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DB - La storia mai raccontata!

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  • Cap. 16: Post mortem.

    Un puro spirito vitale si trovava, suo malgrado, in una zona buia, calda e asciutta di cui aveva un vago ricordo.
    «Uff... credo di essere morto... di nuovo...» sbuffò guardandosi intorno, avviandosi lievemente verso la luce che vedeva in fondo a quel luogo. Riconobbe al primo impatto prima il brusio di sottofondo, poi quel fastidioso ma pur sempre moderato caos tipico degli uffici postali.
    «Volete mantenere la fila, per favore?»
    «Signor diavolo... quel tipo mi è passato avanti...»
    «Volevo stare in fila con mia moglie... insieme anche dopo la morte!»
    «Hai tutta l'eternità per stare con tua moglie, scemo!»
    «Sì, ok, ma non usare questo linguaggio o finirai a reincarnarti! Ahah!»
    Il nostro spirito si mise in coda e attese pazientemente il suo turno: fortunatamente la fila era scorrevole. Del resto Re Enma era abbastanza efficiente nell'assegnare ogni anima defunta alla sua sorte ultraterrena, e purtroppo sembra che nell'universo ci siano abbastanza anime più o meno cattive che gli agevolano il compito senza suscitare troppe perplessità.
    «Il prossimo...» brontolò Re Enma.
    Lo spirito si presentò al suo cospetto, davanti alla gigantesca scrivania.
    «Ehi, ma ci siamo già conosciuti noi due!» commentò con un largo sorriso sarcastico Re Enma. «Son Goku, come dimenticarti?»
    «Ciao, Re Enma! Come stai?»
    Da dietro si levarono le proteste degli altri spiriti incolonnati; è cosa nota che durante le code negli uffici ci si spazientisce facilmente. «Allora, ci diamo una mossa? O facciamo salotto, eh?»
    «Silenzio! Qui comando io!» li rimproverò re Enma con la sua voce cavernosa e rimbombante. «Continuiamo! Cosa ci fai qua così presto?»
    «Ah, non lo so... ricordo solo che poco fa ero con mio figlio, e ora sono qua!»
    «Vediamo... qua nel mio registro c'è scritto che sei stato colpito da una malattia e sei morto...»
    «Ah...ecco perché mi sentivo così stanco, stamattina... ero malato! Come posso tornare sulla Terra?»
    «Non puoi tornare... che domande!»
    «Ma come no? Nemmeno con le Sfere del Drago?»
    «No... credo proprio di no... almeno, non credo ci siano scappatoie alle leggi divine, in questo caso...»
    «Ma io voglio stare ancora con mia moglie, mio figlio e i miei amici!!» protestò imbronciato il Saiyan. «Sono troppo giovane per restare qua!»
    «Eppure questo è il nuovo andazzo a cui ti dovrai abituare! Io non accetto reclami!» urlò spazientito il Re dell'Oltretomba. «Leggo qua che per i meriti da te conseguiti in vita ti spetta la possibilità di mantenere il corpo. Forza» ordinò ai suoi sottoposti «trovatemi il timbro “Eroe”, devo imprimerlo su questa pagina. Ma dannazione! È mai possibile che in questo benedetto ufficio non si trova mai niente?» Eh... caro Re Enma, la burocrazia dell'Aldilà non è poi troppo differente dalla nostra, sotto certi aspetti.
    Finalmente il timbro “Eroe” saltò fuori da un cassetto e fu sbrigativamente impresso sulla pagina corrispondente alla vita di Goku, il quale in un batter d'occhio riacquistò il corpo e le sue sembianze normali che ricordava di avere fino alla mattina.
    «E ora che devo fare?» domandò Goku.
    «Vai dal tuo Re Kaioh di riferimento! Ma muoviti, che mi blocchi la fila, diamine!»
    Il Saiyan portò due dita alla fronte e provò a concentrarsi, ma il mormorare delle anime in sottofondo gli complicava le cose; dato che non lo vedeva muoversi, Re Enma lo rimproverò intimandolo a sbrigarsi. «SILENZIO! Lo capite o no che qui c'è qualcuno che sta provando a concentrarsi??» sbottò il Super Saiyan. Quando regnò il silenzio, l'eroe si concentrò; individuata l'aura inconfondibile di Re Kaioh, si teletrasportò da lui.
    Re Enma si sorprese: «Perfetto! Pare che si sappia anche teletrasportare ora... spero di non vedermelo scorrazzare qua e là per questo mondo!»

    Sulla Terra, in quel momento, era pomeriggio inoltrato. Era veramente quella la fine di Son Goku? Era morto definitivamente? Nessuno dei suoi amici e nessuno di coloro che avevano imparato a conoscerlo bene riusciva a crederci: del resto, pure quando veniva dato per spacciato, aveva il talento di saltare nuovamente fuori, puntualmente. Non era possibile che tutto finisse così. Una morte così semplice, banale e stupida come una bolla di sapone che si gonfia fino a diventare enorme e poi scoppia senza emettere nessun rumore. No, non ci si riusciva a credere! Forse fu questo pensiero inconcepibile a far sì che il pensiero di tutti si rivolse a quella che ritenevano la soluzione più valida: le Sfere del Drago.
    Tutti si ricordavano che, per Goku, quella era la seconda volta... la sua seconda morte. E la regola vietava di riportare in vita per due volte la stessa persona; però, forse si sarebbe potuto fare appello agli indubbi meriti che Goku aveva maturato verso il pianeta.
    Piccolo, sulla soglia della porta, volse lo sguardo verso Gohan. Mentre sua madre si disperava con la testa fra le braccia incrociate sul materasso dove giaceva il cadavere del marito, il piccolo – dopo il triste annuncio – era caduto carponi e non riusciva a smettere di piangere, mentre il suo sguardo corrucciato fissava il vuoto e le lacrime dagli occhi scivolavano verso il mento e stillavano a terra. In quell'esatto momento Il guerriero namecciano decise che non poteva indugiare oltre: si sentiva in dovere di darsi una mossa per il suo allievo, per il bene di Gohan. Si avvicinò al bambino e, guardandolo con sguardo fiero, ordinò: «Gohan, resta qui a consolare tua madre. Io andrò a parlare con Dio.» Dopodiché uscì nuovamente fuori e volò via. Tutti gli altri lo videro. Tenshinhan fu il primo a commentare: «Piccolo se n'è andato via... era furente. Come Vegeta... evidentemente entrambi hanno sofferto la morte di Goku... non me l'aspettavo proprio da loro.»
    «Non penso sia per questo.» ribatté Crilin. «Avete notato che direzione ha preso?»
    «Sì... e allora?» replicò a sua volta Jiaozi.
    «Non vi ricordate cosa c'è in quella direzione?» osservò di nuovo Crilin con un sorriso che tradiva furbizia.
    «Non saprei... a me non viene in mente nulla...» rispose il treocchi.
    «Ma certo!» esclamò Yamcha esaltato, colpendosi il palmo sinistro col pugno destro. «C'è il santuario di Dio!»
    «Non mi convince! Cosa vorrà da Dio? Ricordate al torneo quanto lo odiasse? Perché era la sua nemesi... Non so voi, ma io voglio vederci chiaro! Io lo seguo!» commentò risoluto Tenshinhan per poi innalzarsi in volo, seguito dall'immancabile Jiaozi e da Crilin. Yamcha, dopo aver avvertito Bulma, li seguì a ruota. Nel frattempo, Bulma contattò Hatataku e lo avvertì dell'accaduto. Il dottore, sorprendentemente, si rivelò affranto e distrutto; rispose all'annuncio della ragazza dichiarando solennemente: «Continuerò le ricerche in memoria del suo amico, lo prometto. Questa malattia dovrà essere studiata e debellata.»
    Durante il viaggio, parlarono poco; non erano dell'umore. Cosa doveva aspettarsi Piccolo da quella visita al Dio della Terra? E cosa dovevano aspettarsi tutti loro?
    Yamcha osservò solo: «Forse vuole chiedere a Dio di fare uno strappo alla regola, per riportare Goku in vita.»
    «È cambiato sul serio, Piccolo... ha maturato un certo senso di giustizia. E dire che nessuno di noi ci avrebbe scommesso, a parte Goku!» commentò con un ghigno ironico Tenshinhan.
    «Però, da quanto ne sappiamo, non è possibile riportare in vita coloro che sono deceduti per cause naturali... e un virus è una causa naturale.» continuò Yamcha.
    «Può essere anche che “cause naturali” debba intendersi come “morte di vecchiaia”, quindi una morte per malattia non farebbe testo... no?» obiettò Crilin.
    «Boh... chi ci capisce...» mormorò Yamcha alla fine.
    Peccato che non fossero rimasti ancora qualche minuto a casa di Goku: avrebbero potuto vedere il cadavere di Goku smaterializzarsi letteralmente sotto i loro occhi. Madre e figlio, invece, rimasero attoniti a contemplare quel prodigio.
    Dopo un viaggio lungo perché gravato dallo sconforto, gli amici di Goku arrivarono al santuario di Dio. Si sorpresero di trovarsi davanti la scena spiazzante che ora si mostrava ai loro occhi. Sotto lo sguardo terrorizzato di Mr. Popo che tremava come un impotente infelice, il demone dalla pelle verde stava letteralmente reggendo con la mano destra la divinità dritta davanti a sé per il bavero del mantello, con un’espressione da gargoyle assassino che prometteva tuoni e fulmini, urlando: «Cosa diavolo vuol dire? Spiegati subito, vecchio inutile, altrimenti distruggerò questo dannato posto… lo giuro sulla tua testa!»
    «P-Piccolo, lasciami... non hai bisogno di minacciarmi... sfoga pure la furia, se ti serve, ma lo sai già che posso venire incontro alla tua brama di spiegazioni quando vuoi...» balbettò l'anziano namecciano.
    Dopo che Piccolo l'ebbe poggiato a terra con un grugnito, non senza un'ombra di sdegno, Dio iniziò a parlare, appoggiato al suo bastone di legno. «Non merito le tue ingiurie. Il tuo animo è cambiato, non sei più l’incarnazione del vizio che eri una volta… come sai, riesco a leggere le motivazioni più recondite nella tua mente. Placa la tua ira, conosco le tue vere intenzioni… esse non sono pure e sante, ma contaminate dalla violenza e dall’aggressività. Eppure meriti una spiegazione… la meritate tu e questi ragazzi.» concluse Dio accennando ai giovani guerrieri, che avevano appena messo piede sulla bianca pavimentazione del santuario.
    La domanda era ovvia e sottintesa, e anche senza esplicitarla i quattro amici terrestri avevano intuito quale fosse il nodo centrale che aveva dato vita al breve alterco tra i due namecciani.

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    • «Vi sono arcani motivi per cui quello che so essere il vostro desiderio non potrà essere esaudito. Dei segreti aleggiano intorno alle Sfere del Drago. Sto per rivelarvi delle verità molto riservate… sacre. Per questo motivo vi chiedo di non diffonderle; potete confidarle al massimo ai vostri stretti congiunti, ovviamente, ma altrettanto ovviamente siete pregati di limitare le vostre rivelazioni a queste stesse persone. In virtù delle poche conoscenze che sono di vostro dominio, voi a tutt’oggi ritenete che Re Kaioh sia il vertice della gerarchia divina: sappiate che così non è.» Stupore generale. Dio proseguì con tono pacato e solenne. «L'universo in cui noi viviamo... che noi conosciamo così poco, nella nostra misera piccolezza... Nessuno di noi ha mai incontrato le divinità supreme che siedono ai massimi vertici dell'esistente. Non ne so molto nemmeno io stesso, che sono un dio. Sono esseri per lo più ignoti, venerati persino dai Kaioh… i misteriosi Kaiohshin. Si tratta di creature la cui potenza è assolutamente inimmaginabile per ciascuno di noi. Sono loro che, in tempi talmente remoti da essere al di là di ogni nostra possibile immaginazione, dettarono le norme generali che indirizzano l'universo sulla retta via. Di più non so dirvi: so dirvi solo che attualmente è in carica un giovane Kaiohshin: data la sua età, è plausibile che egli governerà ancora per milioni di anni. Questa è solo la premessa delle mie spiegazioni... Dal tenore di quanto vi sto rivelando, avrete già intuito i motivi per i quali ho esitato prima di aprir bocca. Vi ho richiesto la massima riservatezza... sono fiducioso nel fatto che sappiate come comportarvi riguardo a queste informazioni, che devono restare ignote alle creature dell’universo.» Lesse perplessità nei volti dei suoi ascoltatori, prima ancora di leggerla nei loro animi. In effetti gli amici di Goku, imbarazzati, indugiarono nel replicare. Per Tenshinhan, al freschissimo lutto per la morte dell’ex rivale si aggiungeva l’imbarazzo di aver preteso troppo da Dio, chiedendogli implicitamente delle spiegazioni, e in lui serpeggiava il vago sentore della propria superbia; ugualmente, Crilin e Yamcha si guardarono vicendevolmente negli occhi, con uno sguardo tra il serio e il turbato.
      Dopo qualche minuto, Yamcha ruppe il silenzio, in modo alquanto rispettoso, mosso forse dall'inquietudine che quelle parole così arcane che erano state pronunciate da una fonte così autorevole: «Signore, non occorre che Dio si giustifichi… va bene così. Abbiamo capito che ci sono cause di forza maggiore per le quali il nostro amico non tornerà mai più con noi.»
      «Stai zitto, idiota!» rilanciò Piccolo, per poi voltarsi verso il suo alter ego positivo con tono sprezzante: «Voglio sentire dove vuoi andare a parare, vecchio!» Era pur sempre un demone che si trovava di fronte al suo alter ego positivo, malgrado il suo animo fosse cambiato e maturato negli ultimi anni: discorsi del genere difficilmente lo sbalordivano o lo preoccupavano; in più, in quel momento era l'ira a parlare per lui.
      «Non agitarti, Piccolo. Avrai le tue spiegazioni... e anche voi, ascoltatemi. Credo che in fondo meritiate delle delucidazioni. Non so perché ho tanto desiderio di parlarne… forse perché sono vecchio, forse perché non posso deludere delle persone di assoluta fiducia quali voi siete, così come lo era Goku. Non penserete davvero che Re Kaioh e questo indegno vecchio decrepito siano i massimi reggitori dell'universo, non è vero?» rise il vecchio namecciano. Una risata carica di stanchezza, che sapeva di vecchiaia; ogni tanto nelle sue giornate gli capitava di ragionare a voce alta e a testa bassa, e il suo parlare era più un soliloquio che un dialogo col fedele Mr. Popo, che pure era sempre presente. «Gli dei sono così: quando accetti che ne esista uno, perché ne hai ricevuto conferma sulla tua pelle, non hai il tempo di abituarti all'idea che sia lui l'entità suprema... che ti ritrovi di nuovo a dubitare della realtà...»
      Poi si riscosse dalle sue riflessioni interiori, e prese di nuovo in considerazione i suoi uditori.
      «Sappiate anche che tutto ciò che esiste, tutta la natura che voi conoscete ed anche quella che non conoscete deve sottostare a delle leggi eterne ed immutabili, dettate da quei Kaiohshin di cui vi parlavo. Rispettare le leggi dell’universo e non permettere deroghe ed eccezioni è sacro compito e dovere delle divinità. La lotta per la sopravvivenza, il desiderio di prevalere, la morte e l'addio al mondo materiale, il crearsi e il distruggersi della materia... questo e tanto altro ancora è ciò che compone i ritmi dinamici dell'universo. Se lette in quest'ottica, molte di quelle che ci appaiono ingiustizie o drammi non sono altro che l'evolversi naturale di questo e di tutti i mondi che esistono, e io stesso ho imparato a fare miei questi principi da quando mi sedetti per la prima volta sul trono divino. A voi, come a tutti, queste leggi ineluttabili possono sembrare il divertimento cinico di qualche essere superiore; però delle regole sono necessarie perché la creazione possa continuare a sussistere e ad evolversi ora e sempre.»
      «Taglia corto e vieni al dunque! Cosa c'entra questo col nostro problema??» interruppe brutalmente Piccolo, irritato da tutto quel discorso che gli sembrava sprizzare pompa magna da tutti i pori.
      Dio lo ignorò ma obbedì all'ordine, riprendendo il discorso. «Secoli fa, seguendo un ricordo ancestrale del mio pianeta d'origine, decisi di creare le Sfere del Drago. Volli che fossero le sfere della speranza, dono di Dio per l’umanità, con cui potesse riscattarsi dai dolori e dai dispiaceri che la vita mortale normalmente comporta... anche se non sempre sono state usate per fini nobili, non c'è bisogno che ve lo dica. Tuttavia, affinché il mio dono fosse legittimo, ho dovuto porre dei limiti invalicabili... per farvi un esempio, siccome le leggi di natura impongono che gli esseri viventi muoiano, ho dovuto stabilire che non si può tornare in vita più di una volta, e mai se il decesso è avvenuto per cause naturali. È questa la ragione per cui ho fissato dei limiti alla possibilità di resurrezione... ho dovuto farlo. L'alternativa sarebbe stata quella di eliminarla completamente, ma ho sempre saputo che sul pianeta esistevano persone con intenti meritevoli. Per questo non ho voluto toglierle agli uomini; dunque, ho dovuto limitarne i poteri per evitare l’abuso. Immaginate cosa succederebbe se ognuno avesse la possibilità di resuscitare i propri anziani familiari deceduti per motivi naturali? Oppure riportarli in vita ogni volta che si vuole? Sarebbe un disastro per l'equilibrio del pianeta, un disastro planetario… contro tutte le regole di natura! E non possiamo fare eccezioni: Dio deve sempre tutelare la giustizia e l'uguaglianza fra gli uomini. Ecco perché non è possibile essere meno rigidi…»
      Seguirono alcuni istanti di silenzio perplesso. Poi Crilin propose: «E se andassimo sul nuovo pianeta Namecc?»
      «Sarebbe inutile, ragazzi. Anche le sfere namecciane, nonostante le differenze con quelle terrestri, sono soggette a limiti analoghi, sempre collegati alle leggi che governano l'universo. Era una cosa che avevo supposto per deduzione, ma me lo ha confermato mio fratello, l'anziano saggio Muri... sapete, non mi sono lasciato sfuggire l'occasione di saperne di più sulle mie origini, nel periodo in cui la comunità namecciana è stata ospite sulla Terra. Dispiace a me, prima ancora che voi... perché io sono Dio, ma sono impotente. Sono inchiodato dall'impotenza.»
      «Tutte sciocchezze!» Piccolo riversò il suo disappunto in un impeto di indignazione. «Dovrei credere che uno come Goku e la sua famiglia non meritano uno strappo a queste regole maledette!?» Era la prova che Piccolo era andato davvero sviluppando un inaspettato senso di giustizia.
      A questo punto Tenshinhan, fremente per il nervosismo, sbottò amaramente: «Ma questo è assurdo!»
      «T-Ten! Calmati!» esclamò Jiaozi che gli stava a fianco, impaurito.
      «Non mi sono convertito alla causa della giustizia per poi lasciare che sia la natura a compiere le più gravi ed insensate ingiustizie! Stando a queste sue teorie, Freezer avrebbe avuto ragione a fare il bello e il cattivo tempo perché Madre Natura lo ha dotato di una superiore abilità combattiva! A cosa valgono allora i nostri sforzi per il bene?»
      «Sono più importanti di quello che credi, Tenshinhan.» rispose Dio in maniera illuminante. «Tutti gli esseri viventi dotati di anima e coscienza nascono liberi di scegliere il bene ed il male, e di mettere i propri sforzi al servizio della causa che hanno scelto. Se si crede davvero nelle forze del bene, si deve essere disposti a faticare e a sacrificarsi pur di aiutarle a trionfare... è questo che ci ha insegnato Goku. Non dubitare mai del valore della giustizia, Tenshinhan.»

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      • Ancora qualche momento di pesante silenzio... che di colpo fu spezzato dall'improvvisa comparsa di una voce più che nota. «Amici! Mi sentite?»
        «Goku?!» si meravigliò Piccolo.
        «Ma certo... questa è la voce di Goku!» ammise Crilin, che avrebbe riconosciuto quella voce fra sei miliardi.
        «Ma dov'è?» Yamcha, che insieme a Tenshinhan e Jiaozi scrutava perplesso l'aria circostante.
        «Che domande! Dove volete che sia... Sono nell'Aldilà! Vi sto parlando direttamente nelle vostre menti tramite i poteri di Re Kaioh!» rispose Goku con naturalezza.
        «Certo... sennò, non potresti mica!» Gli fece eco la divinità azzurra, compiaciuta delle proprie abilità. «Salve a tutti i miei ex allievi! Come state? Ho inventato delle nuove battute... volete sentirle??»
        «Ehm... scusi, re Kaioh, ma dovevo fare quella comunicazione ai miei amici...» lo interruppe Goku.
        «Ah già, è vero! Che sbadato!» ribatté re Kaioh, punto nella sua suscettibilità. Come tutti ricordavano, l'essere azzurro era un grande cultore delle battute comiche, arte nella quale era convinto di eccellere, e mal tollerava di essere interrotto quando stava parlando di questo tema.
        «Cosa volevo dirvi? Me lo sono dimenticato...» si imbarazzò il Super Saiyan, la cui labile mente aveva ovviamente perso il filo del discorso.
        Un pietoso gocciolone di sudore pietoso solcò le tempie di ciascuno dei presenti, da Jiaozi a Dio.
        «Ah, già! Ora ricordo! Volevo dirvi che non dovete disperarvi per la mia morte... Mi hanno spiegato la situazione e, nel mio caso, non è possibile che io risusciti di nuovo.» Gli amici ascoltavano il discorso costernati, con gli sguardi rivolti verso il cielo. «Però non preoccupatevi! Re Kaioh mi ha detto che mi verrà accordato un trattamento speciale perché ho salvato il nostro mondo e la galassia in più occasioni. C'è di più: di solito, una persona che è stata normalmente buona, oppure coloro che hanno commesso cattive azioni, non possono tenere il corpo e diventano puri spiriti. Ma a me hanno concesso di tenermi il corpo... inoltre, non invecchierò mai più! Sapete... qui ci sono esperti di arti marziali vissuti nel passato, e quindi potrò divertirmi un mondo. Perciò, anche se mi dispiace per Chichi e Gohan, non cercate più di farmi resuscitare. Del resto, credo che ormai la pace sia tornata e non ci sia più bisogno di un Super Saiyan sulla Terra. Questo è tutto... Ci rivedremo quando morirete anche voi! Addio!» chiuse Goku, la cui voce allegra sembrava riecheggiare nell'etere, ad una distanza talmente irrisoria che i suoi amici ebbero l'impressione di poter vedere il viso allegro e sorridente del Saiyan.
        «Accidenti a lui! Ma che fa, porta sfiga??» ribatté Yamcha con una battuta.
        «Che ragionamento è? Come può essere così egoista?» osservò contrariato Piccolo, colui che – in tempi ormai moralmente lontani - aveva cercato di conquistare il mondo e seminare il terrore.
        «Credo che dovremo abituarci a non vederlo più fra noi...» sorrise sornione Tenshinhan, il cui umore - dopo aver ascoltato l'ultimo messaggio del defunto - si era disteso. Jiaozi annuì, rasserenato anch'egli.
        «Nonostante sia morto, con la sua allegria alla fine ci ha tirato su di morale....» commentò Crilin, sorridendo con una vena mesta.
        Passò qualche minuto di silenzio; infine Piccolo e i quattro giovani uomini concordarono di lasciare il luogo sacro.
        Era scesa ormai la sera. Il giorno appena concluso aveva causato una frattura irrimediabile tra ciò che era accaduto nel periodo antecedente e ciò che sarebbe avvenuto in seguito: un cambiamento drastico e irreversibile era avvenuto, e nulla sarebbe mai più stato uguale a prima.
        Nell'Aldilà, Goku continuò a dialogare con Re Kaioh. Un po' in imbarazzo, formulò la sua richiesta: «Mi servirebbe un ultimo favore... la prego...»

        Adesso lasciamo che ciascuno dei guerrieri se ne torni a casa, in preda alla rassegnazione e alla desolazione, e concentriamoci su Vegeta. Cosa ne era stato di lui, dopo la dipartita del suo rivale? Qualche giorno dopo, il Principe dei Saiyan si era ritrovato a dominare dall'alto un impervio e nebbioso scenario di monti e rocce dalla cupa tinta grigio-bluastra, vivificato da un vento gelido. Un luogo forse non scelto a caso, perché – col suo vento gelido e con la solitudine totale di quel vuoto - rispecchiava il luogo interiore dell'anima del Principe. Solo pochi giorni prima, vivere era per lui sinonimo di rincorrere Kakaroth, per cercare di raggiungerlo. Ma ora? Aveva parlato con Bulma con l'intento (non manifestato) di chiederle in prestito il Dragon Radar... pazzesco, avrebbe voluto riportare la sua preda nel regno dei vivi. Beh, pazzesco mica tanto... cos'è la vita di un Saiyan se non si ha un degno rivale all'altezza delle proprie aspettative? Sarebbe andato pure a stanare i namecciani sul loro nuovo pianeta, qualunque esso fosse... Con somma scontentezza era venuto a sapere da Bulma che nemmeno le Sfere del Drago potevano più essere d'aiuto. E meno male che non aveva rivelato alla ragazza le sue intenzioni: sbottonarsi troppo e metterla al corrente di un intento simile sarebbe stata una mossa da sprovveduto, quale lui non era. La verità, per chi lo conosceva bene, era che Vegeta rimaneva estremamente ritroso nel mostrare ad altri un lato della sua personalità diverso dalla truce facciata che tutti conoscevano.
        Inutile approfondire i pensieri che si avvicendavano nella mente del Saiyan e che poco per volta lo stavano facendo ammattire: è fin troppo facile intuirli. Tanta era stata la fatica nel cercare di raggiungere Kakaroth, fatica sia fisica che spirituale, tanto si era impegnato, che il solo pensiero che tutto fosse andato in malora lo faceva esplodere di una rabbia senza ritegno. Esplodere, non solo metaforicamente: da quando Vegeta si era recato fra quelle rocce, la fisionomia del territorio era cambiata a causa delle sue deflagrazioni che causavano brevi sismi e sgretolavano le montagne, poi i massi. Era furioso: non avrebbe più avuto la possibilità di dimostrare a Kakaroth che anche lui sarebbe riuscito a sconfiggerlo. Il guanto di sfida era stato lanciato e raccolto, ma la sfida non avrebbe mai avuto luogo. Allo stesso tempo, si era convinto del fatto che Kakaroth avrebbe continuato a osservarlo, a spiarlo dall'Altro Mondo. A quel punto, un'unica certezza gli restava, nell'ampio vuoto lasciato da Goku: «Ti supererò, Kakaroth! Lo giuro sul mio onore, stavolta, sull'onore del Principe dei Saiyan!»

        *******************************************
        L’ANGOLO DELL’AUTORE
        Quando si parla dell'universo da cui viene Trunks del futuro, una delle domande che ci si pone è: perché Goku non è stato resuscitato? Nemmeno con le Sfere di Namecc, poi? Io ho provato a dare una spiegazione, un po' inventata da me e un po' basata su quello che si vede nel manga. :-)
        Che altro? Il discorso che Goku fa dall'Aldilà è preso (ma con modifiche) dallo stesso discorso che nel manga Goku pronuncia dopo la sconfitta di Cell... lo avrete riconosciuto, credo.
        Da questo capitolo in poi, la presenza di Goku sarà abbastanza rarefatta: l'abbiamo visto poco finora e lo vedremo ancora meno. :-) La storia proseguirà concentrandosi più che altro sul suo gruppo.

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        • Letto! In effetti mi ponevo sempre quella domanda, e questa è la risposta più azzeccata! Questo capitolo mi ha un po' delucidato le idee.

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          • Andiamo avanti! Prossimo capitolo!

            Cap. 17: The show must go on.

            Per quanto a casa di Goku il lutto fosse vissuto con maggior dolore, Chichi e Gohan avevano deciso di non demordere e di tenere duro.
            Determinante era stato, anche in questo caso, l'intervento di Goku. Il capofamiglia aveva cercato di prendere qualche precauzione dall'Aldilà, perché gli sarebbe dispiaciuto che sua moglie e suo figlio avessero vissuto nella depressione per colpa sua. E qui entrò in gioco re Kaioh a cui, come abbiamo visto, Goku aveva chiesto “un ultimo favore”: favore che consisteva nella possibilità di mettersi direttamente in contatto telepatico con moglie e figlio. Ciò avvenne nella notte che concluse quella fatale giornata, dopo che Piccolo e i quattro amici terrestri fecero il resoconto della loro fallimentare spedizione, a cui Gohan e Chichi prestarono orecchio con gli occhi arrossati trattenendo a stento il pianto. Chichi li pregò seccamente di lasciarli stare in pace per un po', congedando loro ed anche Bulma, che si era offerta di passare la notte con loro per dare un minimo di sostegno morale. Quando tutti se ne furono andati, madre e figlio si chiusero ognuno nella propria stanza, si buttarono ciascuno sul proprio letto e si sentirono finalmente liberi di dare sfogo alle lacrime.
            Fu allora che Goku si intrufolò nelle loro menti, col contributo della divinità amica, la quale promise che stavolta non si sarebbe intromesso con le sue chiacchiere.
            «Gohan! Chichi! Mi sentite?»
            «Goku?» «Papà!»
            «Vi sto parlando nelle vostre menti dall'Aldilà! Per questo, adesso tutti e due potete sentirmi, ma non potete vedermi... Volevo dirvi delle ultime cose. Sapete, qui nell'Altro Mondo non c'è il telefono, quindi è meglio che approfitti di questa occasione... purtroppo non ci devono essere contatti diretti tra i vivi e i morti!» ridacchiò l'eroe.
            Chichi esplose in lacrime... ancora più copiose, se possibile. Gohan ascoltava stupito, ma attento, desideroso di imprimersi nella mente quelle che sarebbero state le ultime parole che avrebbe sentito dalla voce del suo genitore.
            «Su, su, Chichi... non fare così. Lo so che ti ho fatto soffrire molto e che non mi sono comportato come il marito ideale che avevi in mente... però sappi che ce l'ho messa tutta. Stavo veramente bene con te... persino quando andavamo assieme al mercato. Non penso che altre donne sarebbero state tanto pazienti quanto te! Mi hai regalato anni felici... di questo posso solo ringraziarti!» Nella solitudine della propria camera da letto, Chichi non poté fare a meno di sorridere felice.
            «Gohan, veniamo a te. Ti chiedo scusa se per lunghi periodi non ti sono stato vicino... spero potrai perdonarmi, e ti auguro di vivere felicemente la tua vita, anche se non ci sarò io al tuo fianco.»
            «Papà, non dire così! Non devi chiedermi scusa!»
            «Però devi ammettere che, stando insieme, ci siamo molto divertiti! E questa è la cosa che conta di più, non è vero?»
            «Certo!» annuì Gohan con un energico sorriso.
            «L'unica raccomandazione che ti faccio è di proteggere la mamma e di difenderla ad ogni costo! E, anche se sembra strano detto da me, di renderla orgogliosa impegnandoti coi tuoi studi. Credo che la Terra ormai sia in pace... ad ogni modo, io ti consiglierei di non tralasciare mai gli allenamenti, in modo da essere pronto per ogni evenienza. Credo che anche Chichi dovrebbe essere d'accordo su questo punto...» Chichi ascoltava con un sorrisetto indispettito; non doveva essere troppo d'accordo, in fondo.
            «Adesso devo salutarvi. Mi sento in colpa: non avrei mai voluto che foste tristi a causa mia, anche perché io stesso da piccolo ho perso mio nonno, e so cosa significa la morte di una persona così cara. Però sappiate che anch'io, come mio nonno fece con me, continuerò a vegliare su di voi da questo Mondo. Credo che comunque ci rivedremo in futuro... anche se spero per voi che questo momento arrivi il più tardi possibile! Addio!»
            Le parole del Saiyan defunto penetrarono in profondità nei cuori della donna e del bambino, che miracolosamente quella notte riuscirono a concedersi un meritato sonno, complice anche la stanchezza accumulata in precedenza. Ancora una volta, Goku era riuscito a scacciare la malinconia con la sua forza d'animo e l'inconfondibile spensieratezza; così, paradossalmente, proprio i più stretti congiunti del Saiyan ebbero il privilegio di non soffrire troppo a lungo per il lutto.
            A questo punto, lasciamo che Gohan e Chichi riprendano le loro occupazioni quotidiane rispettivamente di studente e casalinga, a cui entrambi attesero con un perenne sottofondo di malinconia; il vuoto lasciato dal capofamiglia, da quel capofamiglia, non sarebbe mai stato colmato. L'unica nota che variava in positivo le giornate di Gohan furono, ed è facile capirlo, le visite al suo adorato maestro Piccolo, col quale proseguì gli allenamenti, che in una certa misura giovarono ad entrambi; e, contro questi momenti di relativo sollievo del figlio, Chichi imparò a non aver nulla da ridire.

            Era un giorno chiaro e luminoso. Sembrava che tutti gli elementi naturali, gabbiani, mare, brezza marina si fossero messi d'accordo per creare il clima stereotipato da isoletta tropicale, giù alla Kame House.
            Era trascorso un mese da quando Goku era morto. I giorni e le settimane che seguirono quel funesto giorno furono un tripudio di clima mite e temperato, perché naturalmente la natura se ne frega delle nostre sventure personali, e ci propina il bel tempo quando noi nel cuore abbiamo cielo coperto e tuoni. Del resto, da quando in qua c'è un collegamento tra il nostro benessere e quello che accade in natura? I fatti accadono e basta, e siamo noi a esprimere delle valutazioni positive o negative secondo il nostro interesse. Ebbene, a Crilin in quel periodo la vita non sorrideva. Viveva per inerzia: si alzava al mattino per inerzia; sempre per inerzia consumava i suoi pasti; ancora per inerzia, si spostava sulla spiaggia a sferrare qualche calcio e qualche pugno contro l'aria.
            Muten, per quanto intristito dalla dipartita di uno dei suoi allievi, aveva adottato l'atteggiamento sereno e benevolmente rassegnato che si confà a chi, di disgrazie, nella vita ne ha viste tante. Ciò che preoccupava di più il vecchio eremita era il suo allievo pelato. Nonostante il dolore, Crilin avrebbe dovuto superare questo atteggiamento passivo e remissivo; tuttavia, il vecchietto aveva deciso di lasciare che la malinconia abbandonasse spontaneamente il giovane, dopo una sana e profonda riflessione.
            Il ragionamento di Muten non era errato: standosene da solo, Crilin ebbe modo di riflettere. A farla breve, Crilin si era cominciato a chiedere cosa gli aveva lasciato Goku. Cos'era rimasto del passaggio dell'eroe in questa vita mortale? Effetti molto concreti, certamente: molte volte la Terra era stata salvata dal male. A parte questo, Goku, con il suo buon esempio, aveva dato a tutti un insegnamento di vita: ciascuno può diventare un eroe, lavorando su sé stesso, sviluppando al meglio le proprie capacità e mettendole al servizio del bene. Non tutti possiamo essere degli eroi a pieno titolo... però ciascuno di noi ha il dovere di sviluppare quella briciola di eroismo che conserva in sé. Goku era stato capace di trasmettere la capacità e la voglia di migliorarsi a suo figlio Gohan e ai suoi cari amici che lo circondavano, persino a quel pazzo di Vegeta.
            Cos'avevano avuto in comune Goku e Crilin? In cosa potevano sentirsi accomunati? Il loro profondo legame di amicizia era nato insieme alla loro formazione di base, con le lezioni impartite loro dal maestro Muten, e si era rinsaldato a mano a mano che il loro amore per le arti marziali andava crescendo. Già... la Scuola della Tartaruga aveva inculcato loro i valori morali per i quali valeva la pena di combattere, per realizzare un mondo migliore. Entrambi, con l'aiuto dei loro amici, avevano messo in pratica tali insegnamenti. Fu questa constatazione a far accendere nella mente di Crilin una lampadina luminosa come la sua testa pelata.
            Così, quella mattina chiara e luminosa, Crilin convocò il maestro Muten e la fedele e paziente tartaruga di mare nel soggiorno della Kame House. Si sedettero attorno al tavolo da pranzo, con il rettile disteso sul pavimento.
            «Vi ho riuniti qui per comunicarvi la decisione che ho preso.»
            «Dicci tutto, Crilin.» disse il vecchio con pacata serietà, mentre dai suoi occhiali da sole brillava un barlume di curiosità.
            «Maestro, dopo molte riflessioni sono giunto ad una decisione, e spero che mi darai il tuo permesso. Ho intenzione di rinnovare la Scuola della Tartaruga. Credo che nel mondo ci siano ancora giovani in grado di appassionarsi alle arti marziali proprio come ci eravamo appassionati io e Goku. E sono convinto che abbiano bisogno di un maestro che li possa guidare non solo nel mondo della lotta, ma anche della vita e della giustizia, proprio come tu hai fatto con noi anni fa.» disse Crilin, accompagnando con un sorriso le sue sincere affermazioni.
            Per un attimo Muten rimase interdetto dalla commozione: quelle poche parole genuine lo avevano toccato davvero. Tuttavia, senza lasciar troppo trapelare la sua emozione, Muten incalzò: «È una decisione ammirevole ma di grande responsabilità, figliolo. Ti senti pronto a farlo?»

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            • «Parli dei soldi necessari per lanciare un'attività? Ci sto pensando...»
              «No. Ti sto chiedendo se sei pronto dentro, nel tuo cuore. Essere un maestro presuppone una solida convinzione dei propri ideali, e un'apertura al confronto e al dialogo senza mai traballare; diventare un punto di riferimento per i propri allievi e non deludere mai l'affidamento che riporranno in te. Ti saranno richieste doti di severità, pazienza, umanità, onestà.»
              La tartaruga intervenne: «Maestro, però lei non è mica così onesto come dice...»
              «Tu stai zitto!» si stizzì l'anziano, per poi domandare con tono serioso: «Crilin, ti senti pronto a tutto questo?»
              Crilin per un momento fu sul punto di rispondere “Sì, credo di sì...”. Ma si rese istintivamente conto che una risposta simile non sarebbe stata degna di quella convinta determinazione che il vecchietto si aspettava da lui. Quindi, a voce chiara concluse: «Ne sarò sicuro e convinto quando lo avrò sperimentato; intanto sono sicuro di volerci provare.»
              «Bravo, è una risposta saggia, ragazzo mio. Credo che, con un po' di pratica, potrai essere un buon maestro, o almeno diventarlo col tempo.» Poi, con tono più rilassato, proseguì: «Dal lato pratico, come hai intenzione di procedere?»
              «Beh, prima di tutto devo trovarmi un lavoro, anche due se sarà il caso, per accumulare un po' di soldi e finanziare questo mio progetto. Sai, non avendo molti risparmi da parte...»
              «Mi sembra ragionevole. E poi?»
              «Poi, potrei prendere in affitto un capannone o qualcosa di simile per aprire una palestra di media grandezza, e dovrei acquistare tutte le attrezzature. Non so quanti allievi potrò avere prima di ingranare, però di spazio ce ne vuole, per fare esercizio...»
              «Bene! Hai già deciso dove realizzerai tutto ciò? Certo non puoi restartene qui, isolato nell'arcipelago a sud-est...»
              «Infatti pensavo nella grande Città dell'Ovest, almeno nel periodo iniziale... per avere una maggiore visibilità e farmi conoscere!» rispose l'allievo, segno che aveva già riflettuto abbondantemente sull'argomento. Poi continuò, e il suo tono di voce virò verso il nostalgico e il sognante: «Magari più avanti mi piacerebbe trasformarla in qualcosa di più simile ai suoi allenamenti! Isolamento dal caos della civiltà, consegne del latte, lavoro nei campi a mani nude...»
              Muten lo riportò alla realtà: «E poi, come procederai?»
              «Te l'ho detto, maestro! Quando avrò un piccolo drappello di iscritti, voglio coltivare e diffondere quegli ideali di lotta per la pace e la giustizia che lei ha insegnato a tutti noi allievi!»
              «Bravo, lodevole davvero! Per caso hai in serbo altri... progetti per il futuro?» chiese maliziosamente. Lo sguardo del vecchio, da serio che era, mutò: sorrideva sotto i folti baffi, mentre un brillio di furbizia attraversava le lenti scure.
              Crilin arrossì e calò lo sguardo, ammettendo: «Vorrei trovarmi una fidanzata e sposarmi...»
              «Allora sii più convinto! Dillo con convinzione, senza paura!» lo incalzò il maestro, per instillargli entusiasmo.
              Crilin scattò in piedi facendo cadere all'indietro la sedia su cui era seduto, i pugni alti verso il cielo in segno di trionfo: «Io mi fidanzerò con una bella ragazza e la sposerò!» urlò in preda all'esaltazione.
              «E io potrò essere fiero di te?» proseguì Muten con tono esaltato.
              «Certo, maestro!» annuì energicamente.
              «E indicarti con euforia e commozione dicendo: “Guardate tutti, questo è il mio allievo prediletto!”?»
              «Ne sarei felice, maestro!»
              «E tu mi lascerai toccare il culo di tua moglie??» domandò il vecchio, accompagnando la domanda con un eccitatissimo gesto di palpeggiamento con le mani.
              Calò il gelo. Crilin accoltellò il maestro con un'occhiataccia rabbiosa. «No, eh?» chiese l'anziano con un'espressione facciale sciocca.
              La tartaruga volle sedare gli istinti depravati del vecchio maniaco: «Maestro... non sia inopportuno...»
              «Nemmeno un pochino di pat pat alle tette?» aggiunse lagnandosi.
              «No...» tagliò corto Crilin.
              «Dai, Crilin... permettimi di toccare una sola tetta di tua moglie, quando vi sposerete...» si lamentò Muten con tono patetico.
              «Incredibile... Crilin non è nemmeno fidanzato, e lui pensa già a molestare un'ipotetica futura ragazza...»
              Ottenuta l'approvazione del maestro sul suo progetto, Crilin decise di girare sui tacchi e salire in camera per preparare l'occorrente. Nonostante tutto, il dialogo col maestro lo aveva elettrizzato e voleva raccontare ogni cosa a Bulma e Yamcha.
              Muten imperterrito lo seguì, cercando di estorcergli qualche promessa. «Potrò venire a trovarti ogni tanto in città? Lì è così pieno di belle gnocche...»
              «Solo se si comporterà bene, maestro...»

              Anche Tenshinhan, e in misura minore Jiaozi, erano rimasti negativamente colpiti dalla morte di Goku, evento che aveva offerto alcuni spunti di riflessione in particolare al treocchi. Il buon Tenshinhan, rispetto a Crilin, aveva però un carattere meno sentimentale: per quanto rammaricato, aveva mantenuto un atteggiamento pragmatico. Dedito alla sua vita concreta fra i monti, continuava ad allenarsi insieme a Jiaozi, e ogni tanto si presentava a qualche mercato per vendere le materie prime che riusciva a ricavare dai boschi.
              Di tanto in tanto, specialmente la notte, rifletteva su quello che Goku gli aveva lasciato. I segni del passaggio di quel caro amico, o meglio ancora l'eredità di Goku... Prima di incontrarlo, Tenshinhan e Jiaozi erano due delinquentelli furbacchioni e presuntuosi che vivevano di atti al limite della legalità quando non piccole truffe e imbrogli, approfittando della loro forza fisica superiore. Plagiati dai cattivi insegnamenti dell'Eremita della Gru e traviati dall'ancora più cattivo esempio di Taobaibai, per un certo periodo avevano creduto che l'arroganza e la prepotenza pagassero. Poi era arrivato Goku: avevano imparato a stimarlo ed apprezzarlo come esperto di arti marziali prima, durante il Tenkaichi, e poi come grande eroe durante la crisi causata dal Grande Mago Piccolo. Era stato quello il periodo in cui i due amici si erano convertiti alla causa della giustizia, della lealtà, dell'etica.
              Nel periodo successivo all'addio di Goku, Tenshinhan si era ritrovato a ripensare alle parole che Dio gli aveva rivolto quel giorno. “Non dubitare mai del valore della giustizia”: quelle parole non erano state solo delle spiegazioni verbali, perché lui le aveva vissute come un monito nei suoi confronti, sul quale aveva continuato a rimuginare. Il ricordo degli anni trascorsi seguendo il loro vecchio maestro lo scontentava, anche se ormai aveva superato da molto la fase dei rimorsi, in special modo perché aveva dato il suo contributo alle forze del bene per combattere contro Piccolo e i Saiyan ma, cosa ancora più importante, aveva dato una sonora ed umiliante lezione ai suoi ex maestri. Si rendeva conto, comunque, che la colpa di quel suo spacconeggiare adolescenziale era dei pessimi insegnamenti ricevuti. Che rabbia! Quei due farabutti avevano indirizzato sulla via del male due giovani innocenti, disonorando così la Scuola della Gru che, in altre circostanze, sarebbe potuta essere una grande scuola. Questi pensieri gli fecero balenare un'idea, che sentì il bisogno di mettere a fuoco consultandosi con Jiaozi. Un giorno i due amici erano in pausa pranzo sotto un vecchio pino; vedendo Tenshinhan pensieroso, il suo piccolo amico gli chiese: «Qualcosa non va, Ten?»
              «No, stai tranquillo.» sorrise il treocchi. «Stavo solo riflettendo su un'idea interessante che mi è venuta da qualche giorno...»
              «Eh? E quale...?» domandò Jiaozi.
              «Pensavo a Goku e a tutto quello che ha comportato la sua amicizia per me... e ripensavo al nostro passato, quando l'eremita della Gru ci dava lezioni...»
              «È stato lui a insegnarci le basi.» ricordò con nostalgia il piccolo combattente, per poi rabbuiarsi: «Però ci ha fatto anche commettere tante cattiverie...»
              «Già! Infatti pensavo proprio che è un peccato che tanti utili insegnamenti fossero al servizio di azioni così malvagie. Ed è un peccato che la scuola di arti marziali della Gru sia stata corrotta e degradata per colpa sua e di suo fratello.»
              «Però eravamo più giovani!» obiettò Jiaozi, con il tono di uno che si sentiva cresciuto. «Fortunatamente siamo maturati!»
              «Hai detto bene, Jiaozi... “fortunatamente”, perché il destino ci ha fatto incontrare gente come Goku e il maestro Muten che ci hanno convinto a cambiare, sia con le parole che coi fatti.»
              «È vero! Siamo stati molto fortunati in questo...»
              «Ma non tutti i ragazzi potrebbero avere questa fortuna.» osservò Tenshinhan.

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              • «Dove vuoi arrivare? Non fare il misterioso...» domandò Jiaozi, che sorrideva divertito: intuiva che Tenshinhan aveva in serbo una qualche idea molto simpatica. Quando si ha una così stretta familiarità con un amico, sapersi leggere reciprocamente nella mente è il minimo, no?
                «Non c'è motivo di fare misteri! Ti ho voluto spiegare come sono arrivato alla mia idea, che ora ti esporrò. La mia idea era quella di riportare in auge la Scuola della Gru, per riabilitarne il buon nome. Credo che ci siano molti giovani con buone potenzialità che devono essere indirizzati sulla retta via. Tu che ne pensi?»
                «A me sembra una buona idea... ma come si fa ad attuarla?»
                «Abbiamo qualche risparmio da parte, no? Se servirà, lavoreremo di più... però solo se tu mi darai l'appoggio. Ti va?»
                «Certo!» ribatté Jiaozi con entusiasmo. C'era forse qualche proposta, idea o spunto di Tenshinhan a cui Jiaozi non avrebbe dato l'appoggio? Probabilmente no, ma in quel caso specifico il piccolo combattente era interiormente convinto della bontà dell'idea. Con eccitazione, i due amici continuarono a chiacchierare e a pianificare il loro futuro prossimo.

                Il dolore per la scomparsa dell'amico aveva reso Bulma e Yamcha più taciturni. In genere erano l'uno il confidente dell'altra e viceversa; se ora parlavano di meno, era perché l'addio al loro più caro amico comune li aveva resi più tristi, e i loro pensieri si erano fatti più foschi. Troppi ricordi comuni li legavano a doppio filo al deceduto, e quel doppio filo si congiungeva anche a loro; tanto per cominciare, ad esempio, Goku era presente al loro primo incontro. Parlavano meno, quindi; e in qualche modo la cosa infastidiva entrambi. Non era facile accettare che non lo avrebbero rivisto mai più; solo poco tempo prima lui era seduto nel salotto della Capsule Corporation e aveva chiesto loro cosa diavolo aspettavano a sposarsi, naturalmente inconsapevole di quanto gli anni avessero reso difficile il rapporto tra i due innamorati... difficile da vivere, figuriamoci da spiegare. Beata ingenuità! Ma Bulma era convinta che le cose non capitassero mai per caso, e anche quel monito da parte di Goku doveva significare qualcosa. Un giorno, quindi, la ragazza tirò le somme e prese la sua decisione; decise che era giunto il momento di costringersi a fare la sua proposta a Yamcha, a tutti i costi. L'occasione fu la colazione di quella mattinata.
                «Yamcha, io ho pensato molto in questo periodo. Ho un po' di imbarazzo nel chiederti quello che ho voglia di chiederti...» ed era vero. Strano a dirsi, ma Bulma era animata da vistoso imbarazzo e timidezza... insolito per lei.
                «Dimmi, tesoro...» la rassicurò Yamcha. «Come mai quella faccia? Lo sai che tra noi non ci sono segreti...»
                «Sposiamoci.» Disse lei tutto d'un fiato. «Ti va?» Bulma domandò così, con semplicità, improvvisando, senza sapere quali altre parole usare, ma con una punta di preoccupata incertezza. C'era qualcosa in fondo al suo cuore che le faceva avere tanta paura di una risposta negativa.
                «Non me la sento di dirti subito di sì... mi spiace.» ripose lui, altrettanto senza parole.
                «Ma perché no? C'è un motivo?»
                «Non ho detto no...»
                «Non hai detto nemmeno di sì, però!» iniziò ad incalzare la donna.
                «Voglio pensarci bene, prima.»
                «Ah, sì? E quanto tempo ti servirebbe per “pensarci”?» Inaspettatamente, Bulma stava perdendo l'autocontrollo. La risposta non era stata subito positiva come aveva sperato, e questo la stava agitando.
                Anche Yamcha, vista la piega che stava prendendo la discussione, iniziò ad alzare la voce: «Ma perché ora ti è presa tutta questa fretta di sposarti?? Spiegamelo!»
                «Perché ho paura del futuro!» rivelò con viso sconvolto da una certa disperazione la giovane che, pur essendo una scienziata e una ragazza determinata, davanti al suo uomo sapeva mettere a nudo i suoi timori di donna. «Lo capisci o no che oggi ci siamo, e domani potremmo non esserci più? Hai visto cos'è successo a Goku? La mattina si è alzato, avrà fatto una buona colazione abbondante delle sue, e la sera stessa era pronto ad essere sepolto sotto tre metri di terra! Abbi una buona volta il coraggio di prendere una decisione, nella tua vita!!»
                «Io dovrei avere il coraggio?? Ma tu lo sai che, quando questo mondo rischiava di essere distrutto, io mi allenavo come un matto? E lo sai chi avevo in testa tutto il tempo? TE!» Yamcha era fuori di sé: lui non era Vegeta, ossia non era il tipo da fare del proprio orgoglio una questione capitale, ma in quel momento lo faceva imbestialire in sé il sentore che Bulma a volte lo considerasse un immaturo, sicché non volle farsi mettere i piedi in testa. «E lo sai perché volevo che quel mostro del tuo amico Vegeta morisse?? Per te, stupida! Perché poteva mandarti all'altro mondo in ogni momento, bastava semplicemente uno schizzo della sua follia! Lo so che mi consideri uno smidollato... Ma non ti azzardare più a farmi la predica sul coraggio, Bulma!»
                Bulma rimase esterrefatta: decisamente non aveva previsto che Yamcha potesse adirarsi in quel modo. Da tanto doveva covare quei sentimenti, e una volta tanto si era lasciato trascinare dall'ira. «S-scusa... non volevo che ti sentissi ferito in quel modo... non penso questo di te...»
                «Scusa un cazzo, lasciami stare!» sbraitò adirato il ragazzo. «Esco a farmi un giro... ci vediamo!»
                Avrebbero fatto pace, come tante altre volte in passato, pensava la ragazza mentre lo vedeva andar via. Non era uno strappo irreparabile, anzi: negli anni si erano svolte centinaia di litigate come quella... E quando si sarebbero parlati di nuovo per fare pace, lei gli avrebbe concesso tutto il tempo che gli serviva per pensare al matrimonio.
                Di per sé, Yamcha sapeva che Bulma non aveva tutti i torti ed entrambi avevano una parte di torto dalla loro. Davanti alla sua coscienza non poteva negare che a lui piacevano molto le belle ragazze, e ogni tanto si imbambolava a guardare il sedere di qualcuna che passava per la strada. È cosa nota che in situazioni come quella di Yamcha e Bulma la colpa non sta mai da una sola delle due parti. Tuttavia, se pensava a Bulma, il giovane sfregiato si rendeva conto che lei era quella con cui sarebbe voluto vivere per la vita.
                Che fare? Da tempo aveva di sé una pessima opinione: pensava di essersi rivelato un mezzo fiasco come combattente, come se non bastasse il fatto di essersi fatto mantenere per anni dalla ricca e generosa famiglia della sua fidanzata. A mano a mano che passeggiava per le strade della grande metropoli, si calmava ma focalizzava i suoi pensieri su alcuni argomenti. Pensava che a una certa età diventa fisiologico il bisogno di darsi da fare e potersi sentire una persona realizzata, e lui era appunto in quella fascia d'età; pensava anche che questo “darsi da fare” non significasse per forza doversi dimostrare come i salvatori della Terra... infatti Chichi era stata ancor più contenta di Goku quando si era dimostrato un valido marito e padre, più che un maniaco della guerra. Rimeditava anche sul progetto di rinascita della Scuola della Tartaruga che qualche giorno prima Crilin aveva descritto a casa di Bulma, quando era andato a far loro visita, e a cui magari avrebbe potuto aderire anche lui. Del resto cosa aveva da perdere? D'altronde, non era stato anche lui un allievo del celebre maestro Muten?

                ************************************************** **
                L’ANGOLO DELL’AUTORE
                Proseguono le vicende dei nostri beniamini. Il titolo è un famoso modo di dire inglese ("lo spettacolo deve continuare"). I Queen hanno fatto anche una bella canzone con questo titolo. :-)
                Che dire? Per l'idea della rinascita delle due scuole di arti marziali, ho preso spunto da alcune cose che ho letto su un videogioco online chiamato Dragon Ball Online: non ci ho mai giocato e non so in cosa consista la rinascita delle due scuole nel gioco, quindi - a parte l'idea di partenza - non ho intenzione di scopiazzare altro. :-)
                Spero che la situazione Bulma/Yamcha non sia troppo telenovela: il genere romantico non è il mio forte, e del resto è una storia di cui tutti conosciamo già la conclusione. Tutto sta nel vedere come arriveremo a quella conclusione e a... Trunks.
                La mia parte preferita è il dialogo tra Crilin e il maestro Muten - che, tra parentesi, è la prima parte del capitolo che ho scritto, che mi è venuta praticamente di getto, soprattutto la parte finale di quel dialogo. ;-)

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                • Bella l'idea della scuola tartaruga portata avanti dagli ex-allievi di Muten vs la nuova Gru, divertente il dialogo col maestro pervertito.

                  Non mi aspettavo che, nell'accoppiata Bulma-Yamcha, sarebbe stato quest'ultimo a mostrare insofferenza per primo.
                  Comunque ha fatto bene a sbraitare e c'ha pure ragione sul coraggio e tutti i sacrifici che ha sopportato, solo che proprio il fatto di doverlo precisare dà idea di quanto sia considerato smidollato rispetto ad un Vegeta che, invece, non avrebbe mai avuto bisogno di mettere nero su bianco certe cose.

                  A proposito, il principe dei saiyan che fine ha fatto?
                  sigpic

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                  • Originariamente Scritto da Ssj 3 Visualizza Messaggio
                    Bella l'idea della scuola tartaruga portata avanti dagli ex-allievi di Muten vs la nuova Gru, divertente il dialogo col maestro pervertito.
                    Ti giuro: ogni volta rileggo quel dialogo e ne vado orgoglioso. E' una scena che vorrei veramente vedere messa in manga o in animazione, peccato che non succederà mai.

                    Originariamente Scritto da Ssj 3 Visualizza Messaggio
                    Non mi aspettavo che, nell'accoppiata Bulma-Yamcha, sarebbe stato quest'ultimo a mostrare insofferenza per primo.
                    Comunque ha fatto bene a sbraitare e c'ha pure ragione sul coraggio e tutti i sacrifici che ha sopportato, solo che proprio il fatto di doverlo precisare dà idea di quanto sia considerato smidollato rispetto ad un Vegeta che, invece, non avrebbe mai avuto bisogno di mettere nero su bianco certe cose.
                    Grazie! Questo commento mi fa capire che, almeno in questo capitolo, mi sono mosso su una buona strada. Ci tenevo a dare una versione della loro storia in cui la colpa NON fosse NETTAMENTE di Yamcha o di Bulma: in particolare volevo sfatare la versione troppo semplicistica per cui Bulma ha scoperto qualche tradimento da parte di Yamcha e si è tuffata (da sgualdrina quale molti la considerano e lei stessa a volte dà l'impressione di essere) fra le braccia del Principe. Sarebbe stato troppo semplice e meno credibile... Almeno non volevo fare che la colpa fosse troppo dell'uno o dell'altro, ed entrambi hanno la loro quota di ragione e di torto. (certo poi Bulma racconterà a suo figlio Trunks la versione in cui scaricherà tutta la colpa addosso al suo ex, come del resto mi pare normale conoscendo il carattere di lei e il fatto che ne parla con il figlio).

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                    A proposito, il principe dei saiyan che fine ha fatto?
                    Beh, l'ultima volta che l'abbiamo incontrato, nel precedente capitolo 16, lo abbiamo visto infuriarsi per la morte di Goku e la sfumata possibilità di confrontarsi direttamente con lui, ma con il giuramento di superarlo. Non ti anticipo la piega che prenderanno le cose, ma in questo momento starà sicuramente impegnandosi con tutte le sue forze per mantenere il suo giuramento. Te lo segnalo perchè, visto che non hai commentato il capitolo 16 ("Post Mortem"), forse ti è inavvertitamente sfuggito.
                    Last edited by VirusImpazzito; 20 June 2013, 19:41.

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                    • Quando leggevo le prime battute, riuscivo a sentire la malinconia che si provava in giro. Nelle ultime parti del dialogo Crilin-Muten mi sono messo a ridere di brutto. XD
                      La scelta che hai fatto, cioè il fatto che Goku abbia voluto parlare per un ultima volta con i familiari, mi sembra molto azzeccata. Molto carina l'idea della "rinascita" delle due scuole. Per quanto riguarda il difficile rapporto tra Bulma e Yamcha, mi sembra giusto ciò che hai scritto. Ho sempre pensato che la colpa sia stata accolata a Yamcha, visto il suo amore per le belle donne, quindi pensavo ad un tradimente unito con troppe divergenze di pensiero. Così è più originale e soprattutto "realistico". La colpa non può sempre essere data a soltanto uno dei due fidanzati, se non si va d'accordo la colpa è di entrambi (salvo casi particolari ).

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                      • Bene, pubblico un nuovo capitolo (avvertendo Ssj3 che non ho capito se ha letto o saltato per caso il capitolo 16, visto che non ha commentato, ed era lì che abbiamo visto l'ultima volta il Principe dei Saiyan ).

                        Cap. 18. - Il buon giorno si vede dal mattino.

                        Crilin e Yamcha, un po' tesi ma nel complesso calmi, erano seduti nella sala d'aspetto della Drako Tra.co., “I draghi dei trasporti”, come recitava lo slogan dell'azienda. Uno slogan abbastanza stupido, in verità, specialmente per chi nella vita ha visto dei veri draghi dal vivo; tuttavia, quando si cerca lavoro, non è saggio fare gli schizzinosi per via dello slogan aziendale.
                        I due allievi di Muten erano lì appunto in cerca di lavoro. Quando aveva raccontato a Yamcha e Bulma del suo grande progetto di vita, Crilin aveva esternato la necessità di raggranellare soldi, necessari per avviare quel tipo di impresa. Bulma, col suo solito spirito da crocerossina, gli aveva offerto un consistente prestito; ovviamente non erano i soldi che le mancavano. Il pelato, però, aveva dignitosamente rifiutato quel tipo di aiuto, sostenendo che avrebbe voluto cavarsela da solo almeno in quell'occasione, costruire qualcosa da zero senza che nessuno gli regalasse niente; a quanto sembrava, era stato toccato dal mito del self-made man. Accettò però un consiglio: la giovane lo indirizzò verso una multinazionale della Città dell'Ovest, la Drako Tra.co. per l'appunto, specializzata nel settore dei trasporti e delle spedizioni anche su scala internazionale, interessata ad assumere uomini di fatica. Era un'azienda leader nel suo settore, molto famosa per via del suo ampio volume d'affari.
                        Alcuni giorni dopo, in seguito ad un'accurata riflessione, Yamcha aveva dichiarato all'amico che avrebbe voluto condividere quel progetto, lavorare fianco a fianco con lui e portare avanti insieme a lui l'attività. Crilin accettò questo tipo di sostegno: quella non era una generosa elemosina, ma il desiderio di un compagno fidato che, come lui, aveva voglia di mettersi in gioco. «E poi in due faremo prima a racimolare i soldi che ci servono, non credi?» Crilin acconsentì di buon grado, senza pensarci due volte: un amico è sempre un amico. Gli propose addirittura di andare a sostenere insieme il colloquio di lavoro.
                        Finalmente la segretaria, una formosa ragazza dai capelli color carota in camicetta e minigonna, li accolse. Secondo quanto aveva raccontato Bulma, Mr. Drako, il titolare dell'impresa, quando poteva si divertiva a selezionare personalmente i suoi dipendenti, per il puro gusto di metterli in soggezione e far capire che, se volevano lavorare per lui, dovevano abituarsi alla sua superiorità. “È un po' stronzo, ma in fondo è onesto e sa rispettare i buoni lavoratori, quando se lo meritano”, questo era stato il giudizio complessivo da parte della ragazza di Yamcha.
                        Mr. Drako era seduto alla sua lussuosa scrivania; in effetti, i due amici notarono con la coda dell'occhio che non solo la scrivania, ma tutto l'arredamento era lussuoso. La scrivania era di un qualche legno pregiato e coperta da una lastra di vetro perfettamente lucido, su cui era poggiato un completo set da scrivania, un elaborato posacenere e un astuccio in legno chiaro e lucido, forse un portasigari. Addossato ad una parete, c'era un lungo mobile in legno a scomparti, e alle spalle del ricco imprenditore una massiccia libreria in legno. E poi, cavalli: il riccone doveva avere una vera ossessione per questi animali. Ce n'erano statuette più o meno piccole su tutti i mobili, in metallo o in marmo, qualcuna in legno, un cavallo di pietra accanto al mobile a scomparti, e persino un grande dipinto con un cavallo alato appeso al muro. Si concentrarono su Drako che, come si è detto, era seduto alla scrivania, compostamente adagiato sulla poltrona in pelle nera; la segretaria che li aveva accolti si era andata a posizionare a fianco al suo datore di lavoro, tenendo in mano alcuni fogli di carta, sicuramente documenti d'ufficio. Il boss era un uomo tarchiato, dai capelli grigiastri e con due basette folte e larghe. Abitualmente doveva portare un cappello marrone da cowboy, che in quel momento, trovandosi l'uomo in un luogo chiuso, giaceva sulla scrivania.
                        “In effetti la faccia da uomo d'affari furbastro ce l'ha proprio...” fu la prima impressione di Yamcha.
                        Furono invitati ad accomodarsi sulle sedie poste davanti alla poltrona. Poi, ostentando bene il contenuto dell'astuccio ligneo sulla scrivania, Drako prese e un sigaro e se lo accese, indicando i restanti sigari con tono saccente: «Questi ovviamente non sono per voi.»
                        «Non fumiamo, grazie.» osservò Crilin, con tono neutro ed attento a non urtare la suscettibilità del suo potenziale capo.
                        «Vuoi forse insinuare che sbaglio a fumare perché fa male alla salute?»
                        «No, no... ognuno è libero di fare come vuole...»
                        «Allora stai dicendo che faccio bene a fumare perché fa bene alla salute!»
                        Crilin, un po' confuso, penso fra sé: “Ma è matto?!”, ma dalle sue labbra uscì solo: «No, dico solo che i sigari sono suoi, lei è libero di fumarli e, siccome noi non fumiamo, non siamo interessati a farle compagnia.»
                        Un ghigno di soddisfazione sarcastica si disegnò sul volto di Drako, che probabilmente si stava divertendo. Yamcha in quel momento ebbe la sensazione che quel colloquio fosse una specie di test psicologico. «Veniamo a noi, giovani. Ditemi chi siete, cosa volete e chi vi manda...»
                        «Io mi chiamo Yamcha, piacere.»
                        «Io sono Crilin. Veniamo qua in cerca di lavoro presso la sua azienda, e non abbiamo nessuna raccomandazione...» dichiarò Crilin, che si era preparato quella frase per non mostrarsi esitante, ma soprattutto badando a non menzionare Bulma e la Capsule Corporation. Non voleva usare la fama dell'amica, pezzo grosso dell'economia mondiale, come un facile appiglio.
                        «La mia segretaria mi accennava al fatto che non avete portato un curriculum vitae... cominciamo male.»
                        «Sì, signore, perché di fatto non sapremmo cosa mettere come esperienze lavorative... siamo in cerca di una prima esperienza...» spiegò Yamcha in lieve imbarazzo.
                        «Male, male, molto male.» ripeté Drako, chiaramente intenzionato a mettere a dura prova i nervi dei due candidati. «Non ci siamo proprio... spiegatemi perché dovrei assumervi.»
                        «Abbiamo una certa esperienza nelle arti marziali... ci siamo anche allenati molto fin da quando eravamo giovanissimi ed ormai abbiamo una notevole forza fisica... in passato abbiamo anche partecipato a diverse edizioni del torneo Tenkaichi.» intervenne prontamente Crilin.
                        «Non seguo quegli sport.» ribatté seccamente il riccone, con un lieve tono di noia. «Mi interessano solo le corse di cavalli, e ogni tanto ci scommetto su.» La bella segretaria increspò le labbra, coprendole con un paio di dita della mano: tratteneva il riso sotto i baffi. Fu chiaro ai due compagni che l'imprenditore li stava mettendo alla prova per vedere se avrebbero dato di matto.
                        «Beh, comunque entrambi abbiamo sempre superato la fase delle eliminatorie, quindi tanto male non dovremmo essere! Sulla nostra forza fisica si può fare completo affidamento!» osservò Yamcha sforzandosi di apparire simpatico.
                        Drako rise sguaiatamente: «Sì, sì, voi due mi piacete! Ho deciso di prendervi, sarete utili in magazzino come assistenti col carico e scarico delle merci. E poi, da qualche parte dovrete pur cominciare a fare esperienza.» Poi, rivoltosi alla sua dipendente, disse con voce fintamente severa: «Forza, consegna i moduli a questi baldi giovanotti e spiega orari di lavoro, stipendio e ferie, tutto! Cerca di essere chiara, non devono sussistere dubbi!» e accompagnò l'ordine con una bella pacca sul sedere della ragazza, che arrossì.
                        La bella segretaria si avvicinò e illustrò per bene le condizioni di lavoro. Le cose si erano evolute in quel modo con tanta rapidità che i due amici, scambiandosi uno sguardo, chiesero al loro nuovo datore di lavoro un minuto per discutere fra loro. Una volta in disparte, i due si scambiarono un paio di idee.
                        «Hai visto la paga? Per me è una miseria!» commentò Yamcha.
                        «Già... di questo passo, ci vorrà una vita per raggiungere la somma che ci serve...» rispose Crilin un po' sfiduciato. «Ma cosa dovremmo fare? Con lo scarso curriculum che abbiamo...»
                        «E se andassimo a lavorare per un po' in un'altra palestra già avviata? Con le credenziali che abbiamo...»
                        «Sarebbe come mettersi al servizio di un altro maestro... io non ci sto. E poi, anche quando apriremo la nostra, si direbbe in giro che siamo allievi di quell'altro, e Muten passerebbe in secondo piano.»
                        «Hai ragione... e allora, che si fa?» Dopo qualche istante di silenzio, a Yamcha venne in mente un'idea; la espose all'amico e decisero di andare a parlare nuovamente col capo.
                        «Embè? Ci avete già ripensato?» chiese l'uomo.
                        «Le piacciono le scommesse, vero? Volevamo proporne una...»
                        L'uomo drizzò le orecchie come antenne; forse la sua seconda ossessione, dopo i cavalli, erano le scommesse... passatempo godibile, per chi ha soldi da spendere. «Sentiamo...» disse mentre, sfoggiando un largo sorriso, si accarezzava la basettona destra.
                        «Scommettiamo che... io e Crilin riusciremo a portare a termine dieci consegne a testa entro la fine della giornata... scelga lei la destinazione.» propose Yamcha di slancio.
                        «Interessante... Però dieci consegne potete anche arrivare a farle, usando dei potenti jet... non è una cifra sufficiente.»
                        «Aspetti, non ho finito: consegneremo tutto a mano, in qualunque parte del mondo – scelga lei le destinazioni. Vogliamo darci la zappa sui piedi... non dieci, ma quindici pacchi! E non importano nemmeno le dimensioni! Li scelga belli grossi, quei pacchi da consegnare. Il tutto senza mezzi di trasporto. Noi faremo firmare la ricevuta di consegna ad ogni singolo destinatario, così lei avrà la prova che i suoi pacchi non sono stati gettati in mare.»

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                        • «Ancora più interessante! E quale sarebbe la posta in gioco?»
                          «Ovviamente non ci guadagneremmo nulla, noi, se le chiedessimo in posta solo una somma molto più elevata dello stipendio che pagherebbe ai suoi dipendenti per svolgere questi lavori... quindi le chiediamo di assumerci come addetti al trasporto. Salario triplicato. In caso contrario, pagheremo l’equivalente in denaro di tutti i pacchi che lei sceglierà di affidarci per le consegne. Che ne dice?» domandò Yamcha conclusivamente, con accento provocatorio.
                          Drako e la sua assistente ristettero a guardare con tanto d'occhi il ragazzo con le cicatrici e il pelato. Quindi scoppiarono a ridere. «Potevate dirlo che eravate venuti qua a cazzeggiare... che stronzi!» commentò l'uomo d'affari, lacrimando tra una risata e l'altra, completamente ignaro delle capacità sovrumane dei nostri due eroi.
                          «Veramente siamo seri...» mormorò a mezza voce Crilin.
                          «Ma allora siete pazzi... sapevo che il mondo ne è pieno, ma che venissero fin qui a chiedermi lavoro, non ci avrei mai creduto...» rispose sgomento il riccastro. Anche la giovane assistente rimase sconvolta.
                          «Scusi, ma cosa le costa metterci alla prova!?» esclamò Crilin.
                          «Mi costa che se mi sfasciate il contenuto dei vari pacchi, mi dovrete risarcire fino all'ultimo centesimo! Chi li sentirebbe poi i clienti? Non voglio nemmeno pensarci, le cause legali fioccherebbero... Lo sapete questo, o no?? Altro che scommessa!» sbraitò l'uomo.
                          «Allora le promettiamo che, se danneggeremo il contenuto anche di un solo pacchetto, per quanto possa essere prezioso glielo ripagheremo, anche a costo di indebitarci a vita.» si impegnò Crilin, che aveva fatto di quella battaglia un punto di onore. Drako ci pensò un po', poi si risolse a parlare: «Voglio giocare un po'... fatemi vedere che sapete fare, coraggio!»
                          Non ci dilungheremo sui particolari di quella giornata decisiva. Diremo solo che – com'era prevedibile - i due allievi di Muten adempirono alla loro impresa, impegnandosi a fondo. Nulla riuscì a fermarli: né il sole, né l'afa, né la pioggia, il vento o la neve; a fine giornata, quando si ripresentarono stanchi e sudati al cospetto del loro ricco imprenditore, avevano un mazzo di ricevute firmate pronte a testimoniare le avvenute consegne. L'assunzione era assicurata. Quando se ne furono andati, Drako si lasciò andare ad una risata soddisfatta. «Ah ah ah! Incredibile! Oggi abbiamo fatto un ottimo acquisto! Quei due bastardi sono giovanotti davvero in gamba!»
                          Quanto tornarono alla Capsule Corporation, raccontarono tutto a Pual, Olong e Bulma. Mentre i primi due si dichiararono felici ed orgogliosi del successo dei due amici, Bulma – pur congratulandosi con l'amico e con il fidanzato – in cuor suo avvertiva un qualche ostacolo che le impediva di accettare questa svolta da parte di Yamcha. Riteneva che un comportamento simile fosse tremendamente fuori dal suo personaggio. Sì, perché - quando si conosce da lungo tempo una persona - molto spesso si finisce per cucirgli addosso un personaggio che non coincide esattamente con la realtà per quella che è, per cui ci si aspetta che quel personaggio agisca secondo un copione preconfezionato. Tuttavia, grazie al cielo, a volte i personaggi sfuggono alla logica del copione, proprio come stava facendo Yamcha in quel periodo. La vera preoccupazione di Bulma era che il giovane stesse agendo in quel modo per distanziarsi da lei, in reazione alla proposta di matrimonio di pochi giorni prima: si chiese sospirando: “Sarà vero che vuole realizzare qualcosa di suo? Lo scopriremo solo vivendo...” Che ne sarebbe stato di loro due, ora che quest'avventura stava diventando una storia vera...? Bulma sperò tanto che Yamcha fosse sincero.

                          Era il giorno concordato, per Tenshinhan e Jiaozi. L'appuntamento era fissato di buon mattino alla periferia di Vodka Town, sita a nord-est del grande continente; arrivati sul posto, Tenshinhan e Jiaozi si fermarono a contemplare quel terreno. Era un'ampia area, arida e incoltivabile, tuttavia ideale per la costruzione di una grande palestra di arti marziali; l'avevano trovata dopo una ricerca durata alcune settimane, girovagando per varie città in cerca di informazioni. Avevano chiesto un colloquio col sindaco, per illustrargli il nuovo progetto e chiedere l'autorizzazione; in quell'occasione il primo cittadino spiegò loro che si trattava di un terreno adibito ad uso pubblico, che in teoria tutti i cittadini avrebbero potuto coltivare, ma che di fatto giaceva abbandonato perché era talmente sterile che nemmeno le sterpaglie riuscivano a metterci radici. Il sindaco, un ometto insicuro di mezza età, si mostrò titubante nel concedere l'autorizzazione; cedette quando si rese conto che i suoi due interlocutori erano degli esperti di arti marziali. Ora i due amici si trovavano là, davanti all'appezzamento su cui quel giorno sarebbe iniziato a sorgere il loro futuro, mattone su mattone: infatti, erano là per aspettare l'arrivo dei manovali e del progettista, per l'inizio dei lavori di costruzione. Ai due futuri maestri piaceva l'idea che, su quel terreno improduttivo dal punto di vista agricolo, loro due avrebbero fatto crescere qualcosa di grande, anche metaforicamente. Il treocchi era riuscito a scucire all'impresa edile un accordo: con i risparmi dell'attività di commercio compiuta da lui e da Jiaozi in quei mesi e negli anni precedenti, Tenshinhan era stato in grado di pagare un consistente anticipo; avrebbe pagato il resto a rate, con i guadagni dell'attività dei mesi a seguire e, successivamente, con le tariffe di iscrizione degli allievi paganti.
                          Vodka Town era un cittadina poco estesa, vagamente orientaleggiante, a cui faceva da sfondo una cornice di montagne innevate per buona parte dell'anno; una cittadina di quelle dove le notizie si diffondono facilmente. Non a caso, Tenshinhan e Jiaozi trovarono sul posto già un piccolo numero di abitanti del luogo che erano venuti a curiosare; nel giro di breve tempo, il numero di curiosi si era moltiplicato e si esprimeva in un chiacchiericcio animato. Cominciarono ad arrivare i mezzi di trasporto dei manovali. I due amici avevano appena iniziato a dare il buongiorno al progettista e al capocantiere, che si udirono arrivare al galoppo due pittoreschi personaggi, in groppa a due bisonti. I nuovi arrivati frenarono le loro bestie e saltarono giù in maniera rozza: già dall'atteggiamento da gradassi si capiva che avevano intenzione di attaccare briga e di polemizzare.
                          «Buongiorno a tutti, 'mpari miei.» esordì il primo. Si trattava di un omaccione corpulento grosso e grezzo, alto quanto Tenshinhan ma dalla corporatura più tozza e massiccia, dall'accento montanaro e dall'aspetto vagamente mongolo o siberiano, con un paio di folti baffoni neri e dagli occhi a mandorla, un po' stempiato e con i lunghi capelli neri oleosi all'indietro, con tipici abiti in pelle foderati di pelliccia all'interno.
                          «Ciao, 'mpari.» gli fece eco l'altro, con lo stesso accento, ma con voce più nasale. Per completare la degna coppia da film, quest'altro era secco secco, con gli zigomi sporgenti, alto quanto il compare e con lineamenti mongoli; gli mancava qualche dente davanti, ed era vestito in modo simile al suo compare. Complessivamente era brutto come la fame; cosa non da poco, portava con sé una lunga katana nel fodero che indossava sulla schiena. Entrambi indossavano un enorme fazzolettone arancione annodato che copriva loro il collo e le spalle.
                          «Dunque erano vere le voci che giravano in città... siete voi due i capi di tutta questa situazione qua?» chiese l'omaccione, disegnando con il grosso dito indice dei cerchi nell'aria indicando l'area circostante.
                          «Sì... siamo noi che abbiamo affidato l'incarico di avviare i lavori per costruire la nostra nuova palestra. Il sindaco ci ha dato il via libera.» rispose Tenshinhan spartanamente.
                          «Bene, benissimo, mi fa piacere per voi, 'mpari.» replicò il tipo magro sghignazzando.
                          «Peccato che la vostra idea ci dia fastidio e, quindi, non potrete realizzarla. Mi spiego?» continuò l'energumeno.
                          «Per quale motivo? Innanzitutto diteci chi siete.» ordinò con tono neutro il treocchi, seccato dall'atteggiamento volutamente tracotante dei due. Jiaozi rimase con la sua naturale espressione impassibile, mentre dalla folla riunita alle loro spalle si sentiva un brusio nervoso, dominato dallo stupore generale e dalla diffidenza verso quei due stranieri che sfidavano così i più forti della zona.
                          «Io mi chiamo Tung e questo cazzone qua è il mio 'mpare, Uska. Mettiamo in chiaro che da queste parti i più forti siamo noi e le leggi qua le facciamo noi, quindi vi conviene adeguarvi.» Il più grosso dei due fece proprio una bella introduzione, non c'è che dire.
                          «E adeguarvi vuol dire che si fa come diciamo noi e voi non dovete rompere il cazzo, va bene?» rimbeccò il magro Uska.
                          Tenshinhan arrivò tra sé ad una conclusione: “Ecco perché il sindaco esitava tanto, prima di concederci l'autorizzazione... ma poi ha saputo che eravamo esperti di arti marziali in grado di difendersi, e quindi ha ceduto...”

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                          • «Vediamo se capisco cosa volete dire. Siccome siete i più forti della città, pensate di avere il diritto di girare a testa alta e di tiranneggiare il prossimo. Per un puro capriccio, poi, impedite che la gente faccia ciò che vuole; così dominate tutti incutendo terrore con la violenza fisica. Giusto?» domandò infine Tenshinhan, in chiusura di una serie di constatazioni che aveva fatto con tono accusatorio e sarcastico.
                            «Bravo, treocchi. Vedo che sei un tipo intelligente... quindi, se tu e il tuo amico pupo qua di fianco sarete abbastanza svegli da accettare il mio consiglio, vi conviene proprio togliervi dalle scatole e non farvi più vedere. Così non vi torceremo un capello.» dichiarò tronfio Tung, senza cogliere quelle che Tenshinhan aveva snocciolato come delle accuse.
                            «Ahah!» rise con voce da cornacchia Uska. «Mi fai morire dal ridere, 'mpare, quando fai ad un pelato la battuta sul non torcere un capello!»
                            «Grazie, 'mpare. Come vi chiamate voi due, treocchi?» chiese Tung.
                            «Tenshinhan e Jiaozi.» rispose per lui Jiaozi.
                            «Figa oh, ma allora il pupazzo parla! Ma è un pupazzo automatico o sei tu a manovrarlo, treocchi?» chiese Uska scioccato.
                            Nel frattempo Tung si stava lisciando i baffoni, pensieroso. Dove aveva già sentito quei due nomi? Non gli suonavano nuovi. «Ma certo! Mi ricordo di voi! Avete partecipato al torneo Tenkaichi e vi siete qualificati bene... ricordi, Uska?»
                            Uska rifletté un po', poi gli tornò alla mente il ricordo dei tornei seguiti in tv diversi anni prima. «Sì che mi ricordo! Abbiamo visto tutte le edizioni... fino a quando lo sospesero per via delle devastazioni causate da quel mostro verde!» sui volti dei due amici mongoli si dipinse un espressione affranta; le bocche mostravano sofferenza. «Il nostro sogno era partecipare, ma quando finalmente avevamo raggiunto un buon livello di potenza, l'hanno sospeso! Che ingiustizia!» si lagnò Tung con tono di rimpianto.
                            Uska ribatté: «Eravate forti! Ma adesso noi lo siamo di più! Gira voce che viviate da eremiti su qualche montagna, eh? Cosa siete, una coppia di concubini?»
                            Tenshinhan lo squadrò malissimo. Gli dava fastidio che qualcuno potesse fare insinuazioni sul rapporto tra lui e il suo piccolo, caro Jiaozi.
                            A quel punto un vecchietto si fece avanti. «Io mi ricordo di voi due per altri motivi. Mi ricordo che tempo fa giravate da queste parti e imbrogliavate la gente perbene con le vostre truffe... per non parlare delle risse che avete scatenato. Eravate allievi di quel farabutto dell'Eremita della Gru...» rinfacciò l'anziano con tono stizzito. «... che poi era il fratello di quel delinquente di Taobaibai, il killer di fama internazionale!» confermò un altro vecchio, intervenuto a sostegno del primo. si diffuse un brusio di sottofondo, segno che la gente stava iniziando a diffidare di Tenshinhan e Jiaozi.
                            «Condivido appieno tutte le vostre ingiurie contro quei due disgraziati!» proruppe Tenshinhan inaspettatamente. «Da anni io e il mio amico abbiamo rotto i rapporti con il maestro, e se siamo qui oggi è solo perché vogliamo riabilitare la nostra vecchia scuola agli occhi del mondo!»
                            «Chissenefrega!» esclamò Tung. «Per me siete proprio due bastardoni!» Poi, aspirando energicamente il catarro dalla gola, Tung sputò all'indirizzo del volto di Tenshinhan. Poco prima di entrare in collisione col naso del treocchi, tuttavia, lo sputo si fermò a mezz'aria, restando sospeso come una disgustosa massa globulare giallo-verdognola. Subito Jiaozi mosse il proprio indice destro e quella saliva informe andò a schiantarsi sul viso di Tung, facendolo traballare all'indietro. Il pubblico rimase stupito. «È stato il pupazzo!» esclamò Uska, mentre il suo amico si puliva grossolanamente il viso con la manica del giaccone. «Infatti, ricordo che al torneo aveva un potere speciale...!» mormorò Tung, continuando: «Basta coi giochi di magia! Si dice che una volta foste forti... ma ora come staranno le cose? È da tanto che vivete appartati lassù» disse con maliziosa insinuazione. «Non potete sapere che qua ormai gli imbattibili campioni siamo noi. O sbaglio? Forza... fatti sotto, 'mpare! Tu, invece» disse rivolgendosi all'amico «dai una sistemata come si deve al pupo, ok?» Con un cenno di assenso, i due si scambiarono un cinque.
                            «Non mi batto contro un somaro chiaramente più debole di me. Andatevene via e lasciate in pace questo paese.» replicò schiettamente Ten, senza raccogliere le provocazioni. Tung chiuse la sua tozza manaccia a pugno e colpì al massimo della sua forza il naso del treocchi, il quale non batte completamente ciglio. Poi Tenshinhan afferrò il polso dell'avversario, lo spostò verso l'alto e cominciò a sollevarlo verso l'alto per poi sbatterlo al suolo a destra e a sinistra, ripetutamente. «E questa non è nemmeno la centesima parte della mia forza. Spero sia tutto chiaro.» asserì, per poi lasciargli il polso, facendolo crollare a terra intontito. Nel giro di pochi minuti, fu pieno di lividi e tumefazioni.
                            Contemporaneamente, Uska aveva sguainato la katana ed aveva cominciato a correre all'impazzata verso Jiaozi. Quando fu sul punto di affettarlo con un fendente, il piccolo combattente si scansò senza scomporsi affatto; poi aprì il palmo di una manina e lo bloccò con la telecinesi, mentre con l'altra manina riuscì ad aprire forzatamente le mani dell'avversario, che lasciarono cadere a terra la katana. «Non si gioca coi coltelli.» sentenziò ironicamente Jiaozi, per poi levitare verso il nemico e colpirlo delicatamente con un micidiale calcio al mento che gli fece fare un volo di qualche decina di metri. «Tutto fumo e niente arrosto.» disse Jiaozi, voltandosi verso l'amico treocchi, per trovarlo sorridente.
                            I due delinquenti, malconci, doloranti e sanguinanti, salirono in groppa ai loro bisonti, gridando: «Addio, 'mpari!»; possiamo dire che non furono mai più rivisti in quella zona. Poi il piccoletto si alzò in volo davanti alla folla dei cittadini e, formando una V di vittoria con le dita della manina bianca, affermò: «Visto? Le arti marziali sono utili per difendersi dagli scellerati come quei due! Speriamo che vi iscriverete alla nostra palestra, così vi insegneremo tutto quello che si può!» La folla era allibita.
                            A quel punto, in maniera del tutto sorprendente, Tenshinhan si gettò sulle proprie ginocchia, abbassò il viso fino al terreno e parlò: «Se dovremo stare qua e vivere a contatto con voi, vogliamo acquisire a tutti i costi la vostra fiducia! Vi chiediamo scusa per tutte le malefatte che abbiamo commesso in passato verso la vostra comunità... e se possiamo aiutarvi in ogni modo, chiedetecelo! Abbiamo un'unica ambizione, ormai... insegnare le arti marziali a chiunque sarà animato da sentimenti onesti!» Detto ciò, tacque.
                            La cittadinanza di Vodka Town a poco a poco era andata nella sua quasi totalità ad ingrossare le fila del pubblico. Davanti ad un atto di umiltà così plateale, che non sarebbe stato credibile se Tenshinhan non fosse stato in buona fede, tutti lo acclamarono fragorosamente. I due compagni avevano liberato la città da due aguzzini che la opprimevano con la loro prepotenza, e ora venivano salutati come eroi e benevolmente accolti dalla comunità. Il combattente dai tre occhi si era dimostrato un uomo d'onore, e preannunciava di essere un atleta anche migliore. Del resto è sempre comodo avere dei paladini pronti all'azione che vivono a due passi da noi, no? Quel giorno stesso, i muratori diedero inizio ai lavori con estremo piacere: non avevano dubbi che, vista la potenza fisica del treocchi e del suo amichetto nanerottolo, la palestra avrebbe avuto grande successo e avrebbe fatto affari d'oro.

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                            • Abbandoniamo per un momento la Terra, perché nel periodo in cui si stavano svolgendo i fatti appena raccontati, sul lontano pianeta Frost si stavano ponendo delle premesse fondamentali per tutti coloro la cui vita ruotava intorno a Goku. Il pianeta Frost era il mondo natio della famiglia di Freezer e Re Cold, nonché di Cooler, da alcuni mesi divenuto nuovo re. Le morti del padre e del fratello gli avevano infatti dato il via libera all'eredità paterna e, in quanto primogenito, poteva ascendere alla corona senza concorrenza. Frost era un pianeta piuttosto anomalo, se raffrontato con la Terra: molte rocce, pochi specchi e corsi d'acqua, un territorio per gran parte incoltivabile. I suoi panorami erano dominati da colori tenui ed incantevoli: il cielo al culmine del mattino era di colore rosa, gli alberi avevano tronchi azzurrini e la scarsa vegetazione spaziava dal bianco candido al giallo chiaro. Si diceva che persino le rocce più volgari e comuni avessero colori chiari: quelle più scure arrivavano al giallo intenso. A modo suo, era un mondo molto bello e suggestivo da visitare, ma la sua peculiare conformazione geologica lo aveva reso insufficiente per la sussistenza di coloro che lo popolavano. Per questo qualche millennio prima i suoi abitanti, che erano per natura in numero ridotto e difficilmente sarebbero aumentati, avevano imparato a sfruttare la propria abnorme forza spirituale per volare; il che, unito alla loro eccezionale capacità di sopravvivere nello spazio aperto, ne aveva fatto una razza di famigerati conquistatori di galassie, a scapito degli altri pianeti.
                              Quel pianeta aveva dato i natali a Freezer e ai suoi familiari a partire dagli antenati più ancestrali. Oltre ad essere la patria e il pianeta prediletto della più potente dinastia regnante dell’universo, il fatto di essere un pianeta molto caratteristico lo aveva reso immune allo sfruttamento economico, e la poca tecnologia installatavi serviva solo a farlo funzionare come capitale imperiale. Era il centro dell'impero fin dai tempi in cui Chilled, iniziatore della politica di conquista, aveva ribattezzato il pianeta in onore di suo padre Frost, in modo che tutti i suoi discendenti potessero allegoricamente definirsi “i figli di Frost”.
                              Nella sala del trono dello splendido ed austero palazzo imperiale, Re Cooler era assiso sul magnifico trono di pietra grigio chiaro dai riflessi iridescenti, tanto prezioso quanto pressoché sconosciuto alle popolazioni dell'universo. Era ormai la creatura più potente dell'universo; per donare enfasi all'incredibile potenza di cui egli era il privilegiato possessore, aveva scelto di mantenere il suo vero aspetto, che suo fratello Freezer sfoderava solo in casi eccezionali per non perdere il controllo della propria forza. Cooler, invece, riusciva a mantenere quelle sembianze senza dispersione di energia, né sforzo di contenimento. Era sempre stato per costituzione più alto e più possente di Freezer; a differenza del fratello, che nel suo aspetto originale era “a tinta unita”, Cooler aveva la pelle di due colori: la sua pelle naturale era viola, ma alcune porzioni del corpo erano rivestite da coperture ossee color ghiaccio in corrispondenza del petto, delle spalle e di avambracci, stinchi e polpacci; il cranio, anch'esso color ghiaccio, era sormontato da una lucida placca blu, che si intonava con la sua tipica battle suit blu notte, con spalline dorate, alle quali era infisso un ampio mantello rosso, simbolo della dignità regale. La sua superbia, fin dai tempi in cui era ancora un erede al trono, lo aveva indotto a stabilire per legge che nessuno dei suoi dipendenti potesse indossare una battle suit con due spalline: tutti i soldati e gli ufficiali dovevano portarne una sola, in segno di asimmetria e quindi di imperfezione. Egli era l'unico che poteva vantare il diritto di essere perfetto.
                              Quel giorno aveva in programma di ricevere alcuni suoi soldati, in vista di una missione di fondamentale importanza. Era quello il giorno in cui Kodinya aveva finalmente ottenuto un'udienza con il suo sovrano, ed ora si apprestava ad entrare nella sala delle udienze.

                              ************************************************** *****
                              L’ANGOLO DELL’AUTORE
                              Sorpresa! Ebbene, ha fatto la sua comparsa anche Cooler, quindi nella storia ci sarà anche lui.
                              Qualche curiosità...
                               il nome Drako è scelto tanto per fare assonanza con tra.co. (transport company);
                               i nomi Tung e Uska sono presi da Tunguska, che è una zona della Russia dalle parti della Siberia;
                               per quanto riguarda Vodka Town, ho pensato che se nel mondo di DB esiste Ginger Town, anche la Vodka ci può stare :-D ;
                               le riflessioni di Bulma su Yamcha sono una mezza citazione dalla canzone "Con il nastro rosa" di Lucio Battisti;
                               il nome del pianeta di Freezer e famiglia è una mia libera scelta, vuol dire "gelo" in inglese. Invece Chilled l'ho preso da uno special su Bardack, il padre di Goku, che si trasforma in Super Saiyan per
                              combattere appunto l'antenato di Freezer, Chilled.

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                              • Bel capitolo anche questo.
                                Ahahahahah Battisti! Come ti è venuta!?
                                Lasciatelo dire: sei un mito!
                                Comunque non capisco come tu faccia ad essere così tanto fantasioso. Si, io sono fantasioso, ma di sicuro non quanto te! XD
                                Last edited by calogero99; 23 June 2013, 22:27.

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