogliermi i capelli. Lasciai che il mio corpo martoriato si rilassasse dopo tutto ciò che gli avevo fatto passare e non potei non essere contenta che quel massacro fosse finito.
- Sei tornata finalmente- mi disse mia madre comparendo sulla soglia della cucina. I miei genitori erano i saiyan più strani che conoscessi: loro non nascondevano spesso i loro sentimenti dietro una maschera di ghiaccio come la maggior parte del nostro popolo. Non mi avevano detto perché si comportassero così, ma mi guardavano male quando mi rivolgevo a loro con la serietà con cui gli altri piccoli saiyan si rivolgevano ai propri genitori. Niscissa si sedette sul letto, poggiando la mano sui miei capelli. Voltai stancamente la testa verso di lei, con un sorriso mesto. Solo allora mia madre scorse i miei lividi e senza fare una piega si diresse verso una mensola da cui estrasse una boccetta verde piena di un liquido chiaro. Mi lasciai sfuggire parecchi tremiti quando il liquido ghiacciato entrò in contatto con le mie ferite, ma dopo pochi minuti la maggior parte delle macchie violacee disseminate sul mio corpo erano già in miglioramento.
- Ti sei allenata con più foga del solito oggi- mi disse orgogliosa mia madre e io mi limitai ad annuire mentre non riuscivo più a tenere le palpebre aperte e sprofondai in un sonno pesante, in pace con il mondo nonostante il dolore provocato dalle ferite. Ma quella pace che mi pervadeva non era destinato a durare. Anzi. Passò lentamente un anno dallo scontro contro Vegeta. Le mie giornate erano tutte uguali, tranne due pomeriggi a settimana, quando mi recavo negli appartamenti del principe per l’allenamento speciale, anche se prima di iniziare dovevo sempre leggergli un libro di sangue. Compii passi da gigante e imparai finalmente a volare. Quel pomeriggio dove tutto il mio mondo venne stravolto, il cielo era coperto da scuri nuvolosi e un vento gelido soffiava impetuoso. La settimana scorsa avevo compiuto sei anni. Era l’ultimo giorno dell’anno ed era un giorno di festa e tutta la corte dei saiyan era radunata nell’enorme sala del trono. Per quel giorno, tutti i saiyan avevano diritto ad entrare a palazzo e la sala era gremita di gente. Per una volta avevo lasciato la battle suite nera nell’armadio e avevo scelto una battle suite azzurra, con spalline dorate. Mio padre aveva ornato la sua con un mantello blu e mia madre aveva indossato ne una nera con il petto rosso sangue. All’improvviso la porta di spalancò con un rumore tremendo. La maggior parte dei presenti si voltò da quella parte, infastidita. Entrò uno strano figuro. Non era molto alto, ma aveva una lunga coda che ondeggiava a ogni passo. Due terribili occhi rossi come la brace contribuivano a rendere lo spettacolo ancora più inquietante. Dietro di lui, in silenzioso rispetto, avanzavano impettiti due misteriosi personaggi quando colui che era chiaramente il loro signore si fermò al centro della sala, si fermarono alle sue spalle, senza dire una parola.
- Cosa volete? Chiese Re Vegeta spezzando l’ improvviso silenzio che era sceso nella stanza, mentre si alzava dal prezioso scranno su cui era comodamente seduto.
- Voglio la vostra lealtà e il vostro rispetto. D’ora in avanti sono il vostro nuovo sovrano- rispose lentamente quella piccola figura, rivolto all’intero popolo. Una nervosa risata beccheggiò tra i presenti a quella assurda affermazione.
- Cosa ti fa credere che noi saiyan ci faremo comandare da un pagliaccio come te? Rispose il re con un ghigno di superiorità. Il sorriso del suo interlocutore si spense con la velocità di un fulmine. Il suo sguardo indagatore scrutò tutti i presenti. Poi scattò in avanti e posò una mano sulla fronte di una donna saiyan. Poi ci fu un lampo di luce viola e il corpo senza vita di lei cadde bocconi ai suoi piedi. Nessuno capì cosa stesse succedendo fin quando il cadavere toccò terra con un tonfo sordo, con il corpo ricoperto di ustioni, i vestiti logori e lo sguardo vitreo e inoffensivo.
- Credo che questo vi convincerà a collaborare. Posso uccidervi tutti semplicemente con un gesto e non esiterò a farlo se non foste disposti a obbedire- disse infine quel mostro con una voce piatta e incolore. Passarono alcuni secondi in un silenzio glaciale, poi un urlo straziante si levò dalla folla e una bambina di sei anni da poco compiuti, con lunghi capelli ribelli e una battle suite azzurra si staccò dalla folla per correre dal corpo inerme.
- Mamma, mamma, nooooo!!!! Urlai disperata gettandomi sul cadavere di mia madre, scuotendolo con forza, ma non ricevetti in risposta che un floscio movimento. Molti tra i presenti erano sorpresi, altri scandalizzati dalla mia condotta e soprattutto dal fatto che mi rivolgessi a mia madre dandole del “tu”. Alla fine, mi arresi all’evidenza, in un atto di cupa disperazione, mentre lacrime d’argento spuntavano sui miei occhi scuri.
“Siamo in centinaia in questa sala, perché proprio lei? Mi chiesi, sconvolta. Poi, un movimento alle mie spalle attirò la mia attenzione, facendomi voltare di scatto. L’assassino di mia madre si era voltato verso di me e sulla sua faccia comparve un ghigno a dir poco soddisfatto. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il dolore scomparve e fu la rabbia a divampare, violenta e indomabile. Tutto l’odio che provai per lui in quel momento la racchiusi nella gomitata che lo colpì in pieno viso. Poi mi avventai su di lui e iniziai a tempestarlo di calci e pugni. Ma pochi secondi dopo due mani robuste e viscide mi cinsero le braccia a staccarmi dalla mia vittima. Ingaggiai una lotta furibonda cercando di liberarmi ma il mio aggressore mi torse un braccio, strappandomi un grido di dolore e riducendomi all’obbedienza. Mi girai verso di lui: aveva la pelle azzurra, i lunghi capelli verdi erano raccolti in una treccia accurata che semi-nascondeva un diadema con una grossa perla rosa sulla fronte. Alle orecchie portava due grossi orecchini con la medesima perla del diadema. In quel momento la rabbia scomparve del tutto, lasciando posto al dolore che mi schiacciò il petto come un macigno e le lacrime iniziarono a scorrere da sole, senza che potessi fermarle. Vedendo le lacrime rigarmi le guance, il ghigno sul volto del mio aguzzino si allargò a dismisura. Abbassai gli occhi, cercando di nascondere quelle gocce d’argento.
- Vi siete fatto male padrone? Chiese intanto l’altro guardaspalle al mostro che avevo aggredito. Era un colosso a dir poco corpulento, dalla pelle rosa fluo.
- Per così poco? Vuoi scherzare? Chiese l’altro voltandosi verso di me. Poi si avvicinò con una calma glaciale, mentre il mio aguzzino mi diede una ginocchiata sulla schiena, facendomi sputare un fiotto di sangue e costringendomi in ginocchio davanti al suo padrone che si chinò fino a potermi guardare negli occhi. Distolsi lo sguardo, frustrata dalla mia impotenza. Allora lui mi prese il mento con una mano, obbligandomi a guardare nel baratro dei suoi occhi rossi come braci incandescenti.
- Se sei tanto disperata per la morte della tua mammina non dovevi fare altro che dirlo- disse lui in tono canzonatorio portandomi l’altra mano a pochi centimetri dal mio volto, facendomi correre un brivido lungo la schiena.
- Addio- disse lui facendo luccicare il suo palmo della mano.
- FERMATI!!! Urlò una voce. Riuscii a volgere la testa in quella direzione. Poi, colui che mi aveva salvato la vita, si fece avanti tra la folla.
Capitolo 7, lacci intorno ai polsi:
L’allenamento si protrasse a lungo quella sera. Vegeta non mi diede un attimo di tregua e mi fece riposare solo per una quindicina di minuti, ogni ora, concedendomi di bere qualcosa. Lui non sembrava gran che affaticato dai miei attacchi in cui però racchiudevo tutta la mia forza. Dovetti affrontarlo in un estenuante corpo a corpo, in cui impiegammo tutto il tempo a nostra disposizione. Quando mi accorsi di che ora fosse, tagliai la corda senza neanche il tempo di dire qualcosa e, gemendo e zoppicando, raggiunsi infine i miei appartamenti. Mi gettai a capofitto nel letto, sfinita, senza neanche prendermi la briga di levarmi le scarpe o sciogliermi i capelli. Lasciai che il mio corpo martoriato si rilassasse dopo tutto ciò che gli avevo fatto passare e non potei non essere contenta che quel massacro fosse finito.
- Sei tornata finalmente- mi disse mia madre comparendo sulla soglia della cucina. I miei genitori erano i saiyan più strani che conoscessi: loro non nascondevano spesso i loro sentimenti dietro una maschera di ghiaccio come la maggior parte del nostro popolo. Non mi avevano detto perché si comportassero così, ma mi guardavano male quando mi rivolgevo a loro con la serietà con cui gli altri piccoli saiyan si rivolgevano ai propri genitori. Niscissa si sedette sul letto, poggiando la mano sui miei capelli. Voltai stancamente la testa verso di lei, con un sorriso mesto. Solo allora mia madre scorse i miei lividi e senza fare una piega si diresse verso una mensola da cui estrasse una boccetta verde piena di un liquido chiaro. Mi lasciai sfuggire parecchi tremiti quando il liquido ghiacciato entrò in contatto con le mie ferite, ma dopo pochi minuti la maggior parte delle macchie violacee disseminate sul mio corpo erano già in miglioramento.
- Ti sei allenata con più foga del solito oggi- mi disse orgogliosa mia madre e io mi limitai ad annuire mentre non riuscivo più a tenere le palpebre aperte e sprofondai in un sonno pesante, in pace con il mondo nonostante il dolore provocato dalle ferite. Ma quella pace che mi pervadeva non era destinato a durare. Anzi. Passò lentamente un anno dallo scontro contro Vegeta. Le mie giornate erano tutte uguali, tranne due pomeriggi a settimana, quando mi recavo negli appartamenti del principe per l’allenamento speciale, anche se prima di iniziare dovevo sempre leggergli un libro di sangue. Compii passi da gigante e imparai finalmente a volare. Quel pomeriggio dove tutto il mio mondo venne stravolto, il cielo era coperto da scuri nuvolosi e un vento gelido soffiava impetuoso. La settimana scorsa avevo compiuto sei anni. Era l’ultimo giorno dell’anno ed era un giorno di festa e tutta la corte dei saiyan era radunata nell’enorme sala del trono. Per quel giorno, tutti i saiyan avevano diritto ad entrare a palazzo e la sala era gremita di gente. Per una volta avevo lasciato la battle suite nera nell’armadio e avevo scelto una battle suite azzurra, con spalline dorate. Mio padre aveva ornato la sua con un mantello blu e mia madre aveva indossato ne una nera con il petto rosso sangue. All’improvviso la porta di spalancò con un rumore tremendo. La maggior parte dei presenti si voltò da quella parte, infastidita. Entrò uno strano figuro. Non era molto alto, ma aveva una lunga coda che ondeggiava a ogni passo. Due terribili occhi rossi come la brace contribuivano a rendere lo spettacolo ancora più inquietante. Dietro di lui, in silenzioso rispetto, avanzavano impettiti due misteriosi personaggi quando colui che era chiaramente il loro signore si fermò al centro della sala, si fermarono alle sue spalle, senza dire una parola.
- Cosa volete? Chiese Re Vegeta spezzando l’ improvviso silenzio che era sceso nella stanza, mentre si alzava dal prezioso scranno su cui era comodamente seduto.
- Voglio la vostra lealtà e il vostro rispetto. D’ora in avanti sono il vostro nuovo sovrano- rispose lentamente quella piccola figura, rivolto all’intero popolo. Una nervosa risata beccheggiò tra i presenti a quella assurda affermazione.
- Cosa ti fa credere che noi saiyan ci faremo comandare da un pagliaccio come te? Rispose il re con un ghigno di superiorità. Il sorriso del suo interlocutore si spense con la velocità di un fulmine. Il suo sguardo indagatore scrutò tutti i presenti. Poi scattò in avanti e posò una mano sulla fronte di una donna saiyan. Poi ci fu un lampo di luce viola e il corpo senza vita di lei cadde bocconi ai suoi piedi. Nessuno capì cosa stesse succedendo fin quando il cadavere toccò terra con un tonfo sordo, con il corpo ricoperto di ustioni, i vestiti logori e lo sguardo vitreo e inoffensivo.
- Credo che questo vi convincerà a collaborare. Posso uccidervi tutti semplicemente con un gesto e non esiterò a farlo se non foste disposti a obbedire- disse infine quel mostro con una voce piatta e incolore. Passarono alcuni secondi in un silenzio glaciale, poi un urlo straziante si levò dalla folla e una bambina di sei anni da poco compiuti, con lunghi capelli ribelli e una battle suite azzurra si staccò dalla folla per correre dal corpo inerme.
- Mamma, mamma, nooooo!!!! Urlai disperata gettandomi sul cadavere di mia madre, scuotendolo con forza, ma non ricevetti in risposta che un floscio movimento. Molti tra i presenti erano sorpresi, altri scandalizzati dalla mia condotta e soprattutto dal fatto che mi rivolgessi a mia madre dandole del “tu”. Alla fine, mi arresi all’evidenza, in un atto di cupa disperazione, mentre lacrime d’argento spuntavano sui miei occhi scuri.
“Siamo in centinaia in questa sala, perché proprio lei? Mi chiesi, sconvolta. Poi, un movimento alle mie spalle attirò la mia attenzione, facendomi voltare di scatto. L’assassino di mia madre si era voltato verso di me e sulla sua faccia comparve un ghigno a dir poco soddisfatto. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il dolore scomparve e fu la rabbia a divampare, violenta e indomabile. Tutto l’odio che provai per lui in quel momento la racchiusi nella gomitata che lo colpì in pieno viso. Poi mi avventai su di lui e iniziai a tempestarlo di calci e pugni. Ma pochi secondi dopo due mani robuste e viscide mi cinsero le braccia a staccarmi dalla mia vittima. Ingaggiai una lotta furibonda cercando di liberarmi ma il mio aggressore mi torse un braccio, strappandomi un grido di dolore e riducendomi all’obbedienza. Mi girai verso di lui: aveva la pelle azzurra, i lunghi capelli verdi erano raccolti in una treccia accurata che semi-nascondeva un diadema con una grossa perla rosa sulla fronte. Alle orecchie portava due grossi orecchini con la medesima perla del diadema. In quel momento la rabbia scomparve del tutto, lasciando posto al dolore che mi schiacciò il petto come un macigno e le lacrime iniziarono a scorrere da sole, senza che potessi fermarle. Vedendo le lacrime rigarmi le guance, il ghigno sul volto del mio aguzzino si allargò a dismisura. Abbassai gli occhi, cercando di nascondere quelle gocce d’argento.
- Vi siete fatto male padrone? Chiese intanto l’altro guardaspalle al mostro che avevo aggredito. Era un colosso a dir poco corpulento, dalla pelle rosa fluo.
- Per così poco? Vuoi scherzare? Chiese l’altro voltandosi verso di me. Poi si avvicinò con una calma glaciale, mentre il mio aguzzino mi diede una ginocchiata sulla schiena, facendomi sputare un fiotto di sangue e costringendomi in ginocchio davanti al suo padrone che si chinò fino a potermi guardare negli occhi. Distolsi lo sguardo, frustrata dalla mia impotenza. Allora lui mi prese il mento con una mano, obbligandomi a guardare nel baratro dei suoi occhi rossi come braci incandescenti.
- Se sei tanto disperata per la morte della tua mammina non dovevi fare altro che dirlo- disse lui in tono canzonatorio portandomi l’altra mano a pochi centimetri dal mio volto, facendomi correre un brivido lungo la schiena.
- Addio- disse lui facendo luccicare il suo palmo della mano.
- FERMATI!!! Urlò una voce. Riuscii a volgere la testa in quella direzione. Poi, colui che mi aveva salvato la vita, si fece avanti tra la folla.
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