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Torneo di One Shot 2012

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  • Confermo che la consegna scade alle 23:59 del 26.
    Quindi se non perdete ulteriore tempo potete ancora arrivare a fare la one shot, il campanellino di avvertimento suonò appunto per ricordarvelo. Avanti, non mollate

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    • Io stasera posto, ho finito già da parecchio ma dato che c'era tempo ho preferito lasciar riposare lo scritto per rileggerlo a mente fresca. Vi chiedo scusa se vi ho fatto pensare che mi fossi scordata.
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      • Nessun bisogno di scuse se non c'è ritardo, se vuoi scusarti di qualcosa puoi farlo a proposito dell'immagine che hai come firma

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        • Bene, ho finalmente trovato un'idea adatta.
          Penso proprio che non avrò problemi a consegnare la one shot entro la scadenza.
          Sto giocando a: Tales of Xillia (PS3), Assassin's Creed 3 (WiiU), Pokémon X (3DS - Solo online) Sto leggendo: A storm of swords (volumone completo in italiano) Sto guardando: Kill la Kill (ep 7)

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          • Eccomi come promesso. XD
            Dunque, la storia in questione è incentrata sulla coppia Yamcha/Bulma, con Yamcha che narra in prima persona in cinque momenti differenti della storia di Dragon Ball. Chiarisco la questione sull’aderenza alla traccia: è vero che Toriyama in un certo senso ci mostra come loro due si mettono insieme, ma è anche vero che da alcuni loro atteggiamenti fa capire chiaramente che sono una coppia molto instabile (d’altronde nasce come storia comica, quindi non c’è alcun intento di approfondire seriamente la questione). Ho dato quindi per scontato di poter liberamente partire da uno dei tanti salti temporali dell’opera per immaginarmi che loro due si siano lasciati (non ancora in maniera definitiva) e che poi tornino insieme. Tenendo conto che Bulma nel manga si lamenta spesso della loro relazione e fa capire che è un continuo “tira e molla”, non è poi così strano pensarlo.
            Da lì in poi ho cercato invece di seguire fedelmente il manga, provando anche a interpretare i motivi che stanno dietro l’atteggiamento dei vari personaggi (non so se ci sono riuscita, ma devo ammettere che a volte Toriyama sembra proprio farli comportare a caso tanto per far andare avanti la trama XD). L’unica ispirazione filler che mi sono concessa è la madre di Bulma dopo Freezer, semplicemente perché non è in contraddizione con niente e anzi mi è sempre parsa azzeccata.
            Ci sono alcune frasi che ho citato dal manga, vi dirò alla fine da che punti le ho prese.
            Altra cosa: alcuni dialoghi sembrano non tenere del tutto conto di alcuni eventi/personaggi/situazioni; questo non perché non conosca bene Dragon Ball, ma perché se mi fossi messa a fare le pulci su tutto avrei scritto un mega tomo che con l’amore non c’entrava nulla. XD So benissimo quindi che anche Goku ha in gran parte merito/colpa di alcune situazioni, so che anche Trunks è fondamentale in altre, ho solo evitato di allungare il brodo. 
            Ultimo appunto per i più curiosi: “Usagi-sama” potete tradurlo “Sua Altezza il Coniglio”, mentre “Neko-chan” sta all’incirca per “Gattina”. Con i nomi sono una frana, quindi fatevene una ragione.

            BUONA LETTURA!


            Nelle mani del mio assassino



            Parte prima.


            La giovane sorseggiò la granita e mi prese a braccetto camminando sulla strada in terra battuta.
            Era una bella sensazione, dopo tanto tempo passato a guardare le gambe delle ragazze senza mai riuscire a rimorchiare. Pual continuava a rimproverarmi per questa mia abitudine, diceva che stavo diventando maniaco come il maestro Muten e che per questo non mi sarei mai sposato, ma quel giorno le cose stavano andando diversamente.
            Pual non c’era, e io avevo un appuntamento.
            Alla faccia di quando vedere una donna mi faceva tremare le gambe.
            «Yamcha» mi disse la ragazza. «Che ne dici di andare fuori dal villaggio di Usagi-sama? C’è un bellissimo bosco, voglio fartelo vedere.»
            «Ma certo, Neko-chan!» risposi io, e le sorrisi.
            Quanto mi piacevano i suoi occhi. Erano grandi, luminosi e tentatori.
            Ma soprattutto, erano azzurri.
            Il mio cuore sussultò.
            Quelle iridi, me ne resi conto solo in quel momento, erano il vero motivo per cui stavo in sua compagnia. Perché, per quanto non volessi ammetterlo, mi ricordavano lei.
            «A cosa pensi?» mi chiese Neko-chan.
            «Eh?» risposi, e iniziai a grattarmi la testa. «Ah, no, a niente, figurati!»
            La giovane inarcò un sopracciglio. «Hai ancora paura che quel demone possa attaccarci?»
            «Come? Piccolo, dici? Ma no, ormai sono passati due anni da quando il mio amico Goku l’ha sconfitto. Spero che in tutto questo tempo abbia smesso di infastidirci!»
            Neko-chan sorrise. «Beh, se ci attaccherà tu mi difenderai, vero?»
            Io sbiancai. «C-certo, certo, farò tutto il possibile.» L’avrei difesa, d’accordo, ma l’idea di trovarmi di fronte a quel mostro verde non mi piaceva per niente.
            La giovane scoppiò a ridere. «Farai come il principe della leggenda di Usagi-sama?» mi chiese.
            Io la fissai, mentre svoltavamo in una via sulla destra. «Di che parli?»
            Lei continuò a farsi trasportare dalle risate. «Niente, è una roba sdolcinatissima che raccontano a tutti i bambini di questo villaggio! Di solito le ragazzine ci credono, ma io la trovo una cosa troppo zuccherosa per i miei gusti!»
            Proseguimmo la nostra passeggiata, mentre le case di legno si facevano sempre meno fitte.
            «Me la racconti?» domandai a un certo punto.
            «Eh?»
            «La leggenda» dissi. «Ormai mi hai incuriosito.»
            Neko-chan si portò dietro l’orecchio una ciocca di capelli biondi. «E va bene, ma promettimi che non ti metterai a vomitare.»
            Sorrisi. «Promesso.»
            La ragazza sorseggiò di nuovo la granita, poi la gettò nel cestino alla sua sinistra, mentre un piccolo gatto nero attraversava la strada. «La leggenda parla dell’ultimo principe della dinastia di Usagi-sama, di cui non è provata in alcun modo l’esistenza. Questo principe si era innamorato di una fanciulla, ma non poteva sposarla perché lei non era nobile. Un classico, insomma.»
            Il sole si fece largo tra le nubi, donando riflessi dorati ai suoi capelli.
            «Sì, ci sono molte storie di questo genere» dissi.
            «Già, è la solita leggenda dell’amore proibito. Lui e lei si incontravano di nascosto, e si amavano così tanto che iniziarono a sperperare il denaro per poter organizzare al meglio i loro incontri segreti. Un giorno, però, un terribile mostro attaccò il villaggio di Usagi-sama.»
            «Non forte come quelli che ho incontrato da quando conosco Goku, immagino.»
            Lei sorrise. «Beh, la leggenda dice che era potentissimo, ma sai come sono le storie. Magari avresti potuto ammazzarlo con un colpo.» Raggiungemmo l’inizio del bosco, respirando a pieni polmoni l’aria della natura. «Comunque niente, il mostro attaccò la casa della fanciulla mentre lei era nella foresta insieme al principe. Non appena i due furono avvertiti del pericolo, il principe partì per proteggere il suo villaggio e la sua amata, ma il mostro lo uccise.»
            «Mmm,» dissi, «non è che per caso alla fine ci sono le sfere del drago o qualcosa del genere?»
            Neko-chan inarcò un sopracciglio. «Le sfere del che
            «Niente, niente, era solo per sapere se era davvero una storia tragica o no.»
            «Beh, lo è» disse la giovane, e si sedette sotto un albero. «La leggenda dice che la fanciulla, rimasta sola nel bosco, avvertì un brutto presentimento.» Si bloccò, portandosi le mani alla bocca. «Oh, per carità, vuoi davvero che vada avanti?»
            Io mi sedetti di fianco a lei. «Perché no? A me piace.»
            Lei divenne rossa come un pomodoro. «Ma è una cosa sdolcinatissima, dai!»
            «Ormai hai iniziato, voglio sapere come finisce.»
            Neko-chan sbuffò. «E va bene» mormorò. «Il dolore che la fanciulla avvertì era il segno dell’amore profondo che la univa con il principe di Usagi-sama, che era morto per proteggerla. In seguito, anche lei fu uccisa dal mostro, ma prima che lui potesse sottomettere il villaggio fu ammazzato dall’esercito alleato. In onore dei due amanti fu eretta una statua, che ancora oggi è il simbolo di Usagi-sama. La leggenda dice che da allora, ecco, tutti gli abitanti della Terra…» si fermò, con il volto ora incandescente.
            «E dai! Non riesco a capire se sei imbarazzata o schifata!» la presi in giro.
            Lei si coprì il viso. «Entrambe le cose.»
            Le misi una mano sulla spalla. «Credo di aver capito: da allora tutte le persone innamorate furono in grado di avvertire l’una il dolore dell’altra?»
            La giovane annuì. «Nauseante, vero?»
            Io sbattei le palpebre. «Perché? A me sembra una cosa molto romantica, invece. Sono sicuro che questa leggenda ha qualcosa di vero» dissi, e avvicinai la mano alla sua gonna.
            Lei ritrasse la gamba di scatto e mi schiaffeggiò. Non provai dolore, anzi fu lei a farsi male, ma quel gesto mi fece comunque sussultare.
            «Che intenzioni hai?!» esclamò Neko-chan. Il suo volto era ancora rosso, ma stavolta non sembrava più timidezza.
            Sbattei le palpebre. «In che senso? Mi hai chiesto tu di venire da soli nel bosco!»
            Lei si alzò di colpo e fece due passi indietro. «Ma che cos’hai capito?! Io volevo solo fare una passeggiata e rilassarmi sotto gli alberi!»
            Mi grattai la testa. Avevo davvero frainteso?
            «S-scusa» mormorai. «Non lo faccio più, promesso. Possiamo continuare a camminare se vuoi.»
            Ma lei mi incendiò con lo sguardo. «Come sarebbe a dire?! Ormai l’hai fatto, non posso certo dimenticarmene! Non ti voglio più vedere!» esclamò, e si mise a scappare verso il villaggio.
            «Ehi, aspetta!» esclamai io, ma lei se n’era già andata. Pensai di inseguirla, ma capii che ormai l’avevo combinata troppo grossa.
            Aveva ragione Pual.
            Per quanto mi sforzassi, non sarei mai riuscito a trovare una donna. E dire che perfino Goku era riuscito ad averne una! Possibile che fosse così difficile?
            Sbuffai, mentre il mio sguardo si andò a posare su un monumento poco lontano. Decisi di raggiungerlo, mentre una lieve brezza mi scompigliava i capelli. La statua, a grandezza naturale, rappresentava un nobile in armatura, ferito da una spada, e una fanciulla a terra con la mano sul petto. Feci un passo avanti, affascinato da quell’opera d’arte.
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            • «Che cosa sarebbe, Yamcha?»
              Quella voce, così limpida e cristallina, l’avrei riconosciuta tra mille.
              Mi voltai, e vidi che proprio lei stava avanzando verso di me.
              E quando fissai quegli occhi, seppi che erano ciò che in quei mesi avevo continuato a cercare.
              «Bulma» mormorai, assaporando il suono familiare di quel nome. «Che cosa ci fai qui?»
              Lei sorrise, mentre il vento le scompigliava i lisci capelli lilla. «Pual mi ha detto dove trovarti.»
              «Beh, quello lo immagino» dissi. «Ma come mai mi hai cercato? Insomma… avevi detto che non volevi più avere a che fare con me.»
              La giovane si avvicinò. «Chissà. Forse in fondo penso che tutti meritino un’ultima possibilità.»
              Io inarcai un sopracciglio. «Detta così sembra quasi che io sia una specie di criminale. Guarda che non ho mica ucciso nessuno, ho solo guardato un po’ troppo il seno di alcune…»
              Non feci in tempo a finire la frase, perché lei mi diede un pugno in testa.
              «Non serve che mi ricordi cos’hai fatto!» sbottò.
              Io sorrisi. «Va bene, va bene.»
              La vidi avvicinarsi alla scultura, e i miei occhi indugiarono sulle forme del suo corpo. Mi ero maledetto tante volte per essermi comportato da stupido, e anche stavolta non fui da meno. Con una fidanzata così, che bisogno avrei avuto di guardare le altre?
              Ma Bulma non era solo bellissima, era una spanna sopra qualunque essere umano.
              Più parlavo con lei, e più avevo l’impressione che questo pianeta le stesse stretto.
              Lei era quella che a sedici anni era partita alla ricerca delle sfere del drago, lei era la mente geniale che costruiva qualunque cosa con due pezzi di ferro, lei era quella che non aveva mai paura di nessuno.
              «C’è una scritta» mi disse, gli occhi puntati sulla targhetta sotto la statua. «L’ultimo principe della dinastia di Usagi-sama e la sua amata furono attaccati da un terribile mostro. Il principe donò la sua vita per proteggere lei e il villaggio, e mentre moriva la fanciulla avvertì il dolore della sua morte. Da allora, in tutto il mondo conosciuto le coppie di amanti possono sentire la forza del legame che li unisce.»
              «È una bella leggenda, vero?» le chiesi accostandomi a lei.
              Bulma si voltò verso di me, poi si piegò in due dalle risate.
              «Ehi!» esclamai. «Che hai da ridere, adesso? Non eri tu quella romantica una volta?»
              Ma la ragazza continuò, tanto che le vennero le lacrime agli occhi. «E dai, guarda che non sono più una ragazzina! Ti pare che mi metta a credere a queste cose? È solo una sciocca leggenda!»
              Io inarcai un sopracciglio. «Come le sfere del drago?»
              Lei si bloccò. «Ma cosa c’entra, adesso? Quelle le ho toccate con le mie mani!»
              Io le sollevai il mento, costringendola a guardarmi negli occhi. «E trovando le sfere, hai trovato me.»
              Le nostre labbra si toccarono.
              «Esatto, Yamcha» sussurrò lei, e mi abbracciò. «Per questo ora non ho più bisogno di affidarmi alle leggende.»

              ***


              Parte seconda.


              Ero tornato in vita.
              Continuavo a ripetermelo all’infinito, senza mai essere sazio di quelle parole.
              Freezer era morto. Tutte le minacce erano state sconfitte.
              Presi una bibita dal frigo della Capsule Corporation e raggiunsi i miei amici in giardino. Bulma stava ancora lavorando in laboratorio, così mi sedetti tra Crilin e Muten.
              «Allora, come sono stati gli allenamenti di Re Kaioh?» mi domandò il ragazzo pelato.
              «Molto faticosi» risposi io. «Però forse ne è valsa la pena.»
              «C’era qualche ragazza da quelle parti?» domandò il maestro, gli occhiali da sole puntati su una rivista con una donna in topless.
              In quel momento ci raggiunsero Gohan e un piccolo namecciano, e Muten fece sparire sotto un vassoio l’oggetto compromettente.
              «Yamcha,» disse il piccolo saiyan, che aveva un taglio più liscio rispetto all’ultima volta che l’avevo visto, «ti presento il mio amico Dende. Starà qui ancora un po’ di giorni, finché le sfere di Namecc non si riattiveranno di nuovo.»
              Io sorrisi. «Piacere, Dende» dissi, e mi guardai intorno nel giardino. «In effetti, Gohan, è un po’ difficile non accorgersi di questa “invasione”.» Osservai i gruppi di esseri verdi che si aggiravano per l’abitazione, mentre i miei amici iniziarono a ridere.
              «Già, come non accorgersene!» intervenne il maestro. «Tra tutti gli abitanti di Namecc non c’è nemmeno una ragazza!»
              «E basta!» esclamò Crilin, scatenando nuove risate.
              Una scarica elettrica mi attraversò la mente.
              Scattai all’indietro, fissando l’altro lato del giardino.
              «Ma quest’aura…» mormorai, gli occhi spalancati.
              «Che c’è?» disse Crilin. «Qualcosa non va?»
              «N-non è possibile» dissi. «La sentite anche voi?»
              Gohan si affiancò a me. «Cosa? Non avverto alcuna strana presenza.»
              In quel momento la figura si avvicinò. Percorse il tragitto con tranquillità, a braccia conserte, fino a raggiungere il tavolo su cui ci stavamo rilassando.
              Inspirai profondamente.
              «E tu che ci fai qui?!»
              Glielo dissi con convinzione, ma sentii le mie gambe tremare.
              Lui si voltò, mantenendo la sua posizione. «Cerchi guai, terrestre?» mi chiese.
              Sussultai.
              Era davvero lui? Ma che stava succedendo?
              Non poteva essere vero.
              «Non preoccuparti, Yamcha» mi disse Crilin. «Vegeta per adesso è innocuo.»
              Mi voltai verso l’amico, sicuro di aver udito male. «Innocuo?» ripetei. «Sei sicuro di stare bene?»
              «Tsk» sentii farfugliare il principe dei saiyan, che ci oltrepassò per raggiungere l’interno dell’edificio.
              «È vero, Yamcha» mi disse Gohan. «Non è diventato buono, però ora non uccide più nessuno. E poi su Namecc ci ha salvato la vita, mentre sulla Terra ci ha dato l’idea di trasportare qui gli spiriti per poter riportare in vita Crilin e mio padre.»
              «Potrebbe non essere malvagio come pensiamo» intervenne Muten.
              Arretrai di un passo, mentre le mie gambe non smettevano di tremare. «Ehi, ma che vi è preso a tutti?! Vi rendete conto di quel che dite?! C’è un assassino sotto il nostro stesso tetto! Il dio drago vi ha resuscitato con il cervello fuso?»
              «Io non sono mai morto» disse Gohan.
              «Non è questo il punto!» esclamai. «Che razza di idea vi è venuta in mente? Bulma non ne sarà per niente contenta!»
              Gohan sbatté le palpebre. «Veramente è stata lei a invitarlo qui. L’ha fatto perché lui non aveva i soldi per l’alloggio.»
              Il mio corpo si irrigidì. «R-ragazzi, ma voi state scherzando, vero? Quello non è davvero colui che ha passato la sua intera esistenza a sterminare popolazioni in giro per lo spazio, eh? Non può essere concepibile che qui viva un mostro del genere!»
              Crilin incrociò le braccia. «Senti, non è a me che devi dirlo. Quando è arrivato sulla Terra è stato Goku a chiedermi di risparmiarlo. Noi ci stiamo solo fidando del nostro amico, tutto qui. Se Vegeta farà dei danni, ci penserà lui a dargli una lezione.»
              Io strinsi i pugni. «Ma è inaudito! Ho anch’io una grande stima di Goku, ma perché dobbiamo proprio tenerci il nemico in casa?»
              «È così affascinante, vero?» cinguettò una voce alle mie spalle.
              Mi voltai, vedendo che la signora Briefs ci stava raggiungendo con delle bevande. Dietro di lei arrivò anche Bulma.
              «Smettila, mamma» le disse quest’ultima, e si sedette di fianco a Crilin.
              «E dai!» continuò la madre. «Non puoi negare che Vegeta sia un uomo attraente! Se non fossi sposata ci farei di sicuro un pensiero! Voi che dite?»
              Le mie tempie iniziarono a pulsare. «Adesso basta!» esclamai, e puntai il dito contro la mia ragazza. «Bulma, hai cinque secondi per spiegarmi perché stai dando vitto e alloggio al mio assassino!»
              Bulma spalancò i grandi occhi azzurri. «Beh, ecco,» rispose, «in realtà non c’è un motivo particolare. La prima volta che l’ho incontrato anch’io ne avevo paura, tanto che ero convinta che ci avrebbe ucciso, eppure alla fine non ci ha fatto nulla. Poi su Namecc è arrivato Goku, con quel suo atteggiamento sicuro, e lì ho capito che come al solito avrei dovuto avere estrema fiducia in lui. Così mi sono ricordata che lui aveva risparmiato Vegeta, e quando l’ho rivisto qui sulla Terra non ho più avuto alcun timore.»
              Io la afferrai per le spalle. «Allora dimmi una cosa: come puoi essere certa che non gli venga in mente di divertirsi con te? Non credo ci sia bisogno di ricordarti che non sei una ragazza che passa inosservata.»
              Lei mi sorrise. «Sei geloso, per caso?»
              «Non sono geloso, dannazione!» esclamai. «Sono spaventato! Possibile che tu non capisca? Ho paura che possa farti del male!»
              Ma l’espressione di Bulma non mutò. «Non preoccuparti per quello, tesoro. Prima di ospitarlo gli ho chiesto chiaramente di non mettermi le mani addosso.»
              Mollai la presa, chiedendomi se il tempo trascorso da Re Kaioh non mi stesse provocando le allucinazioni. «Per l’amor del cielo, Bulma, credi davvero che questo basti?»
              Lei si portò una mano al mento. «Beh, sì. Non ho sentito bene la sua risposta, ma credo che abbia detto qualcosa sul fatto che sono una ragazza rozza o qualcosa del genere.»
              «E poi è sexy!» intervenne la signora Briefs.
              In quel momento mi sfuggì una risata isterica. Gli altri iniziarono a guardarmi preoccupati, ma io non riuscii a smettere. «Ma certo» dissi, la bocca contratta in un ghigno e gli occhi spalancati fissi su un punto vuoto. «Cosa importa che il suo saibaimen si sia fatto esplodere sul mio corpo? Cosa importa che fosse un mercenario assassino? È sexy!» Continuai a ridere, mentre un gruppo di namecciani si era voltato a guardarmi. «È questo il modo di riaccogliermi, Bulma? Cos’è, uno scherzo per mettermi alla prova? Un pretesto per lasciarmi di nuovo?»
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              • «Adesso basta, Yamcha» mi disse Crilin, e si mise di fronte a me. «Io ti capisco, ma noi dobbiamo avere fiducia in Goku.»
                Ma io non mi fermai. «In Goku, eh? Certo, perché anche Goku lo trova sexy!»
                «Smettila, Yamcha!» esclamò Bulma.
                «Ma guardatevi!» continuai io. «Non vedete come vi siete ridotti? Crilin, perfino tu, come puoi dar retta a questi discorsi? Se a voler distruggere la terra fosse una donna bionda con gli occhi azzurri, la porteresti a casa tua perché è sexy?»
                «Avresti tutta la mia approvazione» intervenne Muten.
                Io mi lasciai cadere sulle ginocchia. Bulma si chinò al mio fianco, mettendomi un braccio intorno alle spalle.
                «Non fare così, Yamcha» mi disse. «Hai ragione, avrei dovuto chiederti se eri d’accordo prima di invitarlo. Ormai però il danno è fatto, quindi ti chiedo di portare pazienza finché non tornerà Goku.»
                Sospirai, fissando l’erba del giardino. «E va bene» dissi. «Mi sforzerò di abituarmi alla sua presenza. In fondo, se a voi non dà fastidio non lo darà neanche a me.» Mi bloccai, accorgendomi di quanto mi erano costate quelle parole. «Ma ti avverto, Bulma: se ti metterà le mani addosso, non risponderò più di me.»
                Lei mi abbracciò. «Non preoccuparti, tesoro» mi disse. «Non permetto a nessuno di toccarmi senza il mio consenso.»

                ***


                Parte terza.


                Famiglia.
                Una parola come tante, ma piena di significati.
                Continuai a fare flessioni nel giardino della Capsule Corporation, mentre il sole tramontava a Città dell’Ovest.
                “Bulma, mi raccomando, partorisci un bimbo sano!”
                Quella frase, pronunciata da Goku dopo l’incontro con il ragazzo del futuro, stava iniziano a ossessionarmi.
                L’augurio dell’amico era ovvio. Lui aveva già messo su famiglia, quindi mancavamo io e Bulma, no? Stavamo insieme da una vita, quanto tempo dovevamo aspettare ancora?
                Feci l’ultima flessione, poi mi stesi sull’erba supino per riprendere fiato.
                Che stupidaggine.
                Come potevamo pensare di creare una famiglia in un futuro così incerto? I cyborg sarebbero arrivati in poco più di due anni, chi poteva garantire che non ci avrebbero uccisi tutti? Che tipo di padre sarei stato a mettere al mondo un figlio in queste condizioni?
                Un assassino, di certo.
                «Sei stanco?»
                La voce cristallina di Bulma mi riportò alla realtà. Mi misi seduto, perdendomi per l’ennesima volta nei suoi occhi azzurri.
                «Abbastanza» dissi, e mi grattai la testa. «Non so quanto potrò essere utile contro i cyborg, ma ce la sto mettendo tutta.»
                Lei sorrise. «Lo so.»
                Calò il silenzio.
                Non sapevamo più cosa dirci, da tanto tempo ormai. Più i giorni passavano, più il nostro rapporto si riempiva di silenzi. Io continuavo a guardare le gambe delle ragazze, lei a sommergersi nel lavoro.
                Che tipo di famiglia avremmo potuto formare?
                Maledetto Goku, ma cosa ti è saltato in mente di dire?
                «L’altra volta ero seria» mi disse lei d’un tratto.
                Io la fissai, lasciandomi sfuggire un sospiro. «Senti, Bulma, lo so che negli ultimi tempi le cose tra noi non vanno molto bene, però ti assicuro che non ti ho tradito.»
                Lei incrociò le braccia. «Non importa. Ero arrabbiata, è vero, ma ti ho detto realmente quello che penso. Tu sei immaturo, non hai un vero obiettivo nella vita. Non voglio continuare ad aspettare di vederti crescere.»
                Il mio cuore si bloccò.
                Spalancai gli occhi, incapace di parlare.
                Mi stai lasciando, Bulma?
                Mi stai lasciando davvero?

                «Sei solo un dongiovanni» continuò. «Non importa se le altre donne ci stanno o meno, il problema è che continui a guardarle. È come se per te la nostra relazione non fosse importante, come se fossimo ancora dei ragazzini. Ma non lo siamo, Yamcha, non più.»
                Le sue iridi si fissarono sulle mie.
                Bulma era una spanna sopra qualunque essere umano. Adesso, come mai prima d’ora, ne ero convinto.
                Lei era quella che aveva viaggiato su Namecc, lei era quella che aveva voluto vedere Freezer sulla Terra, lei era quella che, ne ero sicuro, non si sarebbe fatta scrupoli ad andare dai cyborg.
                Il mondo normale le stava stretto. E con esso, ora, anche le persone normali.
                «Non prendermi in giro, Bulma» le dissi, e sul mio volto si disegnò un sorriso amaro. «Non è la prima volta che litighiamo e nemmeno la prima che ci lasciamo. Ricordi quando ci siamo rimessi insieme al villaggio di Usagi-sama? Mi avevi lasciato con queste stesse motivazioni, eppure sei tornata da me.»
                Lei inarcò un sopracciglio. «E quindi?»
                Io distolsi lo sguardo, puntandolo sul cielo che andava inscurendosi. «Stavolta io so che non tornerai. Non lo farai, perché questo non è il vero motivo per cui mi stai lasciando.»
                La sentii muoversi di scatto. «Mi stai dando della bugiarda?! Ma come ti permetti?»
                Chiusi gli occhi. «No, ti sto dando della sfrontata. So che ami le sfide impossibili, ma stavolta stai facendo il passo più lungo della scarpa.»
                «Yamcha, smettila, si può sapere di che parli? Spiegati meglio!»
                Sollevai le palpebre. «Vuoi dirmi davvero che l’ho capito io prima di te? Vuoi dirmi che solo io mi sono accorto di come guardi lui
                Lei sussultò. «Non capisco.»
                Strinsi i pugni sull’erba, strappandone i ciuffi. «Lui mi ha ucciso, Bulma! Mi ha ucciso, dannazione! Ha ucciso me, i nostri amici e chissà quanti miliardi di persone nell’universo! Perché, Bulma? Dimmi perché!» Non riuscii più a vedere nulla, le lacrime mi oscuravano la vista. Trattenni i singhiozzi.
                «Yamcha, guarda che mi hai frainteso. Ti assicuro che io non ho quelle intenzioni con lui.»
                «Ne riparliamo tra qualche mese, va bene? Il tempo che anche tu ti convinca che non vedi l’ora di infilarti nel suo letto.»
                «Piantala!» gridò lei. «Lo vedi che sei un bambino? Pensi solo a te stesso, senza metterti nei panni degli altri!»
                Il vento mi scompigliò i capelli. Mi passai una mano sugli occhi, asciugandomi le lacrime.
                «E in che panni dovrei mettermi, eh?! Nei panni del più spietato dei saiyan? “Oh, ma guarda, ho trovato una donna che mi dà cibo a volontà e mi costruisce tutti i miei giochini gravitazionali! Grazie a questo diventerò super saiyan, sconfiggerò il mio rivale e conquisterò l’universo! Ah, giusto, da un po’ di tempo sembra che la donna in questione non veda l’ora di saltarmi addosso! Ma sì, divertiamoci un po’!”»
                Bulma mi tirò uno schiaffo.
                Non sentii dolore alla guancia, ma il mio cuore si frantumò.
                «Hai dimenticato tutto» mi disse. «Hai dimenticato il motivo per cui al bosco di Usagi-sama ti perdonai.»
                Mi portai una mano sul punto colpito. «No, Bulma, non l’ho dimenticato. Mi dicesti che tutti meritano un’ultima possibilità.»
                «Esatto. Ed è quello che pensa anche Goku, lo sai.»
                Fissai un punto vuoto sull’erba. «E che possibilità pensi di dargli?»
                La guardai, cogliendola a mordersi il labbro. «Lui è una persona triste» mi disse. «Credo che se si ambientasse sulla Terra, potrebbe farsi una nuova vita.»
                Inarcai un sopracciglio. «E tu che ruolo vorresti avere in tutto questo?»
                Lei mi fissò. «Beh, vorrei appoggiarlo. Solo questo, davvero. In fondo chiunque al suo posto sarebbe diventato così. Lui è nato su un pianeta di guerrieri spietati, dove per tutta la sua vita è stato sottoposto di Freezer. La sua unica regola era “uccidi per non essere ucciso”. E infatti, da quando Freezer è stato sconfitto, lui ha smesso di ammazzare innocenti.»
                «Ha smesso solo per non farsi uccidere da Goku.»
                «Non lo so, anche Crilin ha dei dubbi, per questo mi ha convinto a non cercare i cyborg prima del tempo. Ma mentre Vegeta ha dei nemici in comune con noi, potrebbe sempre cambiare.»
                Io tornai a osservare il prato. «E se ciò non accadesse? Se ti facesse del male?»
                «Non farà del male a nessuno finché ci sarà Goku a proteggerci. Per il resto, lo ospiterò finché continuerà a non uccidere gente innocente. Sarò chiara con lui: se dovesse tornare a farlo, potrà andarsene all’inferno.»
                Sorrisi. «Parli come se potessi permetterti davvero di cacciarlo.»
                Lei si tirò in piedi e si portò le mani ai fianchi. «Perché, credi che non ne sia in grado?»
                Mi sollevai anch’io, osservando i suoi folti capelli lilla scompigliati dal vento. «Per te niente è impossibile.»
                Lei mi abbracciò. «Ti voglio bene, Yamcha.»
                Ricambiai l’abbraccio, mentre gli ultimi residui di lacrime mi uscivano dagli occhi. «Lo farà, Bulma. Ucciderà ancora.»
                Ma lei scosse il capo. «Lo cambierò. Dovessero volerci anni.»
                Sciolsi la stretta e le diedi le spalle, pronto a lasciare in volo quel posto dove non ero più gradito. «Dimmi una cosa» le dissi senza voltarmi.
                Lei non rispose, mentre il lieve venticello continuava a imperversare.
                «Come hai reagito quando io sono morto?»
                La sentii fare un passo avanti. «Ho pianto. Ho pianto davvero molto» rispose. «Ma non ho sentito niente di strano, se è questo che volevi chiedermi.»
                Abbassai lo sguardo. «Tu non mi hai mai amato, vero?»
                Bulma sbuffò. «E dai, non essere così infantile! Sono stata male, te l’assicuro! Una stupida leggenda conta davvero più del mio dolore?»
                Mi sollevai in volo, per poi voltarmi per l’ultima volta.
                «Bulma» le dissi, e mi sforzai di sorriderle. «Partorisci un bimbo sano.»

                ***
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                • Parte quarta.


                  Era libera.
                  Quell’idea egoistica mi attraversò la mente per un istante.
                  Non era da me pensare certe cose, non dopo che la nostra storia era finita da oltre nove anni, non dopo che avevo passato le ultime ore a confortarla.
                  Forse era l’altezza del santuario a farmi questo effetto, forse la notte che sapevo avrei trascorso insonne, o forse, più semplicemente, la possibilità di non arrivare al domani.
                  Perché Majin Bu, sotto di noi, stava distruggendo il nostro mondo.
                  Mi avvicinai a lei, notando che la luce delle stelle illuminava i suoi capelli lilla. Era seduta all’esterno, con la schiena a una parete e lo sguardo puntato sulle piastrelle bianche del luogo sacro.
                  «Non pensarci, adesso» le dissi. «Cerca di dormire.»
                  Lei non si mosse. «La fai facile, tu. Tanto quello che rischia la vita non è tuo figlio.»
                  Mi bloccai un istante.
                  Bel modo di ricordarmelo, eh?
                  Non lo era, già.
                  Era suo e di quell’uomo.
                  Suo e dell’assassino.
                  «Vinceranno, Bulma» le dissi. «Goku ha fiducia nei bambini.»
                  Lei si abbracciò le ginocchia. «Lo so. Avrei voluto parlare di più con lui. Sono riuscita a chiedergli qualcosa, per capire cos’era successo, ma aveva così poco tempo che non ha potuto dirmi tutto.»
                  Inarcai un sopracciglio. «Ancora con questa storia? Bulma, abbiamo già resuscitato le vittime del torneo, non serve che continui a pensarci.»
                  «Ma io voglio saperlo, Yamcha!» esclamò d’un tratto, e mi lanciò uno sguardo implorante. «Voglio sapere tutto quello che lui ha fatto! Voglio saperlo, perché ora non potrà più fare nulla!» Riabbassò il volto, asciugandosi di scatto una piccola lacrima.
                  Lei non voleva piangere, e io lo sapevo.
                  «Vuoi odiarlo, allora?» le dissi. «È così che vuoi ricordare il padre di tuo figlio? Io ti ho sempre appoggiato negli ultimi anni, Bulma. Sono stato io a dire al Trunks del futuro quello che Vegeta aveva fatto al torneo di Cell, sono stato io ad aiutarti a radunare le sfere quando tuo marito ha distrutto la tribuna. Cosa vuoi che faccia, ora? Se adesso non intendi ricordare il suo lato buono, per quale motivo hai messo su famiglia con lui?»
                  Lei si morse il labbro. «Io non so cosa voglio» disse. «Non so più niente.»
                  E d’un tratto compresi.
                  Era molto più semplice odiare ciò che non si poteva più avere.
                  Era molto più semplice ricordare ciò che lui aveva di negativo, a maggior ragione se la lista era tutt’altro che infima.
                  Vuoi che ti aiuti a odiarlo, Bulma?
                  «Devo chiederti scusa, Yamcha» mormorò a un tratto, lo sguardo perso nel vuoto. «Scusami per non averti creduto anni fa.»
                  Feci un passo avanti, mettendomi le mani in tasca. «Avresti dovuto darmi retta, a quanto pare. Ti avevo detto che avrebbe ucciso ancora.»
                  «Non intendevo questo» disse lei. «In realtà, ecco… parlavo della leggenda di Usagi-sama.»
                  Sussultai, ritrovandomi a fissarla con intensità. «Ma che stai dicendo ora? Prima mi dici che non vuoi dimenticarti delle sue vittime e ora tiri fuori quella vecchia storia?»
                  Bulma deglutì, lo sguardo perso nel vuoto. «Io l’ho sentito, Yamcha. L’ho sentito morire. Era un brutto presentimento. Anche se non ho capito subito di cosa si trattasse, ero sicura che avesse a che fare con lui.»
                  «E quindi? Cosa vuoi che ti dica? Complimenti, la leggenda esiste! Vuoi un applauso adesso? Dannazione, Bulma, mi stai facendo diventare matto! Cosa devo dirti per tirarti su di morale? Odiare Vegeta ti aiuterebbe a non soffrire? Allora pensa che è solo colpa sua se Majin Bu sta distruggendo il mondo!»
                  Ma lei non mi stava ascoltando. «Credo che mi abbia detto addio» continuò a mormorare. «Non ne sono certa, ma ho avuto l’impressione di sentirlo.»
                  Non dissi nulla, mentre le mie tempie iniziavano a pulsare.
                  «Sai cosa mi ha detto Goku?» continuò lei. «Ha detto che Vegeta si era fatto possedere da Babidy per potersi battere con lui. Dev’essere per quello che ha distrutto tutto.»
                  «Ma complimenti.»
                  «E mi ha detto che è stato il loro scontro a risvegliare Majin Bu.»
                  «Che è quello che ti ho appena detto.»
                  «Però…» si interruppe, mentre i suoi occhi si sollevavano verso le stelle. «Lui non ha mai perso davvero il controllo. Anche se in quel momento voleva tornare quello di un tempo, ha detto a Goku che gli è piaciuto metter su famiglia. E poi sai perché è andato a combattere contro Majin Bu?»
                  Feci un passo avanti. «Illuminami.»
                  «Perché Goku gli ha detto che quel mostro avrebbe ucciso me e Trunks» rispose. «Capisci, adesso? Lui ha ucciso pur di poter combattere contro Goku, ma ha lasciato l’incontro con lui pur di salvare noi.»
                  «E con questo?! Sapevo già per chi è morto Vegeta, ce l’hanno detto Piccolo e Trunks. Ciò non toglie che non sia riuscito a rimediare al suo errore, e che per colpa sua potremmo morire tutti.»
                  Bulma mi sorrise in modo forzato. «Ma come, non eri tu a dire di essere ottimisti?»
                  Alzai lo sguardo al cielo. Nemmeno io, a quel punto, sapevo cosa pensare. «L’ho detto, è vero, ma non è comunque bello vedere la gente morire sotto di noi, non credi?»
                  «Lo so, ma i miei genitori non volevano lasciare gli animali.»
                  «Non è solo di loro che sto parlando, accidenti!» esclamai. «Che cosa succederebbe se Majin Bu uccidesse Crilin? O me? Noi siamo già morti, te ne rendi conto? Non potremmo più tornare in vita, proprio come il tuo maritino. E pensa un po’, noi siamo qui al sicuro, ma sulla Terra ci sono ancora Jaozi e Tenshinhan, che sono entrambi già morti! Se davvero vuoi detestare Vegeta, perché non inizi da questo?!»
                  Lei non rispose.
                  «Lui ti amava, ok? È questo che vuoi sentirti dire? Bene, lo penso anch’io. Lui amava te, amava Trunks e stava bene sulla Terra. Ma questo è davvero tutto ciò che ti importa sapere di lui? Perché non vai a dirlo alle vittime di Majin Bu, allora? Perché non vai a dirlo a chi ha visto gli spettatori della tribuna sparire davanti ai propri occhi? Coraggio, provaci se vuoi! Vai da loro e di’: “Scusate, mio marito ha disintegrato un sacco di gente e ha risvegliato un mostro che vi sta massacrando tutti, però amava davvero me e Trunks!”»
                  Bulma si alzò, mentre le stelle illuminavano le grandi iridi azzurre. «Hai ragione» disse. «La penso davvero così.»
                  Sussultai, credendo di non aver udito bene.
                  Fissai i suoi occhi, cercando di leggere la sua espressione.
                  Non c’era traccia di risentimento.
                  «Stai scherzando?» domandai.
                  «No» rispose lei. «Ciò che dici è vero. Certo, odio l’idea che Vegeta abbia ucciso quelle persone e odio l’idea che Majin Bu si sia risvegliato, ma non puoi chiedermi di odiare lui. Ciò che ha fatto per me e Trunks è la cosa che più mi importa al mondo. Il fatto che abbia abbracciato nostro figlio e che gli abbia detto di essermi devoto per me vale più di tutto il resto.»
                  Sorrise, e si avviò verso le camere, lasciandomi sotto le stelle.
                  È solo così, dunque, che si può amare un assassino.
                  Possibile che non ci avessi mai pensato prima?
                  Anche se le ultime vittime di Vegeta erano resuscitate, anche se quelle di Majin Bu sarebbero tornate in vita, ce n’erano altri miliardi, sparse per l’intero universo, che non avrebbero più fatto ritorno in questo mondo. Bulma lo sapeva, l’aveva sempre saputo, ma aveva scelto di andare avanti. Perché lei voleva l’irraggiungibile. Voleva trasformare colui che sette anni prima l’avrebbe lasciata morire in colui che sarebbe morto per lei.
                  Ci era riuscita, e ora il resto non contava.
                  Feci un passo avanti, avvicinandomi al bordo del santuario.
                  In quel momento, per la prima volta, capii che non avrei più potuto amare quella donna.

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                  • Parte quinta.


                    La bambina sorseggiò la granita e mi prese per mano camminando sulla strada in terra battuta.
                    Non sapevo perché l’avevo portata in quel villaggio, eppure mi sentivo bene. Certo, ogni tanto controllavo la via per paura di incrociare una cinquantenne Neko-chan ancora arrabbiata per il nostro primo appuntamento, ma nel complesso il mio umore era sereno.
                    Mi bastava guardare quegli occhi, quelle iridi azzurre che mi catturavano come un magnete, per tornare a sorridere.
                    «Zio Yamcha» mi disse la bambina. «Dove stiamo andando?»
                    «In un bel posto» le risposi.
                    Zio Yamcha, già.
                    Un modo affettuoso di chiamarmi, segno che ero un amico di famiglia.
                    Tornai a osservarla, puntando gli occhi sui piccoli ciuffi lilla legati in una coda sopra la sua testa. Era così uguale a lei.
                    Di colpo una fantasia si fece strada nella mia mente. Vidi l’immagine di sua madre prenderle l’altra mano e camminare con noi.
                    Era così che facevano le famiglie.
                    E d’altra parte, chi avrebbe potuto accorgersi che non lo eravamo davvero? Chi avrebbe potuto dire che Bra, la piccola copia di Bulma, non era mia?
                    «Zio Yamcha» mi chiamò, lo sguardo puntato verso il basso. «Guarda, uno scarafaggio!» Detto ciò, fece un passo avanti e lo pestò.
                    L’immagine di Bulma si dissolse. I miei occhi, ora, fissavano le crepe nel terreno che la bambina aveva creato con quel gesto.
                    «Ooops!» esclamò lei. «Mi sa che ci ho messo troppa forza!»
                    Sospirai.
                    Se esisteva un creatore, quel giorno aveva deciso di odiarmi.
                    Continuammo a camminare, mentre lei sorseggiava la granita. Le case del villaggio si fecero più rade, lasciando il posto al bosco di Usagi-sama.
                    Bra mi lasciò la mano e si mise a correre intorno ai tronchi degli alberi.
                    Era così bella la pace.
                    Le cose non solo si erano messe a posto, ma erano addirittura migliorate, dato che anche Goku era tornato tra noi. Gli ultimi dieci anni erano volati.
                    Per una volta, davvero, mi convinsi che la tranquillità sarebbe durata per sempre.
                    “Adesso un guerriero sta combattendo contro Majin Bu al vostro posto! Perciò voglio che voi prestiate la vostra forza! Alzate verso il cielo le vostre mani!”
                    Inarcai un sopracciglio.
                    Perché, d’un tratto, mi erano tornate in mente quelle frasi?
                    «Cos’è questo, zio Yamcha?»
                    La raggiunsi con passo tranquillo. La scultura di Usagi-sama si ergeva davanti a noi. Per un attimo ebbi un tuffo al cuore. C’era più muschio rispetto a quando l’avevo vista con Bulma, ma non per questo aveva smesso di impressionarmi.
                    «C’è una scritta» disse Bra. «Sai che io so già leggere?»
                    Le sorrisi. «Brava. Non è da tutti imparare a cinque anni.»
                    «Già. Modestamente la mia mamma è un genio.»
                    Mi grattai la testa. C’era proprio bisogno di educarla così?
                    «Alcune lettere sono rovinate, ma si legge ancora» continuò. «L’ultimo principe della dinastia di Usagi-sama e la sua amata furono attaccati da un terribile mostro. Il principe donò la sua vita per proteggere lei e il villaggio, e mentre moriva la fanciulla avvertì il dolore della sua morte. Da allora, in tutto il mondo conosciuto le coppie di amanti possono sentire la forza del legame che li unisce.»
                    Una leggera brezza di vento ci scompigliò i capelli.
                    «È una bella leggenda, vero?» le chiesi tornando a sorridere.
                    I suoi occhi azzurri si illuminarono. «Sì, è bellissima» disse, e si voltò. «Vero, papà?»
                    Mi girai di scatto, credendo che la bambina avesse iniziato a parlare da sola.
                    Ma lui era davvero lì, con la giacca di pelle e le mani in tasca.
                    «Da quanto tempo sei arrivato?» domandai, dato che non avevo sentito la sua aura. Inutile chiedergli cosa ci facesse in quel luogo, di sicuro non avrebbe mai risposto.
                    «Non sono affari che ti riguardano» fu comunque tutto ciò che riuscii a ottenere.
                    Bra sorrise, e gli corse incontro per afferrare il suo braccio.
                    “Ehi, terrestri! Collaborate immediatamente! Altrimenti sarete uccisi di nuovo da Majin Bu!”
                    Sospirai, mentre l’odore di fresco mi arrivava alle narici.
                    C’erano poche persone degne dell’affetto dell’assassino. Ma per la vita di quelle persone, lui avrebbe dato tutto se stesso. Solo per questo, ora, avrebbe ucciso. E se noi comuni terrestri eravamo ancora in vita, era perché facevamo parte del mondo che lui intendeva preservare.
                    Fatti odiare da lui e morirai.
                    Fatti amare da lui e nessuno potrà torcerti un capello.
                    Questo significava avere a che fare con Vegeta. Non più quello spietato, ma quello che Polunga non riteneva malvagio.
                    Quello che comunque non avrebbe mai dimenticato come uccidere.
                    Bra si staccò dal braccio del padre e tornò a correre intorno al bosco.
                    Questo, infine, è il vero momento.
                    «Vegeta» lo chiamai. «C’è una cosa che vorrei dirti.» Mi bloccai, avanzando di un passo. «Una cosa che avrei dovuto dirti molti anni fa.»
                    Lui spostò le pupille verso di me. «Tsk. Sentiamo.»
                    Deglutii.
                    Ce l’avrei fatta?
                    «B-beh, ecco, so che può suonare molto fuori luogo dopo quasi vent’anni, ma facciamo finta di essere tornati indietro nel tempo, ok?»
                    Vegeta inarcò un sopracciglio. «Basta che ti muovi.»
                    Abbassai lo sguardo a terra, incapace di sostenere il suo sguardo.
                    No. Non andava bene.
                    Non era così che avrei dovuto parlargli, non era così che avrei mostrato il mio coraggio.
                    Non è così che si tratta con un assassino.
                    «Vegeta» dissi di nuovo, gli occhi fissi sul terreno. «Io ti ho odiato molto. Ti ho odiato quando sei arrivato la prima volta sulla Terra, ma ti ho odiato ancora di più quando Bulma mi ha lasciato. Avrei voluto prenderti a botte, se fossi stato in grado anche solo di scalfirti.» Mi interruppi, mentre dal più profondo angolo del mio cuore cercavo di trovare la forza di parlare. «Tu me l’hai portata via. Mi hai portato via la mia Bulma.»
                    Le mie gambe cedettero, e ringraziai che Bra fosse troppo concentrata a giocare per vedermi. Mi inginocchiai e appoggiai le mani a terra, mantenendo lo sguardo basso.
                    Solo in quel momento mi ero reso conto di ciò che avrei potuto avere dalla vita.
                    Dannazione, se solo da giovane fossi stato più attento! Se solo avessi impedito a lei di desiderare l’irraggiungibile!
                    Bella mossa, Yamcha, dissi a me stesso. Ti stai prostrando di fronte a lui. Hai proprio voglia di farti schernire, eh?
                    Ma il saiyan non disse nulla. Non mi confortò e non mi chiese scusa, ma non iniziò nemmeno a umiliarmi.
                    Era forse questo il modo in cui un assassino mostra di non disprezzare le altre persone?
                    «Io te la cedo, Vegeta» mormorai, mentre la mia vista si annebbiava per le lacrime. «Questo è ciò che avrei dovuto dirti allora. Non perché sei una brava persona, ma perché lei crede in te.» Sollevai leggermente gli occhi, puntandoli sulle sue scarpe. «E per come sono andate le cose, non posso che essere felice per Bulma. Perché io non avrei mai saputo proteggerla meglio di te. E perché il mondo in cui viviamo, in un certo senso, è quello che tu hai voluto per lei.»
                    “Questo non è un sogno! È la verità! Prestate la vostra forza almeno una volta!”
                    Bra si riavvicinò a noi, e io mi sollevai prima che mi vedesse in quella posizione.
                    «Stai piangendo, zio Yamcha?» mi domandò la bambina, mentre cercava di infilare un fiore nella tasca dei pantaloni del padre.
                    «Eh?» risposi io. «Ma no, dev’essermi entrato un moscerino in un occhio!»
                    «Davvero?» domandò lei, i grandi occhi azzurri puntati su di me. «Ci sono i moscerini in questo bosco?»
                    Mi sforzai di sorriderle. «A quanto pare» dissi, e mi grattai la testa. «Beh, ragazzi, mi sa che sono di troppo adesso. Meglio che vada!»
                    Mi voltai, e i miei occhi indugiarono un’ultima volta sulla statua del principe di Usagi-sama. Quell’opera d’arte aveva assistito al mio ricongiungimento con Bulma.
                    Ma non era di noi che parlava la leggenda.
                    «Aspetta un attimo.»
                    La voce di Vegeta risuonò con decisione nelle mie orecchie. Non risposi, e la mia mente mi portò l’immagine di Bulma, ancora giovane, che avvicinava le labbra alle mie.
                    Ti lascio, pensai.
                    «Stammi bene a sentire» continuò il saiyan. «Bulma non è tua. Prova a ripeterlo un’altra volta e ti ammazzo.»
                    Sul mio viso si disegnò un sorriso amaro.
                    Ti lascio, Bulma, nelle mani del mio assassino.


                    Fine



                    Spoiler:
                    Note finali:
                    - le frasi che ho citato nell’ultima parte sono quelle che Vegeta usa quando prova a convincere i terrestri a donare la loro energia (Dragon Ball Deluxe n°42). Ho scelto di inserirle perché le ritengo rappresentative del cambiamento del saiyan, che oltre a difendere la pace con la lotta (cosa tutto sommato logica, data la sua natura) arriva anche a compiere un’azione che con essa non ha nulla a che fare, ovvero chiedere favori alla gente comune;
                    - la frase di Goku che ho citato nella terza parte è quella che dice a Bulma prima dei cyborg, poco dopo il suo primo incontro con Mirai Trunks.
                    sigpic

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                    • Sono ad un terzo dell'opera, dio spero di farcela...

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                      • PUNTO DI VISTA

                        Lo odiava.
                        Dalla prima volta in cui lei gli aveva posato i suoi dolci occhi azzurri addosso, non aveva fatto altro che odiarlo.
                        Era arrivato in classe con quell’aria da cretino, i capelli scompigliati, l’emblema del nerd inutile, eppure lei l’aveva subito invitato a sedersi al suo fianco.
                        Come se lui non esistesse.
                        Da quanto tempo la conosceva? Da quanto cercava un qualunque pretesto per stare con lei, per dimostrarle di essere l’uomo giusto? Non si era forse allenato fino allo sfinimento, pur di essere perfetto per lei? A cosa serviva quel suo corpo così allenato, se non per convincerla che nessuno sulla terra era degno della sua incredibile bellezza?
                        Eppure lei, in quegli anni, sembrava non averlo mai notato.
                        Poi era arrivato lui. Un singolo giorno di scuola, e già lei gli si era appiccicata, al punto di chiedergli di portarla a casa. Quante volte lui le aveva offerto un passaggio, solo per sentirsi dire che non doveva disturbarsi per lei? Quello aveva rifiutato, meraviglioso imbecille, ma era stato solo l’inizio. Appena qualche settimana di calma, ed eccoli lì a confabulare tra i banchi, lei a sorridere, lui rosso in viso. Pensavano forse che lui fosse idiota, che non li vedesse?
                        Iniziava a pensare che in qualche modo lei godesse nel farlo soffrire, nel vederlo morirle dietro mentre avverava il suo sogno alla persona sbagliata, all’ultimo arrivato.
                        << Allora ti aspetto sotto casa mia! Non essere timido, forza, dovrai pur imparare come si tratta una ragazza! >>
                        Li aveva seguiti, quel pomeriggio. Lei lo trascinava per negozi, lui imbambolato come un idiota. Non aveva la minima idea di come trattarla, di come lei meritasse di essere guardata, o toccata.
                        Li osservò mangiare un gelato, ridere di cose che non poteva udire. Stavano forse ridendo di lui?
                        Alla fine la riaccompagnò a casa, lei lo baciò su di una guancia, entrò in casa, e lui se ne andò ancora rosso come un peperone.
                        Quanto era possibile soffrire oltre il punto cui era arrivato?
                        Solo immaginarla fra le sue braccia gli straziava l’anima. Con che faccia l’avrebbe salutata in classe il giorno dopo? Come avrebbe potuto sopportare di vederli passeggiare assieme per i corridoi della scuola? Era distrutto, ma ormai poteva solo tornare a casa e sperare che il domani fosse anche solo un po’ meno doloroso del presente.

                        Probabilmente, se c’era un dio, lo odiava. Che lei ormai si facesse beffe di lui e di ciò che provava non lo meravigliava, ma non riusciva davvero a sopportare che persino la sua migliore amica fosse coinvolta in tutto questo.
                        << Allora, cosa hai intenzione di fare? >>
                        << Non lo so, è da parecchio che ci penso, ma non so neppure se gli interesso davvero. >>
                        << Da te questo non me lo sarei aspettato, da quando fai la scolaretta timida? >>
                        << Con lui è diverso, sento che potrebbe essere la persona giusta, ma al punto in cui siamo rischierei di rovinare tutto. >>
                        << Bah, secondo me … >>
                        Non poteva ascoltare oltre. Le aveva viste confabulare oltre l’angolo del corridoio, e si era fermato ad ascoltare, ma ne aveva abbastanza. Non solo lei era completamente andata per lui, ma quello osava persino fare il difficile. Non riusciva neppure a capire se voleva abbracciarlo o spaccargli la faccia.
                        << Ah! Ciao, non sapevo fossi qui! >>
                        Dannato idiota. Si era perso nei propri pensieri e non l’aveva sentita arrivare. Sollevò lo sguardo, ancora carico di rabbia, e la guardò in faccia. Perché doveva essere così assurdamente bella, con il volto incorniciato da soffici capelli color oro e gli occhi simili ad un cielo estivo? Forse sarebbe stato tutto più facile, se lei non fosse stata tutto ciò che aveva sempre sognato nella vita. Vederla così non faceva altro che alimentare la sua furia.
                        << Ho fretta, non ho tempo per te. >>
                        La superò, e si morse il labbro inferiore non appena fu alle sue spalle. Non era giusto né umano soffrire così.

                        Li vide confabulare e ridere ancora nei giorni seguenti. Ormai andare a scuola non era altro che una tortura. Lei non gli si staccava mai di dosso, sempre lì a parlottare, mentre l’altro assumeva sfumature dal rosso al viola.
                        Alla fine, una mattina si finse malato, per ricaricare un po’ le batterie. Dopo quel giorno nel corridoio, lei non gli aveva più rivolto la parola, e lui non era stato più capace di dirle nulla. Non averla accanto e saperla con lui era due fatti che, sommati insieme, aveva superato la sua soglia di sopportazione. Che si fossero messi pure a pomiciare in classe quella mattina. Lui non li avrebbe visti, e non avrebbe sofferto.
                        Erano circa le sei di sera quando sua madre lo cacciò a forza fuori di casa per “far uscire un po’ di aria tetra dalle mura domestiche”. Non aveva chiamato nessuno, e si era semplicemente diretto in centro senza alcuna idea in mente. Era quasi riuscito a rilassarsi, quando venne bruscamente riportato alla realtà. Poteva davvero essere così sfortunato?
                        Non erano a più di venti metri da lui. Lui la cingeva fra le braccia, visibilmente imbarazzato in mezzo alla gente, lei era di spalle, e aveva il volto affondato nel suo petto.
                        Serrò istintivamente i pugni, fino a non sentire più la punta delle dita, mentre il suo volto si tramutava in una maschera di rabbia. Voleva colpirlo, fargli del male, staccarlo da lei, qualunque cosa pur di far cessare l’orribile sensazione da cui era pervaso. Mosse un passo nella loro direzione, quando quello alzò lo sguardo e lo vide.
                        I loro occhi si incrociarono per un breve istante. Sembrava sorpreso di vederlo lì, ma la sua espressione mutò nel giro di un secondo, quasi avesse percepito le sue intenzioni.
                        Il suo sguardo divenne truce, gli occhi si assottigliarono. Abbasso per un momento lo sguardo sulla ragazza stretta al suo petto, poi tornò a fissarlo negli occhi.
                        Era terrorizzato.
                        Invece di continuare ad avanzare, iniziò senza alcun controllo a camminare all’indietro, con gli occhi fissi sull’altro, quasi si stesse allontanando da una belva feroce. Pochi passi, poi si voltò ed iniziò a correre. Non si rese neppure conto di essere arrivato alla porta di casa quando riuscì a fermarsi.
                        Perché? Perché aveva avuto così tanta paura di quella nullità? Mai aveva provato un terrore simile in tutta la sua vita. Il suo corpo era ancora sconvolto dalla rabbia provata poco prima, ora sommata alla stanchezza e alla paura. Si chinò e vomitò sul prato a fianco.
                        Non era mai stato più furioso. Era in collera con lei per la sua stupidità, con lui per avergli tolto l’amore della sua vita ed infine con se stesso per quella reazione assurda.
                        Qualcuno doveva pagare.

                        Uno stupido compito in classe. Fissò per più di un’ora il foglio senza avere la minima idea o voglia di scrivere. Da quasi un mese ormai la scuola per lui non era altro che un luogo dove versare bile. Neppure si sarebbe accorto del segnale di consegna e dell’uscita del professore, se lei non si fosse alzata di scatto ad inseguirlo, rovesciando il contenuto dello zaino un po’ ovunque.
                        << Prof, aspetti, la prego! Ho qui il compito, ho finito! >>
                        Uscì di corsa dall’aula all’inseguimento. Nella bolgia che si era lasciata alle spalle, lui non poté fare a meno di notare la piccola busta bianca con sopra disegnato un ridicolo cuore rosa. La raccolse mentre tutti erano ancora intenti a discutere delle risposte date e degli errori fatti. Uscì dall’aula con aria indifferente e si diresse verso i bagni.
                        Aprì piano la busta ed estrasse il contenuto, un foglio bianco con poche righe scritte a mano.
                        “Stasera avrò lezioni aggiuntive fino alle venti. Se mi attenderai, ci sono tante cose di cui vorrei parlarti. Quando siamo insieme non riesco a comunicarti ciò che provo davvero, ma oggi mi farò forza, sperando che anche tu voglia ciò che voglio io. Un bacio.”
                        La lesse due volte, poi la fece in mille pezzi a la gettò nel water. Dunque aveva deciso, aveva scelto quell’insulso ragazzino come compagno, e voleva aprirgli del tutto il suo cuore quella stessa sera.
                        Come poteva aver ignorato così i suoi sentimenti?
                        Stava per gettare anche la busta, quando prese la decisione. Uscì dal bagno e afferrò la prima matricola con uno zaino che gli passò davanti. Fu sufficiente scuoterlo un po’ per farsi dare un foglio e una penna. Subito si mise a scrivere, poi ricacciò il foglio nella busta e tornò in classe. L’intervallo non era ancora concluso, dunque fu facile gettare la busta tra le cose che lei non aveva ancora raccolto. Non vide o sentì nulla nelle due ore che lo separavano dal termine della giornata scolastica. Solo un pensiero continuava a martellare la sua mente.
                        Non sarebbe mai stata sua.

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                        • << Dimmi la verit&#224;, c’&#232; lo zampino di Iresa in tutto questo. >>
                          Videl lo fissava di sottecchi, intenta a rigirare il cucchiaino nel gelato.
                          << La mia gelateria preferita, gli abiti, i discorsi. Senza contare il trascurabile dettaglio che quella pettegola non poteva certo trattenersi dal dirmi che le avevi chiesto di darti una mano per essere, come &#232; che le hai detto … un “fidanzato decentemente umano”.
                          Gohan si limit&#242; ad abbassare la testa ed arrossire. Iresa nelle ultime settimane non aveva fatto altro che prenderlo in giro per i suoi modi e la sua ingenuit&#224;. Quella ragazza sembrava frivola, ma si era dimostrata incredibilmente gentile nell’aiutarlo a capire come prendere Videl sul lato sentimentale, laddove sucuramente non avrebbe mai potuto chiedere a suo padre di allenarlo. Certo, avrebbe voluto che sembrasse tutta farina del suo sacco, ma Videl pareva essersi divertita per tutto il pomeriggio, quindi anche se la bionda aveva vuotato subito il sacco non era un problema.
                          << Mi chiedo come se la stia cavando stasera. >>
                          Il saiyan alz&#242; lo sguardo sulla sua compagna, incuriosito.
                          << Perch&#233;, cosa doveva fare? >>
                          << Oh, ancora la questione con Sharpner. Gli va dietro da una vita e quel cretino ancora non se n’&#232; accorto. Negli ultimi tempi era molto gi&#249; perch&#233; lui le sembrava sempre pi&#249; freddo e distaccato, dovresti averlo notato persino tu. >>
                          Gohan ricordava ancora il pomeriggio in cui Iresa era scoppiata a piangere farfugliando qualcosa sul loro compagno di classe biondo, abbracciandolo in mezzo alla gente. Non aveva afferrato il succo del problema, ma Sharpner le aveva fatto qualcosa che l’aveva ferita profondamente. Si era sentito tremendamente in imbarazzo in quel momento, ma la percezione di un intento violento di fronte a lui l’aveva distratto dalla ragazza che gli stava appiccicata. A non pi&#249; di venti metri il biondo stava avanzando con aria furiosa. Qualunque cosa stesse succedendo, quello aveva prima fatto piangere la sua amica, ed ora si presentava come una minaccia. Gohan aveva tolto per un istante la maschera da liceale, mostrando a Sharpner il volto del guerriero saiyan. Esseri ben pi&#249; potenti di lui sarebbero quanto meno indietreggianti di fronte a quello sguardo, e il ragazzo non aveva disatteso le aspettative. Prima che Iresa si fosse anche solo resa conto che qualcosa non andava, quello era gi&#224; sparito.
                          << Beh, ci sei? Sembri perso nei ricordi. >>
                          << S&#236;, s&#236;, stavo solo riflettendo sulla cosa. Che doveva fare oggi? >>
                          << Beh, le ho detto che mi aveva stufato con questa storia, quindi ha deciso di lasciare un biglietto a Sharpner per incontrarlo stasera, dopo le sue lezioni supplementari. Mi auguro che quei due la finiscano di stressarmi con questa storia, ho gi&#224; i miei problemi col mio ragazzo mezzo alieno. >>
                          Videl sorrise, e lui sorrise di rimando.

                          << Sharp … >>
                          Il sangue scorreva in maniera incontrollata dalla ferita nel ventre, laddove era entrata la lama. La ragazza aspettava sotto un albero nel buio cortile della scuola, quando lui era arrivato.
                          Non le aveva dato il tempo di dire nulla. Lei aveva sorriso, e lui l’aveva pugnalata allo stomaco. Aveva alzato lo sguardo, incontrando il suo, cercando di dire il suo nome.
                          Era morta prima ancora di finire.
                          Sharpner adagi&#242; il corpo sotto l’albero e lo mise nel sacco che si era portato. Gett&#242; molta acqua nel punto in cui il sangue aveva formato una piccola pozza, fino a che l’erba non fu pulita al punto da non destare sospetti. Mentre portava il corpo verso l’auto, non pot&#233; fare a meno di pensare quanto fosse leggero.
                          Lo mise nel bagagliaio e guid&#242; fino al parco poco fuori citt&#224;. A quell’ora, coma si aspettava, era completamente deserto.
                          Port&#242; il sacco sotto la grande e vecchia quercia alla quale aveva pensato quella mattina. Estrasse il corpo di Iresa e lo appoggi&#242; al tronco, badando bene di sporcare di sangue il prato attorno a lei. Nessuno doveva pensare che non fosse morta l&#236;.
                          Guard&#242; l’orologio. Non doveva mancare pi&#249; di un quarto d’ora all’arrivo di Gohan. Ora doveva solo allontanarsi e chiamare la polizia al momento giusto.
                          Apr&#236; lo zaino per nascondere la busta di plastica con gli abiti sporchi di sangue, quando un oggetto attrasse la sua attenzione.
                          Non doveva essere l&#236;. Doveva essere nella borsa di Gohan, o nel suo armadietto.
                          Afferr&#242; la piccola busta da lettere nel suo zaino e l’apr&#236;.
                          “Caro Gohan, sento il bisogno di parlarti di noi due. Ti aspetter&#242; stasera, nove e trenta, al parco all’uscita ovest della citt&#224;, sotto la grande quercia. Saremo tranquilli. Baci.”
                          Per quanto avesse camuffato bene la propria calligrafia, per quanto sapesse scrivere come Iresa sin dalle elementari, quando la metteva nei guai con biglietti di insulti alle maestre, quelle parole erano le sue, il biglietto che aveva scritto a Gohan.
                          Non sarebbe mai arrivato. Iresa non aveva mai voluto rivelare a quel ragazzino i suoi sentimenti, n&#233; si sentiva impacciata di fronte a lui.
                          Si volt&#242; verso il corpo della ragazza che aveva amato e cadde in ginocchio.
                          Sharpner non sapeva nulla di resurrezioni, di magia o di aldil&#224;. Come ad ogni altro umano, gli era stato persino negato il ricordo di essere morto. Ai suoi occhi, ci&#242; che aveva fatto non aveva espiazione, n&#233; soluzione. Afferr&#242; il coltello e se lo piant&#242; nel petto.

                          Re Enma non ebbe la minima esitazione. Invi&#242; l’anima di quel ragazzo immediatamente alla purificazione, senza alcuna attesa all’Inferno. Sapeva bene cosa sarebbe accaduto di l&#236; a poco, ed era compito suo fare in modo che le anime tormentate ricevessero il giusto riposo. Son Gohan avrebbe presto chiesto a quell’assurdo drago sulla Terra di riportare indietro le due povere anime che si erano presentate a lui nell’ultima ora. La ragazza, ora in Paradiso, sarebbe tornata in vita, ma non avrebbe permesso che tale destino toccasse anche a quello Sharpner.
                          Esisteva un motivo ben preciso per cui le anime dannate venivano purificate e reincarnate.
                          Per i malvagi era una seconda occasione, l’opportunit&#224; di fare ammenda per i propri peccati, ma per gli altri, per coloro che non erano corrotti nello spirito, era la sola protezione da una sofferenza senza fine.
                          Come poteva lasciare che quel ragazzo finisse in Paradiso memore del suo tragico e folle errore, o peggio, che tornasse in vita solo per dover guardare negli occhi la ragazza che aveva sempre amato, leggendo in essi il disgusto per il suo assassino.
                          Quello era il vero Inferno.
                          Quando il Drago reclam&#242; l’anima della ragazza, Enma, come sempre negli ultimi decenni, gli concesse di portarla via con s&#233;, ma Sharpner se ne era gi&#224; andato.
                          Da qualche parte nell’universo era appena nato un infante, un bambino che non sarebbe mai stato costretto a rimpiangere un tragico errore.
                          Enma conged&#242; il drago, chiedendosi quando quegli umani avrebbero di nuovo compreso il reale valore della morte, poi guard&#242; di fronte a s&#233;.
                          Come sempre, infinite anime attendevano il suo giudizio.


                          Spoiler:
                          La storia di fatto &#232; un trabocchetto, dato che la coppia che si mette insieme, sviluppa la propria storia e poi viene separata di fatto esiste solo nella testa di Sharpner. Di contorno abbiamo altre due relazioni, stavolta reali, una che nasce, quella tra Gohan e Videl, e l'altra che termina prima ancora di poter iniziare, ovvero quella tra Iresa e Sharpner. Non so se sono uscito dal seminato, ma la storia ad un certo punto si &#232; evoluta da s&#233;. Infine mi &#232; uscita automatica una rilfessione su come la morte in dragonball sia un nulla per i protagonisti, ma resti invece un concetto perfettamente umano per tutti coloro che non sono nella cerchia di Goku. Non so, il lavoro di per s&#233; mi piace o mi fa schifo a seconda dei momenti in cui lo leggo, dunque sono curioso di sapere come appare.

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                          • Piccolo post con prefazioni varie
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                            la storia è il seguito del film TDK Rises, nel caso non l'abbiate visto consiglio di evitare la lettura. Prima dell'uscita di TDK fecero un anime che raccontava cosa accadeva dopo Begins, per quanto riguarda la provenienza anime/manga sono apposto quindi. La storia è incentrata su Harley Quinn, già narrata nella serie animata, ma nel mio caso completamente riarrangiata ed adattata alla continuity dei film di Nolan. Ho tentato di riflettere il tema principale di Rises su Joker, ci tengo a dirlo, nel caso vi possa sembrare reso male

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                            • The Kissing Joke


                              Nella cella 237 di Arkham, un uomo stava per tornare a sorridere. Non aveva un’identit&#224;, n&#233; un posto al di fuori di quelle mura, ma solo un sorriso spento da tempo. All’apparenza un orribile sfregio, in verit&#224; la sua faccia, il suo simbolo. Divertita espressione che gli occhi nudi non sapevano materializzare, e che necessitava della semplice pittura bianca, rossa e nera per apparire in tutta la sua bellezza. Erano 8 anni che quel sorriso non si era pi&#249; manifestato, da quando era stato appeso a testa in gi&#249; sulla cima del Previtt Bulding ad assistere alla distruzione di Batman. Aveva vinto, non importava pi&#249; quello che sarebbe successo a Gotham, ora che il Cavaliere Oscuro era stato infranto. Gli stessi 8 anni in cui era sparito nel nulla con la nomina di infame, lasciando Gotham senza Batman, e Batman senza Joker. Poteva tornare a sorridere, entrare nella testa malata di qualche paziente e procurarsi una via d’uscita, ma perch&#233; ritornare a giocare senza il suo compagni di giochi preferito, che cos&#236; maldestramente tentava di apparire normale od addirittura eroico mentre vestito da pipistrello andava a caccia di criminali nella notte? No, Batman era diventato ci&#242; che rifiutava di ammettere dal primo momento in cui era apparso nei cieli di Gotham: era diventato un discriminato, un incompreso che sprecava la sua vita per quelle persone che senza indugi lo avevano ripudiato al primo problema. E quando finalmente era diventato un emarginato come Joker, qualcosa di giusto era accaduto a Gotham. Ma qualcos’altro stava cambiando. Era sulla bocca di tutti e a meno che non fossero dei bugiardi, Batman era tornato. Le voci per&#242; erano pi&#249; articolate di quanto sembrasse, e l’ombra di un uomo con la maschera stava oscurando Gotham. Era riuscito a bloccare la citt&#224; con un ordigno atomico. Arkham era stata graziata trovandosi al di fuori della morsa terrena di Gotham. Come se non bastasse, Arkham era passata in mano a forze militari politiche degli Stati Uniti appena iniziata l’invasione. E questo, l’uomo chiamato Bane, non era riuscito calcolarlo. O forse non faceva parte dei suoi piani, pens&#242; il prigioniero 237. Un’onda d’urto lo spinse contro uno dei materassi facendolo scivolare in ginocchio. La rivolta era iniziata, lo sapeva, e non da quel momento, ma da quando Batman la sera prima aveva fatto brillare il Gotham Bridge con un gigantesco pipistrello fiammeggiante. Quell’esplosione veniva da altro, per&#242;. La porta gli si apr&#236; quasi in faccia, rivelando Zsasz. Ai tempi di Falcone faceva il tirapiedi, anche se ad ogni vittima si faceva un segno sul corpo, usando quello stesso coltello che tanto amava. Non un folle, ma di sicuro un maniaco di quelli adatti a riempire le troppo poche celle di Arkham.
                              <<Presto>> gli taglio le maniche della camicia di forza <<&#232; il momento di tornare a fare baldoria.>>
                              <<Da dove proveniva quell’onda d’urto?>>
                              <<E’ stato Batman, ha preso la bomba e l’ha portata via dalla citt&#224;. Andiamo!>>
                              Un pensiero inizi&#242; a crescere dentro 237, mentre percorrevano le varie sale. I detenuti stavano conquistando ogni angolo. Mesi di pianificazione, e di certo non &#232; facile coi pazzi, ma ce l’avevano fatta. Tutto come calcolato. Se l’uomo con la maschera aveva fallito, allora Gotham era pronta per il ritorno del Joker. Un poliziotto era legato per terra, con la fronte sanguinante, 237 lo riconobbe. Edward Nigma, tutto il contrario di quello che dovrebbe essere un agente. Gli piaceva mettere alla prova, presentare indovinelli e testare l’intelligenza altrui per il solo scopo di far risaltare la propria. Se questi venivano risolti, un lieve tic gli attraversava il viso, seguito dal suo dire su come fossero semplici. Ne era ossessionato. Una volta disse che era un inventore e che aveva dedicato tutta la vita ad un progetto studiato per macchinare le onde sonore e creare una mappa virtuale. Aveva il progetto ma non i fondi, cos&#236; present&#242; la cosa a Lucius Fox, della Wayne Enterprises, ma questi gli disse che era un qualcosa che andava contro la legge e contro i cittadini, dandogli letteralmente buca. Ecco quindi spiegato il motivo per cui lavorava dentro quel sudiciume. In pochi odiano la Wayne Enterprises come il signor Nigma. Arrivato nella sala grande, 237 prese un coltello e si gett&#242; nella mischia. I soldati erano letteralmente divorati da quella massa di pazzi e maniaci, per questo non gli fu difficile arrivare alle spalle di uno e tranciargli il collo. Dopo un’ora era tutto finito. 237 sal&#236; sopra un tavolo, mentre i detenuti festeggiavano. Il prossimo passo era aizzare quel gruppo di animali e liberarli prima a Narrows, poi a Gotham. Stava per ricominciare tutto, finalmente. Un sorriso gli si stava inarcando, quando qualcosa lo ferm&#242; prima del tempo.
                              <<Batman &#232; morto!>> diverse voci, tra cui Zsasz.
                              237 scese e gli and&#242; in contro <<Che cosa hai detto?>>
                              <<La bomba l’ha ucciso. Tutta Gotham &#232; in subbuglio, hanno ripreso il controllo e Batman si &#232; fatto saltare in aria lontano miglia dalla costa. Quello stupido idiota &#232; solo cenere!>> sorridendo in tutta la sua eccitazione. Tutta Arkham url&#242; di vittoria, pi&#249; di quanto avesse fatto durante la conquista da parte dei pazzi.
                              Non c’era una sensazione definita per spiegare cosa 237 sentiva dentro di s&#233;. Se aveva vissuto sempre sul momento, forse per la prima volta prov&#242; uno spasmo di lucidit&#224;, e negli istanti in cui la sua faccia si perse nel vuoto, qualcosa dentro di lui si infranse. In un solo scatto, infil&#242; il coltello tra le budella di Zsasz, che lo fiss&#242; atterrito. Lo fece ancora, ancora ed ancora, dove un’espressione mostruosa sul suo volto cresceva di colpo in colpo, ed Arkham gioiva e festeggiava nei confronti della scomparsa di quello che invece era un loro fratello, ora perduto per sempre in mezzo all’atomo.

                              <<Dottoressa Harleen Quinzel.>>
                              <<E perch&#233; sarebbe venuta qui ad Arkham?>>
                              <<Studio del paziente 237, anche se mi risulta che da un anno a questa parte lo teniate sempre in isolamento.>>
                              <<Se lei avesse visto quello che ha fatto durante la rivolta, capirebbe. Come ha fatto a convincere il signor Arkham ad attuare questa buffonata?>>
                              <<Il gentile Jeremiah Arkham ha concordato con me sul come sia necessario avere uno studio approfondito di un manipolatore come 237. Non vogliamo che i pazienti fuggiti sotto il suo piano rechino ulteriori danni a Narrows o, peggio ancora, a Gotham.>>
                              <<Quei pazienti non daranno fastidio. Invece di fuggire da Arkham, fuggivano dal Clown. E anche lontano, spero per loro. >>
                              <<Quello che lei spera conta poco in questa vicenda Agente Nigma. E’ lo stato che ha bisogno di questo provvedimento. Non che 237 sia l’unico del resto. Ho una lista di persone che passano dal vestirsi come spaventapasseri al ritenersi membri illuminati di chiss&#224; quale setta.>>
                              <<Il profilo psicologico del Clown &#232; stato gi&#224; fatto anni fa dal dottor Strange, non mi prenda in giro. Oggi si pu&#242; anche far fare una gita scolastica alla Wayne Tower senza che ci sia bisogno di qualsiasi autorizzazione, figuriamoci procurarsi un permesso per questa farsa. Ma non mi riguarda.>> fece come una risata isterica <<Se vuole divertirsi con un pagliaccio dalla mente semplice, faccia pure.>> aprendole la porta.
                              Aveva il viso pallido e delle lievi ombreggiature negli occhi. Il rossetto nero risaltava con i capelli biondi lasciati liberi sulle spalle. Vestita di un completo nero, aveva un passo elegante e si dimostrava una giovane ragazza da poco uscita dagli studi. La stanza era spartana, con due porte, un tavolo con un paio di sedie, i classici vetri e delle telecamere rotte, come ogni apparecchio elettronico ad Arkham da quando era scoppiata la rivolta. Gotham era risorta, ma distrutta. Molti criminali erano ancora liberi ed era richiesto un’enorme sforzo da parte di tutti i cittadini, di Gotham e Narrow, affinch&#233; si potesse ricostruire tutto. Il direttore di Arkham propose di mandare guardie e pazienti affinch&#233; aiutassero Gotham, lasciando l’edificio praticamente deserto, con poche guardie ed i soggetti pi&#249; malati o pericolosi. 237 stava seduto, incatenato, senza degnare di uno sguardo Harleen. Lei non si scompose, sedendosi e spargendo sul tavolo i suoi fascicoli. Conclusa l’operazione, Harleen si mise a guardarlo direttamente in faccia, con un’espressione soddisfatta sul viso. Lui continu&#242; a fissare il punto invisibile sulle sue mani appoggiate sul tavolo. Harleen prese uno dei suoi fascicoli e lo sfogli&#242;, iniziando a leggere:
                              “Studio del paziente 237 ad opera di Hugo Strange. Nome criminale riconosciuto come Joker. Il paziente non ha origini definite, senza dati digitali o familiari. E’ un associale, un discriminato che si isola da ogni forma sociale, finch&#233; non ne ha bisogno per i suoi scopi. Le cicatrici non permettono un raffronto definito sul fatto che siano o meno state applicate dal paziente stesso. Per quanto riguarda gli attacchi terroristi, molti dati portano alla semplice contrapposizione con il criminale Batman. Non si sa se ci sia un legame tra i due, ma l’ossessione di Joker nei suoi confronti &#232; stato tale da far pensare ad una complicit&#224; durante gli avvenimenti che hanno portato alla drammatica morte di Harvey Dent. Il paziente si dimostra poco aperto ad una qualsiasi forma di vita sociale e non, rivelando un carattere debole, infantile ed arrabbiato, alla stregua dell’odio adolescenziale, nei suoi goffi tentativi di portare caos e distruzione seguendo un’idea distopica.”
                              237 fece un lieve sorriso, continuando a guardarsi le mani.
                              Last edited by Dargil; 26 September 2012, 18:41.

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                              • <<Questa era solo l’introduzione. Hugo Strange ha letteralmente distrutto personaggi come lei e Batman.>>
                                <<Hugo Strange &#232; un povero fallito che straborda gelosia da tutti i pori. Venne qui per studiarmi, durando a malapena 20 minuti nelle ore concesse. Rimase atterrito quando si accorse che tutto quello che aveva pianificato non andava per il verso giusto. Se l’era preparato proprio per bene il suo discorso, e quando era troppo tardi, fugg&#236; come un cane. Oh ma lui lo sapeva, di sembrare un cane, rendendo il tutto ancora pi&#249; divertente.>> alzando gli occhi <<Che cosa vuole, dottoressa->>
                                <<Quinzel. In questo istante non ci sta guardando nessuno, n&#233; ci stanno sentendo.>>
                                <<Si?>>
                                <<Nove anni fa c’era un uomo, Bryan Darrins. Lavorava nei cantieri, aveva la passione per l’hockey ed una famiglia composta dalla moglie e la figlia piccola. Si faceva vedere di rado dai suoi familiari, e le poche volte che accadeva era ubriaco, picchiandole entrambe. Le odiava, dicendole cose terribili. Un giorno apparve Batman e questo lo colp&#236; molto, facendo nascere da qualche parte nella sua testa l’idea di imitarlo. Lasci&#242; il lavoro, ma non avevamo abbastanza soldi per permetterci le sue armi, cos&#236; io smisi di andare a scuola, e mia madre fu costretta a dargli tutti i suoi risparmi, mai che non potesse bere. Poco tempo dopo venne trovato impiccato di fronte all’ufficio del Sindaco, ad opera di un certo Joker che ne aveva filmato gli ultimi istanti.>>
                                Cadde il silenzio. Poi 237 scoppi&#242; a ridere, quasi come se la sbeffeggiasse.
                                <<Vuole dirmi che ha fatto tutta questa strada soltanto per un ringraziamento? Molto divertente.>>
                                Harleen apparve leggermente a disagio <<Non si tratta di averlo semplicemente ucciso.>>
                                <<Ah no? Che cosa allora?>>
                                <<Se anche si vestiva da Batman, rimaneva comunque un porco ingrato. Fu allora che capii che quello che agli occhi di tutti &#232; un eroe, agli occhi di chi gli sta vicino si dimostra come &#232; realmente. Il simbolo &#232; solo una stupida copertura per nascondere ogni tipo di uomo>> avvicinando il viso a quello di 237 e abbassando la voce <<compresi quelli come te.>>
                                <<Come prego?>> sorpreso e divertito. Una donna spuntata dal nulla gli raccontava il proprio passato. Proprio a lui, terrorista maniaco che aveva fatto impazzire Gotham. Il mondo era strano. <<Pensavo che fosse grata.>>
                                Ritorn&#242; a sedersi normalmente <<Lo sono, di molto anche. L’unico rimpianto &#232; non averlo potuto uccidere con le mie mani.>>
                                237 assunse un’espressione divertita <<Sai, quando ho tagliato la gola a tuo padre, implorava di lasciarlo vivere>>
                                <<Mai pensato il contrario>>
                                <<Ma non &#232; finita qui. Diceva di avere una moglie ed una figlia e che dipendevano da lui, che nel profondo le voleva rivedere almeno un’ultima volta. Vedendola ora dottoressa, forse avrei dovuto lasciarlo vivere>> lanciando un’altra risata.
                                Harleen not&#242; che senza pittura il suo viso diventava qualcosa di informe<<Inutile che continui con questo atteggiamento. Io ti capisco, devi solo lasciarmi entrare nel tuo mondo.>>
                                237 divent&#242; serio <<No, non &#232; vero. Sei una ragazzina che si vanta della sua vendetta, ma non l’ha assaporata. Se fossi messa di fronte alla possibilit&#224; di uccidere una persona, mentre piange e geme di fronte a te, saresti esattamente come tutta quella brava gente fuori da questo posto, con troppa paura di fare il passo pi&#249; facile.>>
                                <<Ti sbagli>> appoggiando le sue mani su quelle di 237 <<e presto lo capirai. Questa citt&#224; ha bisogno di una persona come te. Chi ti d&#224; del criminale ti reca soltanto offesa. Ed un simbolo come te ha bisogno di qualcuno capace di comprenderlo al suo fianco.>>
                                <<Questa citt&#224; non ha bisogno di nessuno. Batman &#232; morto.>>
                                <<Potresti rimanere sorpreso.>> togliendo le mani dalle sue ed alzandosi. 237 a quell’affermazione fu come scosso.
                                <<Ritrova il sorriso, Joker, perch&#233; la prossima settimana avrai molto di cui essere contento. Te lo prometto.>> andandosene.
                                237 la vide sparire. Non credeva ancora a quello che era successo. Una psicopatica che si spacciava per medico era riuscita a parlargli, facendogli come una dichiarazione d'amore. Non sapeva se ridere o essere perplesso. Rimase dubbioso, fissandosi la faccia riflessa sullo specchio di fronte. Abbass&#242; la testa di nuovo sulle mani. Questa volta c’era qualcosa. Una carta. Un Jolly ghignante con un bacio nero stampato sopra.

                                <<Batman &#232; tornato.>>
                                <<Bugiarda.>>
                                <<Dico per davvero. Quel suo segnale nella notte &#232; tornato a brillare. Ma non si tratta solo di quello. Ci sono diversi avvistamenti che parlano di un individuo molto simile, praticamente uguale, che sta dando la caccia ai criminali sparsi per Gotham e Narrows. Voci provenienti da alcuni detective, parlano di criminali su criminali svenuti nei pressi del distretto di polizia.>>
                                237 pens&#242; si trattasse di un altro individuo, ma cosa poteva saperne lui dell’effettiva morte di Batman, quando aveva passato tutto il tempo rinchiuso l&#236; dentro? Era un’idea che gli girava in testa da un po’ di tempo quando, mesi prima, l’agente Nigma affermava che se anche era uno stolto, Batman non era completamente stupido. In qualche modo in possesso di fondi illimitati, pilotare una tale creatura senza le dovute precauzioni sarebbe stato troppo stupido. Ne teorizz&#242; anche l’identit&#224;, trovando dei legami con un cittadino molto famoso a Gotham. In quell’occasione 237 lo ignor&#242;. Batman era Batman, non doveva avere altre identit&#224;, cos&#236; come Joker. Quinzel gli stava di nuovo di fronte e continuava a parlare di questa storia, cosa che creava una certa sensazione dentro 237. Tutta la settimana era stata turbolenta, lasciandolo dubbioso e pieno di pensieri a fronte di quell’ultima affermazione della donna. Bisognava metterla alla prova e vedere quanto era realmente stupida.
                                <<Harleen Quinzel, che nome buffo. L’altra volta mi hai definito un simbolo che aveva bisogno di qualcuno al suo fianco, si? E perch&#233; credi di poter essere tu?>>
                                Harleen, stranamente leggiadra rispetto all’ultima volta, disse <<Te l’ho detto, io posso capirti e tu puoi condividere con me i tuoi segreti.>>
                                <<Una presunzione non nasce dal nulla. Perch&#233; hai cambiato il tuo nome proprio in Harleen Quinzel?>>
                                Fu come se fosse a disagio, mentre le guance pallide arrossirono lievemente.
                                <<C’erano delle notti in cui mio padre tornava a casa pi&#249; ubriaco del solito. Rientrava a notte fonda e spalancava la porta di camera mia con violenza, svegliandomi>> guard&#242; in basso e strinse le braccia tra le gambe, o almeno cos&#236; sembr&#242; a 237 <<Avevo un pupazzo, Arlecchino. Era mio, nessuno me lo aveva regalato, l’avevo trovato da sola, nella discarica. In quei momenti lo stringevo sempre forte, il suo sorriso mi scaldava. Non era un sorriso falso, come quello che assume la maggior parte della gente. Era qualcosa di crudele, spontaneo e dritto dal cuore. Mi dava sicurezza e soprattutto la certezza che un giorno ci sarebbe stata giustizia. Quel giorno fu Joker a farlo.>>
                                237 stava capendo. Non c’era una logica in quella storia, nemmeno la stupida scusa della vendetta. C’era una ragazzina che vedeva in lui i suoi sogni avverarsi. Pensava di averci instillato un rapporto unico da quando lui stesso aveva ucciso il padre aguzzino. La ragazza si stava smontando come un giocattolo mal costruito, lo si vedeva da come cadeva in imbarazzo ad ogni suo sguardo. Era pazza di lui. E forse pazza di per s&#233;.
                                <<Oh, vedo che sei tesa. Parlare di tuo padre ha rievocato in te dei ricordi, non &#232; cos&#236;?>>
                                Il volto di Harleen si fece scuro <<Si.>>
                                <<Ma non si tratta solo di ricordi. Riaffiorano anche le sensazioni di quei momenti. L’odio, il rancore, la paura e soprattutto, la voglia di vendicarti, si?>>
                                <<Si.>>
                                <<E questa voglia pu&#242; essere sfogata. Vedi, basta solo l’iniziativa, e tu mi dai l’idea di saperla prendere per davvero. Ti va di fare uno scherzo?>> assumendo un sorriso arlecchinesco.
                                Harleen alz&#242; lo sguardo, rideva
                                <<S&#236;.>>

                                La guardia entr&#242; come previsto. Non era Nigma, occupato a riempire il suo giorno libero, ma un cittadino comune che viveva in uno scantinato con quel poco che si guadagnava come guardia ad Arkham. Meglio fare la guardia a quel museo piuttosto che perdersi tra le rovine della ricostruzione di Gotham. Il problema per&#242;, era che bastava qualsiasi persona per far parte del malvagio scherzo capitanato da 237. Appena entrato, Harleen lo colp&#236; sulla nuca, facendolo svenire. Nei confusi istanti di dormiveglia, si ritrov&#242; incatenato sulla sedia al posto dello sfregiato, con la bocca imbavagliata. Bavaglio inutile. Erano a malapena 10 le guardie presenti nel complesso, la sicurezza era ai minimi storici. Ma questo non importava. Lo sfregiato gli stava di fronte, osservandolo attentamente mentre inclinava la testa con quel suo modo di fare. La guardia fu inizialmente sorpresa di notare che la dottoressa aveva in mano il suo manganello. Nessun attimo di speranza gli pass&#242; per la testa, nemmeno l’idea che la donna usasse l’arma contro il detenuto. Era lei il carnefice e lui, l’agente, la vittima. La donna pareva agitata, non era chiaro se eccitata o in qualche modo spaventata. Nel suo dubbio, l’agente la implor&#242; con lo sguardo, ma questo la fece apparentemente arrabbiare. Lo sfregiato la guardava e le diceva che poteva farcela, che non era assolutamente difficile fare ci&#242; che avrebbe dovuto fare da sempre, appoggiandole una mano sulla spalla. Colta da una specie di furia, inizi&#242; a colpirlo di violenza sullo stomaco, per poi passare alla testa. Ad ogni colpo il mondo dell’agente diventava sempre pi&#249; buio. Ironicamente, riusc&#236; a contare quanti gliene diede, 9, prima di sentire la propria testa letteralmente alleggerirsi. L’ultima scena che vide fu la donna in lacrime che saltava sul petto dello sfregiato, mentre il cervello gli colava lentamente dal naso.
                                Last edited by Dargil; 26 September 2012, 18:59.

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