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<<Pippo>> tutti lo chiamavamo così <<secondo te cosa faranno?>>
<<Qui le cose sono due. O ci tengono in ostaggio, o spettano il segnale per ammazzarci tutti.>>
<<Dobbiamo ribellarci!>>
<<Eh, solo io e te, come due poveri coglioni. Sei furbo, vedo. Dobbiamo cercare di coinvolgere gli altri.>>
<<Ma non vedi che qui stanno tutti con le mani al culo? Sono tutti spaventati, e tra l’altro sono solo bambini. Per la maggior parte, almeno.>>
<<Ho capito che ci tieni a morire da eroe, basta così. Spero di poterti accontentare, e fare la tua stessa fine. Sono con te. Ma non farmi credere che non hai paura.>
Così, ci lasciammo un po’ di tempo per pensare ad una rivalsa, inutilmente. Una cosa era ovvia: bisognava impossessarsi almeno di uno di quei fucili. Nella maniera più rapida, per poterli minacciare. Ma a quel punto, chi sapeva manovrare un’arma dei due? Sicuramente lui. E chi avrebbe avuto il coraggio di uccidere quei bastardi, eventualmente? Bella domanda. Pensai semplicemente che la paura spinge a fare cose che non immaginavamo di essere in grado di fare.
Sentivo come se la stanza si stesse rimpicciolendo a poco a poco, diminuiva le sue misure, proporzionalmente alle mie idee ed alle mie speranze. E nello sguardo di Pippo lessi la stessa frustrazione. D’altronde, cosa potevamo fare in quel momento? Qualsiasi movimento sospetto sarebbe stato notato.
Fu in quel momento che avvertii una strana puzza. Una puzza ancora peggiore della paura e del sudore. Un odore che penetrava nella mente. Giungeva fino alla gola, alle orecchie, dovunque. Sussurrava “aiuto, è la fine”. Guardai con la coda dell’occhio il mio compagno, notando che lui questo odore non l’aveva sentito. Erano state belle le nostre parole, mi avevano dato coraggio. Ma capii che non erano state che spavalderie. Giunse di corsa (dalla adiacente palestra) un altro “milite”. Dalla maniera concitata in cui parlavano, qualcosa doveva essere andato storto, sembravano mandarsi a quel paese a vicenda. Essendo il nostro un liceo scientifico, non c’era nemmeno un fottutissimo cristiano che capisse una sola parola di quei quattro pazzi. Di colpo, quello che era appena apparso, scomparve. Riapparve improvvisamente, e gettò al suolo qualcosa di vagamente simile ad un pallone. No, non era un pallone. Era una testa mozzata, probabilmente con un coltello. Irriconoscibile. Un urlo di terrore unanime pervase la stanza. Lanciai un’occhiata alle mie compagne di classe. Terrorizzate al punto da non riuscire a non abbracciarsi. Non riuscivano nemmeno ad accorgersi che i tre stavano urlando contro di loro. Si giunse ad un punto ti tensione tale che quello più vicino stava per premere il grilletto.
<<Noi non abbiamo paura!>>
Urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. Ruggii tutto il mio dolore, espressi tutta la mia rabbia, tutto il mio orgoglio. Accidenti, non volevo finire ammazzato da quei bastardi! “noi non abbiamo paura” e gliel’avrei ripetuto altre dieci, cento, mille volte! Niente aveva più importanza, ero convinto che di lì a poco saremmo morti tutti. Almeno, avrei ritardato la morte di quelle quattro.
<<Noi non abbiamo paura!>>
Al mio secondo grido si unì in coro anche Filippo, ansate. Un po’ la paura, un po’ il fiato che mancava dopo un urlo così forte da fare dolore alle tempie. Questo mi ricordava tanto una tattica che si pensa adottassero i dinosauri erbivori per difendersi dai predatori. Unirsi tutti in un ruggito unico, così forte da far spaventare la belva irta di denti. Tanto valeva tentare ancora una volta. Un urlo graffiato dal pianto stavolta, devo ammetterlo. Ma ancora più forte. Quei tre puntarono i fucili contro di noi, sbarrando gli occhi come spaventati. Il quarto che aveva portato l’orrido trofeo era tornato da dove era venuto, non lo vedevo più.
<<Noi non abbiamo paura!>>
Il ruggito s’era allargato. Altre tre persone s’erano unite, due a destra, una a sinistra, un po’ distante da noi. Filippo di guardò scuotendo la testa, come a dire “grazie a te siamo tutti fottuti”. Ma sorrideva. Sapevo che avrebbe sorriso in quelle maniera beffarda, per tirarsi su. In breve quel fragore pervase tutta la stanza. Superò di gran lunga le sfuriate dei quei tre Islamici, ed era più evidente delle loro indecisioni, delle loro agitazioni. Solo che, quando urlammo insieme per la quarta volta, un altro suono superò di gran lunga le nostre voci. Tacemmo, per portare rispetto.
Questo/a opera è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons(RIPETO :non ringrazierò mai abbastanza Dante(tm) :P
Spoiler:
<<Pippo>> tutti lo chiamavamo così <<secondo te cosa faranno?>>
<<Qui le cose sono due. O ci tengono in ostaggio, o spettano il segnale per ammazzarci tutti.>>
<<Dobbiamo ribellarci!>>
<<Eh, solo io e te, come due poveri coglioni. Sei furbo, vedo. Dobbiamo cercare di coinvolgere gli altri.>>
<<Ma non vedi che qui stanno tutti con le mani al culo? Sono tutti spaventati, e tra l’altro sono solo bambini. Per la maggior parte, almeno.>>
<<Ho capito che ci tieni a morire da eroe, basta così. Spero di poterti accontentare, e fare la tua stessa fine. Sono con te. Ma non farmi credere che non hai paura.>
Così, ci lasciammo un po’ di tempo per pensare ad una rivalsa, inutilmente. Una cosa era ovvia: bisognava impossessarsi almeno di uno di quei fucili. Nella maniera più rapida, per poterli minacciare. Ma a quel punto, chi sapeva manovrare un’arma dei due? Sicuramente lui. E chi avrebbe avuto il coraggio di uccidere quei bastardi, eventualmente? Bella domanda. Pensai semplicemente che la paura spinge a fare cose che non immaginavamo di essere in grado di fare.
Sentivo come se la stanza si stesse rimpicciolendo a poco a poco, diminuiva le sue misure, proporzionalmente alle mie idee ed alle mie speranze. E nello sguardo di Pippo lessi la stessa frustrazione. D’altronde, cosa potevamo fare in quel momento? Qualsiasi movimento sospetto sarebbe stato notato.
Fu in quel momento che avvertii una strana puzza. Una puzza ancora peggiore della paura e del sudore. Un odore che penetrava nella mente. Giungeva fino alla gola, alle orecchie, dovunque. Sussurrava “aiuto, è la fine”. Guardai con la coda dell’occhio il mio compagno, notando che lui questo odore non l’aveva sentito. Erano state belle le nostre parole, mi avevano dato coraggio. Ma capii che non erano state che spavalderie. Giunse di corsa (dalla adiacente palestra) un altro “milite”. Dalla maniera concitata in cui parlavano, qualcosa doveva essere andato storto, sembravano mandarsi a quel paese a vicenda. Essendo il nostro un liceo scientifico, non c’era nemmeno un fottutissimo cristiano che capisse una sola parola di quei quattro pazzi. Di colpo, quello che era appena apparso, scomparve. Riapparve improvvisamente, e gettò al suolo qualcosa di vagamente simile ad un pallone. No, non era un pallone. Era una testa mozzata, probabilmente con un coltello. Irriconoscibile. Un urlo di terrore unanime pervase la stanza. Lanciai un’occhiata alle mie compagne di classe. Terrorizzate al punto da non riuscire a non abbracciarsi. Non riuscivano nemmeno ad accorgersi che i tre stavano urlando contro di loro. Si giunse ad un punto ti tensione tale che quello più vicino stava per premere il grilletto.
<<Noi non abbiamo paura!>>
Urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. Ruggii tutto il mio dolore, espressi tutta la mia rabbia, tutto il mio orgoglio. Accidenti, non volevo finire ammazzato da quei bastardi! “noi non abbiamo paura” e gliel’avrei ripetuto altre dieci, cento, mille volte! Niente aveva più importanza, ero convinto che di lì a poco saremmo morti tutti. Almeno, avrei ritardato la morte di quelle quattro.
<<Noi non abbiamo paura!>>
Al mio secondo grido si unì in coro anche Filippo, ansate. Un po’ la paura, un po’ il fiato che mancava dopo un urlo così forte da fare dolore alle tempie. Questo mi ricordava tanto una tattica che si pensa adottassero i dinosauri erbivori per difendersi dai predatori. Unirsi tutti in un ruggito unico, così forte da far spaventare la belva irta di denti. Tanto valeva tentare ancora una volta. Un urlo graffiato dal pianto stavolta, devo ammetterlo. Ma ancora più forte. Quei tre puntarono i fucili contro di noi, sbarrando gli occhi come spaventati. Il quarto che aveva portato l’orrido trofeo era tornato da dove era venuto, non lo vedevo più.
<<Noi non abbiamo paura!>>
Il ruggito s’era allargato. Altre tre persone s’erano unite, due a destra, una a sinistra, un po’ distante da noi. Filippo di guardò scuotendo la testa, come a dire “grazie a te siamo tutti fottuti”. Ma sorrideva. Sapevo che avrebbe sorriso in quelle maniera beffarda, per tirarsi su. In breve quel fragore pervase tutta la stanza. Superò di gran lunga le sfuriate dei quei tre Islamici, ed era più evidente delle loro indecisioni, delle loro agitazioni. Solo che, quando urlammo insieme per la quarta volta, un altro suono superò di gran lunga le nostre voci. Tacemmo, per portare rispetto.
Questo/a opera è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons(RIPETO :non ringrazierò mai abbastanza Dante(tm) :P
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