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  • Quel film lo ricordo con piacere

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    • Ho visto Millenium.
      Fincher ha perso il tocco da anni purtroppo.
      M'illumino d'immenso.
      Shepard

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      • Dici? A me è piaciuto più di social network.
        Originariamente Scritto da GiovanniAuditore ironico
        la grafica è l'ultima cosa che guardo in un videogame, se ho un computer di ultimissima generazione è perché voglio giocare fluido a diablo1.
        Lastfm

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        • Non è tanto un paragone con Social Network e Benjamin Button che sono opere di natura diversa, quanto più un confronto tra il Fincher moderno di Zodiac e Millenium rispetto al classico di Game, Seven e Fight Club.
          Questo perché Millenium non è un brutto film. Questo perché Fincher non è più in grado di elaborare, dissezionare e comporre a proprio piacimento opere ambiziose e fortemente stratificate. Millenium è un film solido, con una regia che non si permette mai cali e scorre bene nonostante la durata non indifferente, ma purtroppo non graffia, non fare il passo successivo.
          La trama è sì solida, ma non davvero compiuta. Questo perché Fincher non riesce a costruire lo svolgimento narrativo con la maestria che gli ha permesso di rivoluzionare il thriller degli anni '90, scade dei cliché, nella struttura da classico poliziesco, non riesce ad organizzare bene i contenuti. Il lavoro degli interpreti è lodevole [soprattutto della Mara] ma abbastanza inutile, perché i personaggi stessi sono statici, superficialmente caratterizzati, e hanno anche poco da dire. Senza contare tutti gli elementi appena abbozzati e non trattati con la dovuta cura, vedi i vari personaggi dell'enorme famiglia che fatichi anche a riconoscere, la pessima integrazione di comprimari quali la figlia del detective e l'astio nei confronti della religione di quest'ultimo, la storia d'amore non dovutamente approfondita, il cattivo di turno stereotipato e privo di contestualizzazione.
          Probabilmente era un lavoro troppo ambizioso, più adatto a un serial che non a un lungometraggio autoconclusivo, eppure sono dell'idea che il Fincher degli anni d'oro avrebbe tirato fuori qualcosa di ben più memorabile rispetto a questa fredda e accademica pellicola.
          È un film che consiglierei comunque agli amanti dei thriller investigativi, in quanto sotto questo aspetto è sicuramente ben diretto, tuttavia non credo incontrerebbe i gusti di chi cerca un racconto completo.

          Il voto complessivo è un 5,5.
          M'illumino d'immenso.
          Shepard

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          • Ho recuperato tra ieri e oggi i primi due "Una notte da leoni".

            Non male il primo, più per l'imprevedibilità, un vero susseguirsi di follie. 7

            Il secondo è carino, ma si penalizza molto per non aver nemmeno provato a differenziarsi dal primo. E' identico anche negli archi narrativi (matrimonio e via discorrendo). Darei un 5,5, ma con un po' di grazia arrivo alla sufficienza.

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            • the last stand si colloca in una specie purgatorio senza fine

              sigpic

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              • Originariamente Scritto da Dragon Slayer Visualizza Messaggio
                Ormai mi sto abituando a fare doppi post.

                Spoiler:



                "Dick Laurent is dead"

                Non mi dilungo troppo perché è un'opera così mastodontica che meriterebbe un vero e proprio articolo solo per essere a grandi linee assimilata.
                Penso che Lynch con la sua trilogia della mente abbia aperto una nuova strada nel cinema, un'arte visiva che abbandona totalmente i canoni narrativi comuni e destrutturalizza la trama, affogando lo spettatore in un oceano onirico pervaso da oscurità, onirismo e sensazioni.
                Le chiavi di lettura sono molteplici, nessuna certa e tutte suggestive: possiamo vederlo come una specie di scambio di corpi, con conseguente battaglia psicologica tra subconsci; possiamo vederlo come un enorme trip mentale dove realtà e finzione si sposano perfettamente; è molto valida anche l'ipotesi che si tratti di un ossimoro dei due personaggi principali, una psicologica lotta tra bene e male, sogno e realtà, conscio e subconscio.
                La regia è assolutamente magnifica, parte con atmosfere soffuse strizzando l'occhio al noir/horror, creando una sorta di atmosfera climatica opprimente che però non si riversa mai nel cosiddetto spannung, lasciando chi lo guarda in uno stallo emotivo. Poi diventa una sorta di viaggio, dove chi guarda la pellicola è confuso almeno quanto il protagonista, vive tale esperienza con occhi ingenui chiedendo perché, cercando di trovare il senso di un puzzle enigmatico e caotico. Il finale non ci consegna la chiave che vorremmo, quella che ci permetterebbe di comprendere questi 130 minuti di follia visionaria: il nastro di Moebius non si scompone e continua a girare inesorabile, come un circolo vizioso dove non esiste una strada lineare, rimandando sotto certi aspetti al classico Eraserhead. Inutile descrivere la maestria di D.L. nei suoi piani sequenza prolungati e fissi, nella sensualità distorta che è capace a creare, la fotografia sfuggente e fumosa che verrà ripresa anche in altre sue opere, Inland Empire su tutte.

                Purtroppo non è una pellicola per tutti, è facile additarla come nonsense solo perché non si appoggia agli schemi tradizionali, e difatti nemmeno la critica al tempo comprese l'incredibile intreccio che presenta Lost Highway. Però per chi è capace ad amare ciò che non necessariamente si può comprendere in pieno, per chi ancora è capace a farsi trasportare dalle immagini e dalla musica, è un'opera senza tempo.

                10/10
                giuro che a spannung mi avevi già convinto.
                Me lo procuro al più presto.
                Senza musica la vita sarebbe un errore
                Friedrich Nietzsche

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                • Recuperatelo, tu e Vespa, perché anche nel caso non vi piacesse è comunque un'esperienza visiva fuori dal comune.

                  Comunque, mi sono rivisto un po' di The Hobbit, e purtroppo devo dire che questa volta non mi ha colpito particolarmente. No, non mi riferisco alla trama, alla crisi identitaria della narrazione bla bla. Parlo semplicemente di scenografia.
                  Dopo aver nuovamente visionato spezzoni della trilogia, ho compreso quale sia il problema tecnico di questo Hobbit: manca l'artigianalità e il calore delle ambientazioni del LOTR. Questo perché Jackson non valorizza la maestosità delle colline brulle della Nuova Zelanda per fare un esempio, è un continuo abuso della CGI sparata in massima definizione. Parliamo di computer grafica di altissima qualità, però è talmente definita che senza l'illusione del 3D pare quasi pacchiana.


                  Parlando di cose serie, mi sono guardato un altro film. Ovviamente contiene spoiler, quindi evitate se non l'avete visto.

                  Un borghese piccolo piccolo, di M. Monicelli.
                  La pellicola, dopo aver presentato il cast tecnico come da vecchia scuola, si apre con una scena di pesca tra Antonio Vivaldi, impiegato presso il ministero, e il suo figlio Mario, neo-diplomato in ragioneria.
                  Il film presenta i vari elementi che caratterizzano il cinema di Monicelli, abbiamo quindi il neorealismo rosa che lo ha reso famoso, i dialoghi quotidiani che mantengono un forte legame con la realtà nonostante la verve comica e la rappresentazione della scena italiana del tempo leggermente grottesca.
                  La storia vuole raccontare di questo uomo, Antonio, tipico ritratto dell'italiano medio anni '70, un po' superficiale e dozzinale, pirata della strada, leggermente vanaglorioso e con un forte attaccamento per la famiglia, ovviamente profondamente cattolica. Un uomo che nonostante i suoi limiti, per amor del figlio, sacrifica tutto quello che ha, dall'orgoglio alla fede, pur di dargli la possibilità di avere una vita migliore. Il tutto in salsa rosa, con satira leggera nei confronti delle istituzioni, della massoneria e dello stereotipo della famiglia italiana.

                  Poi si arriva al crollo. A metà del film Monicelli distrugge se stesso e si reinventa. La commedia sparisce e lascia entrare un dramma profondo e verace, il dolore più duro e sincero della famiglia. Il magnifico Alberto Sordi muta totalmente, i suoi lineamenti non sembrano più gli stessi, il suo tono di voce è pervaso da un forte senso di malinconia e malessere. Le scene con la moglie sono assolutamente strazianti, Monicelli non calca mai la mano a riguardo buttandola sul melodrammatico e giocando su un impianto sonoro invadente, ma descrive la realtà nel modo più crudo che gli riesce, servendosi di due grandi interpreti. Assistiamo alla totale distruzione del personaggio di Antonio Vivaldi, che non solo si riaffaccia al vero neorealismo per tracciare il marciume dell'Italia in quegli anni, abbracciando ogni campo dalla politica alla sfera personale, ma addirittura sfocia in un personaggio Hitchcockiano, dove il germe della follia si manifesta inesorabile rendendolo schizofrenico eppure così realistico. L'ultima mezz'ora è una continua pugnalata gelida come il ghiaccio, l'affresco italico diviene sempre più nero e profondo, causando nello spettatore un senso di empatia verso tutti e tre i personaggi: in Vivaldi, l'unico del quale conosciamo i sentimenti, della moglie, probabilmente immersa in un conflitto interiore, e del prigioniero, di cui non conosciamo la psiche, l'ipotetico rimorso, il flusso di coscienza.
                  Alberto Sordi è dio in questo film. Tra l'altro la pellicola presenta delle scene simboliche fenomenali, pertanto ne voglio ricordare almeno tre:
                  - quella casa sul lago, che prima rappresentava la promessa di una nuova casa con il figlio, diviene invece la prigione di quell'assassino. "Tu devi restare con me."
                  - La consegna della pensione a Vivaldi, con conseguente discorso. Dopo averlo assecondato, i suoi colleghi presto inizieranno ad ignorarlo, mentre lui si ritroverà a parlare da solo. È la rappresentazione dell'italiano di quel tempo, che urla il proprio dolore senza che nessuno lo ascolti, una società ipocrita dove ognuno pensa a sé;
                  - l'inseguimento del criminale è un capolavoro. Lento, granitico, meticoloso. Quell'uomo che prima guidava come un corridore accecato dalla fretta, ora è divenuto un sicario paziente e pulito.
                  Ed eccoci a quello splendido e tragico epilogo, un uomo distrutto che non ha più niente per cui vivere, abbandonato dalla società e oramai caduto nel baratro della follia, che decide di trovare un nuovo senso alla sua vita. È nato un mostro, ma non si tratta di una favola lontana dalla realtà, si tratta semplicemente dello specchio di una società dilaniata.

                  Quando si parla di Monicelli è giusto citare prima di tutto I soliti ignoti o L'armata Brancaleone, ma questo non toglie a Un Borghese piccolo piccolo il suo sacrosanto posto nell'olimpo.

                  Voto: 9/10
                  M'illumino d'immenso.
                  Shepard

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                  • meraviglioso il Borghese di Monicelli, la prima volta che lo vidi mi ricordo mi procurava quasi letteralmente disagio fisico ..
                    Senza musica la vita sarebbe un errore
                    Friedrich Nietzsche

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                    • Assolutamente, è ipnotico e opprimente, il tutto senza ricorrere agli stereotipi del thriller/horror. Geniale.
                      M'illumino d'immenso.
                      Shepard

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                      • Originariamente Scritto da Daredevil Visualizza Messaggio
                        Ho recuperato tra ieri e oggi i primi due "Una notte da leoni".

                        Non male il primo, più per l'imprevedibilità, un vero susseguirsi di follie. 7

                        Il secondo è carino, ma si penalizza molto per non aver nemmeno provato a differenziarsi dal primo. E' identico anche negli archi narrativi (matrimonio e via discorrendo). Darei un 5,5, ma con un po' di grazia arrivo alla sufficienza.
                        Ieri sera ho visto anch'io il primo, molto simpatico come film. Condivido il voto.

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                        • Ieri sera al cinema ho visto anche il terzo. Decisamente meglio del secondo, ovviamente grazie al fatto che abbia finalmente un plot diverso, e anche perchè Mr. Chow ha un ruolo praticamente da main.

                          6,5.

                          PS: Alcuni si sono persino alzati applaudendo come se fossero stati davanti all'ultimo capolavoro di Kubrick...
                          Last edited by Daredevil; 04 June 2013, 12:53.

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                          • Mi sono visto La Grande Bellezza.
                            Promosso, ma con qualche incertezza. Registicamente parlando stupendo, il cosiddetto manierismo l'ho trovato comunque coerente con il concetto del carnevale notturno, come storia però ha delle lacune, domani scrivo giù qualcosa.
                            M'illumino d'immenso.
                            Shepard

                            Comment


                            • Più o meno è lo stesso che penso io: grande registicamente ma il fatto che non ci sia una vera e propria sceneggiatura forse non lo aiuta in certi momenti. Comunque il personaggio di Jep Gambardella mi è piaciuto moltissimo e ho apprezzato anche il fatto che Sorrentino sia finalmente riuscito, come regista, a fotografare l'Italia attuale: ovvero immersa nella vacuità più totale
                              Dragon Slayer riguardo Devil's Third
                              Originariamente Scritto da Dragon Slayer
                              No seriamente, 'sto gioco ha tutto. [...] Il troione che se lo porta a letto HBO SEX RANDOM [...] Mancano solo il KGB e gli alieni, AIP

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                              • La Grande Bellezza Di P. Sorrentino.
                                Come molti sanno, quest'ultima fatica del regista italiano è vista principalmente come un omaggio al maestro Fellini, in particolar modo a La Dolce Vita, pertanto non tornerò sull'argomento. Sin dalle prime battute del film è possibile vedere il sapiente contrasto che Sorrentino ha saputo creare nella disanima paesaggistica di Roma, risaltandone la bellezza architettonica e naturale nelle fasi diurne, conferendogli un'aura quasi sacrale e casta, una prospettiva che mette la vita umana quasi in secondo luogo, perfettamente integrata in quel luogo solenne. Di notte il registro cambia totalmente, se di giorno erano i monumenti ad arricchire le scene, qua invece abbiamo un caleidoscopio antropologico, composto da un fiume di lussuria e baldoria, uomini e donne di tutte che si tuffano in questo vortice di luci, dance e mondanità.
                                La mondanità, quel flusso di vacuità di cui il protagonista della vicenda, l'estroso Jep Gambardella con tanto di sigaretta in bocca e sorriso a 32 denti, si proclama il re. Il film quindi si delinea come un percorso di introspezione esistenzialista, spiega come la visione della vita cambi quando l'incombenza della morte si fa più opprimente e sentita, portando quindi ad un'inesorabile bilancio delle azioni compiute nella nostra esistenza, la classica domanda "Che cosa ho realizzato in tutti questi anni?" Jep comincia ad identificarsi in una sorta di recita, un carnevale Pirandelliano dove individui grotteschi e snob si crogiolano in festini e chiacchierate frivole. C'è chi è conscio di questa situazione e si adagia sugli allori, chi si costruisce un castello di menzogne e si convince di agire per una qualche sorta di impegno sociale e morale, chi vive per criticare e giudicare gli altri, chi vorrebbe fuggire da quel mondo ma non trova il coraggio. Qui purtroppo iniziano i problemi di una sceneggiatura a tratti interessante, ma decisamente ingenua e superficiale nel complesso. Questa mandria di individui eccentrici, nonostante la forte caratterizzazione visiva, non riesce spesso ad ottenere la dimensione umana necessaria per la dimensione neorealista a cui Sorrentino vorrebbe attingere. È difficile provare empatia per tali personaggi, così distanti e caricaturali.
                                Il percorso stesso del protagonista è brusco e non sempre coerente, abbiamo numerosi tentativi di dargli spessore, creando un conflitto tra la sua indole pigra e la sua vena artistica, ma non solo, si sviluppa in lui anche un senso di voglia di integrarsi nel mondo, nel vero mondo.
                                Sorrentino di tanto in tanto tira fuori dei dialoghi veramente geniali, come la discussione fra Stefania e lo stesso Jep nel terrazzo, oppure lo smascheramento dell'ipocrisia dettata dall'evento mondano per eccellenza, il funerale; anche le numerose frecciatine sociali e culturali che infarciscono la pellicola sono gustose. Ma in generale non assistiamo ad una vera fotografia della società italiana, quanto più ad una cartolina colorata ed esagerata, una deformazione a tratti voluta, a tratti degenerata. Le varie storie dei personaggi si concludono malamente, sottolineando un disegno inconcludente, vedi il personaggio di Verdone che non ha grossa solidità alle spalle nonostante il richiamo finale a Fellini [Toh, l'ho fatto alla fine], o il personaggio della Ferilli che si conclude bruscamente, forse troppo per definirsi davvero riuscito e completo.
                                Servillo offre una prestazione degna di nota, ma lo script non credo sia abbastanza maturo per arrivare all'obiettivo finale, difatti si conclude in modo piuttosto banale: l'incontro con una figura vera, guidata da reali e solidi valori, porta Jep a focalizzarsi sugli aspetti davvero importanti della sua esistenza, rievoca la bellezza nostalgica del suo amore giovanile, e ritrova così l'ispirazione per un nuovo romanzo, simbologia del senso della vita. Ma a conti fatti non mi convince, non rende merito al percorso creato e lascia con l'amaro in bocca. Quel "è solo un trucco" sembra quasi un'ammissione di Sorrentino di come tutta questa retorica sia un tentativo di mascherare la sua incertezza.
                                È davvero un peccato, perché registicamente il film è un gioiello, volutamente manierista e autoreferenziale per esaltare l'ossimoro di cui ho parlato all'inizio e che visivamente mette in risalto la grande bellezza di Roma, inoltre come ho detto molti dialoghi sono ben realizzati e ingegnosi, senza dubbio non si tratta di un film anonimo e privo di personalità.

                                Voto: 7/10
                                M'illumino d'immenso.
                                Shepard

                                Comment

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