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DB - La storia mai raccontata!

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  • «Certo che sei proprio un gran cafone, per essere un principe! Cretino!» fu tutto ciò che la ragazza riuscì a sputare con voce aspra e stridula, trattenendo a stento le urla liberatorie che avrebbe voluto vomitare, i ceffoni che avrebbe voluto mollare a quel… come definirlo?? Sembrava che, di tutti gli aspetti insopportabili e addirittura vergognosi che le venivano in mente su Vegeta, al momento le dava maggior fastidio quel suo comportarsi da maschio.
    Dietrofront e ritirata. Quel dialogo era l'ennesima dimostrazione che non c’era verso di discutere in maniera amichevole con lui; era il classico compagno di scuola antipatico che tutti abbiamo dovuto sopportare a stento. Non era solo fiato sprecato, parlare con lui; era anche e soprattutto snervante, così come era preferibile evitare qualsiasi approccio, dato che ogni tentativo di dialogo si traduceva puntualmente in un principio di esaurimento nervoso! Non era solo fiato sprecato, no… magari lo fosse!
    Bulma si girò con furia e se ne andò; le porte altamente tecnologiche a scorrimento automatico non le offrivano nemmeno la soddisfazione di poterle sbattere. Vegeta, divertito dalla chiacchierata, rimase a guardare quelle chiappette sode che uscivano dalla stanza, dal momento che il dietrofront gli impediva di gustare la visione di quell’appetitoso seno… “Ma che pensieri assurdi per un Saiyan! Il maiale di casa mi starà contagiando...!” e con questa esclamazione pronunciata fra sé, Vegeta decise di raccogliere il cibo che aveva ammucchiato sul banco della cucina e tornarsene finalmente nella sua sala da allenamento.
    ***************************************
    L'ANGOLO DELL'AUTORE
    Su questo capitolo non c'è molto da dire.
    Da un lato ho voluto "legittimare" la scuola di Ten e Jiaozi tramite il pentimento e la benedizione del loro vecchio maestro. Nel manga non vengono più citati dopo la sconfitta al Torneo Tenkaichi, nell'anime ricompare solo Taobaibai nella saga di Cell; quindi mi sono inventato di sana pianta i fatti qui raccontati.
    Da un altro punto di vista, ho cominciato a porre le premesse necessarie per il rapporto Yamcha/Bulma/Vegeta. Qua ammetto io stesso di non essere tanto bravo, ma che devo dirvi... bisogna pur raccontarlo, no...?
    Forse alcuni punti del dialogo (chiappette, battere chiodo...) Bulma/Vegeta sembrano cose un po' fuori luogo: ho pensato a come potessero affrontare questi argomenti un po' osè, punzecchiandosi e sbeffeggiandosi, due giovani sui trent'anni - cercando di restare nei loro personaggi.

    E adesso, sotto il tasto spoiler, troverete un disegno in cui ho rappresentato i maestri con gli allievi principali delle due Scuole di arti marziali: l'unica precisazione è che il ragazzo biondo con la divisa verde non è ancora comparso nella storia, ma lo ritroveremo più avanti.
    Spoiler:
    Last edited by VirusImpazzito; 02 July 2013, 20:08.

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    • Nel capitolo precedente hai parlato della Scuola della Tartaruga, e in questo capitolo hai parlato della Scuola della Gru; mi pare giusto.
      Finalmente si torna a parlare di Vegeta.
      P.S. Sorprendi sempre più nei disegni.
      Last edited by calogero99; 06 July 2013, 14:40.

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      • Giusto dare spazio alla nuova Gru.
        Ho apprezzato che il maestro si sia pentito di suo, solitamente in DB i cattivi si convertono solo in quanto iniziano a gravitare intorno a Goku, è stata una sorpresa.

        Vegeta è il migliore, da come sfotte i terrestri fino alle battute a sfondo sessuale xD
        Poi la frase sul maiale di casa m'ha fatto ridere parecchio

        Voglio assolutamente sapere come si avvicinano lui e Bulma (perchè per il momento mi paiono ancora distanti anni luce)
        sigpic

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        • Passiamo immediatamente al prossimo capitolo! Come vedete, un po' tutti i comprimari di Goku stanno avendo il loro spazio, possibilmente in situazioni che non si sono viste nella storia originale... questo è stato l'andazzo degli ultimi capitoli e così continuerà nel prossimo capitolo.

          Cap. 21: Per ogni cosa che finisce, ce n'è una che inizia.

          In quel periodo, Goku continuava il suo costante e quotidiano allenamento nell'Aldilà... del resto, era lì apposta! Intendiamoci: era lì perché non poteva più tornare nel regno dei vivi, ma tanto valeva mettere a frutto quell'eterno soggiorno forzato, che comunque non gli dispiaceva.
          Uno di quei giorni, re Kaioh si presentò pacioso e rilassato davanti al suo allievo, portando in mano un paio di lattine; lo trovò con indosso il set di pesi di qualche centinaio di chili che la stessa divinità gli aveva regalato per esercitarsi. «Vuoi un po' di aranciata ghiacciata? Un po' di refrigerio ti fa bene, figliolo... e ovviamente sei già morto, quindi non devi temere una broncopolmonite... ahah!» scherzò la divinità.
          Goku accettò; si sedettero sull'erbetta del prato all'inglese che re Kaioh curava sul proprio pianetino e stapparono le lattine. «Senti questa... sai cosa dice un frigorifero ad una bella lavatrice?»
          «No.» rispose Goku, che non aveva capito che re Kaioh stava per propinargli una delle battute che lo avevano reso celebre fra le divinità.
          «Sei proprio una bella friga! Ahahaha!» scoppiò a ridere la divinità, coprendosi stentatamente la bocca con le mani.
          «...» Goku non batteva ciglio.
          «... e siccome lei respinge le sue avances, lui le risponde: tra noi due, dovrei essere io quello frigido!» continuò re Kaioh, ormai in visibilio dalle risate, con delle piccole lacrime che gli scendevano dagli occhi.
          «Io non ci ho capito niente di tutta questa storia...»
          «Non ci siamo, testone! Non hai fatto alcun passo avanti: sei proprio negato per la vera comicità...»
          «Forse ha ragione lei!» concluse il Saiyan un po' in imbarazzo, sorseggiando la sua bibita. «Piuttosto... perché non mi fa dare un'occhiata alla mia famiglia e agli amici?»
          «Ok... appoggia la mano sulla mia spalla...» lo invitò il dio, iniziando a concentrarsi per percepire i personaggi che più stavano a cuore al suo allievo.
          Innanzitutto, re Kaioh si sintonizzò sulla moglie di Goku, che stava cucinando. «Chichi...» sorrise il Saiyan. La visione della donna intenta ai fornelli, più che stuzzicargli l'appetito, lo intenerì: indice del fatto che gli mancava, e non solo come cuoca. Poi fu la volta di Gohan, colto mentre era impegnato a duellare animatamente con Piccolo. «Si sta allenando!» commentò entusiasta Goku. «Ha seguito il mio suggerimento e continua ad allenarsi! Bene! Tanto un po' di esercizio non può fargli male, dopo tanto studiare... e poi farà compagnia a Piccolo, così entrambi si sentiranno meno soli!»
          «Strano tipo, quel Piccolo...» osservò re Kaioh. «Quando era qui con me, era sempre così chiuso ed ombroso... invece con Gohan sembra quasi... spontaneo, vivace... a modo suo, naturalmente!»
          «Si vede che la compagnia di mio figlio gli fa piacere! Ha notato che Gohan sembra un po' più alto...?»
          «Non ricordo... non ci avevo fatto caso... beh, comunque è naturale! La nostra è una dimensione praticamente senza tempo, quindi non invecchierai mai... ma tuo figlio è soggetto alle leggi della natura e dello scorrere del tempo, quindi ha continuato e continuerà a crescere ed invecchiare.»
          Poi visualizzarono Crilin e Yamcha, che stavano insegnando mosse e tecniche di lotta ad un gruppetto di ragazzi e ragazze di varie età. «Questa scena mi ricorda qualcosa...» disse Goku pensoso, cercando di rievocare nella memoria dove avesse già visto delle movenze simili. «Ho capito! Crilin e Yamcha si sono messi ad insegnare le arti marziali, proprio come fece con noi il vecchietto tanti anni fa!» esclamò Goku con allegria. «Bella idea... se fossi rimasto in vita, magari in futuro avrei potuto farlo anche io... chissà...» iniziò a fantasticare. Re Kaioh mutò ancora una volta la visuale, e stavolta i protagonisti della scena erano Tenshinhan e Jiaozi, in un luogo palesemente diverso da quello di Crilin e Yamcha, ma in atteggiamenti analoghi. «Ma come? Anche loro insegnano le arti marziali? E poi mi sembrano in un luogo diverso, quindi sono indipendenti gli uni dagli altri...!»
          «Eheh... coincidenze della vita!» ridacchiò re Kaioh. «Avranno avuto la stessa idea senza nemmeno consultarsi... a volte succede, sai? Io le chiamo coincidenze coincidenti che coincidono!» e scoppiò a ridere per il suo beneamato gioco di parole, che evidentemente lo divertiva più di quanto si presume possa far ridere il suo pubblico e lo stesso Goku, che infatti non rise. Con disappunto per la mancata reazione divertita del suo pupillo, re Kaioh finse di asciugarsi il sudore con indifferenza e borbottò: «Andiamo avanti... Suppongo ti interessi anche Vegeta...» ed ecco il Principe dei Saiyan, madido di sudore, che si allenava come un forsennato, per non dire di peggio. Persino Goku lo guardava esterrefatto: mai si era visto un tale grado di impegno negli allenamenti. Re Kaioh gli chiese: «...non ti preoccupa che sul tuo pianeta viva un pericolo pubblico di quel livello?»
          «Naaaa! Ormai Vegeta lo considero innocuo... non dico che sia una persona tranquilla, ma ormai la conquista e la distruzione fini a sé stesse non lo attirano più... si fidi...»
          «Se ne sei convinto... passiamo a Bulma...» La ragazza era stata colta mentre partecipava ad una riunione di lavoro: ben vestita, ascoltava alcuni uomini e donne altrettanto ben vestiti che discutevano. Disinteressato al contesto lavorativo in cui si trovava la sua amica, Goku si soffermò sull'espressione del suo viso: appariva stanca, scontenta... forse anche infelice, presente ma nello stesso tempo assente. Bulma seguiva la discussione, ma c'era qualcosa che la distraeva da essa e non la faceva vivere serena. Dopo questa scena, Goku permise a re Kaioh di chiudere il collegamento telepatico; trascorse qualche minuto, poi l'eroe Saiyan pensò di consultare la divinità. «Che ne pensa, re Kaioh? Non ho mai dubitato che i miei amici si sarebbero dati da fare con ottimi risultati... sono contento di vederli così soddisfatti, ognuno nel suo piccolo! A parte Vegeta, ma lui non è proprio un amico-amico…»
          «Certo, sono tipi in gamba... non per nulla, sono stati miei allievi! Eccetto Crilin, il cui contributo fondamentale su Namecc tuttavia ha messo in mostra le sue doti!»
          Goku continuò le sue riflessioni. «Però, se devo essere sincero... l'unica che mi preoccupa è Bulma. Sembra che non abbia ancora trovato un modo per essere soddisfatta della sua vita...»
          «L'ho notato anche io... sembrava così sovrappensiero... chissà che le passa per la testa...» Goku rimase perplesso, poi scrollò le spalle e decise di tornare ad allenarsi. “Strano ragazzo...” penso fra sé la creatura azzurra, guardandolo. “Non capisce delle battute semplicissime, eppure ha la capacità di scrutare il fondo del cuore delle persone... un'empatia straordinaria. Non è affatto un tipo comune...”

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          • In effetti, i presagi di Goku erano corretti, anche se lui non poteva immaginare cosa bollisse in pentola: quindi adesso racconteremo come andarono le cose.
            Il periodo amaro di Bulma era iniziato diversi mesi dopo l'apertura della Nuova Scuola della Tartaruga; la palestra contava ormai diverse decine di iscritti, per cui i due maestri avevano deciso di diversificare le lezioni in modo consono ad una grande città, nella quale – accanto ad un limitato numero di appassionati arti marziali – c'era un pubblico più o meno ampio di giovani e meno giovani desiderosi semplicemente di tenersi in forma. Così, al di là delle lezioni di arti marziali, la palestra aveva un sacco di iscritti che, per qualche ora alla settimana, si concedevano la famigerata “sana attività fisica” che, a quanto sembrava, doveva essere una tendenza molto di moda in una città le cui dinamiche si basavano su un'avanzata tecnologia e mezzi di trasporto che permettevano di coprire distanze ampie con facilità e in tempi brevi. Il desiderio comune della maggioranza di queste persone era purtroppo quello di “apparire”, di seguire una moda e sentirsi parte di un fenomeno trendy. Fortunatamente, però, vi era un gruppo di fedelissimi, capitanato da Soya, Kaya e Ganja, le prime tre allieve. Erano ragazzi abbastanza giovani, spinti da sincero interesse per il combattimento, che miravano a praticare le arti marziali, anche solo a livello dilettantistico. Per questo drappello di volenterosi, Crilin era diventato un vero idolo. I suoi allievi, i maschietti in particolare, avevano imparato ad apprezzarne la simpatia e il buon cuore; adoravano sentirlo raccontare dei suoi esordi nel mondo delle arti marziali, dal tempio Oorin ai vari tornei Tenkaichi, e riconoscersi, sognando, in quelle vicissitudini. Nessuno dubitava che i suo racconti fossero veritieri: fra gli iscritti della palestra c'era qualche ragazzino che, come Soya, aveva ereditato dai genitori la passione per le arti marziali, e che in casa avevano sentito raccontare dei tornei svoltisi fino a qualche anno prima e, con ricordo vivo ed entusiasta, delle meraviglie della Scuola della Tartaruga.
            Quanto a Yamcha, aveva deciso di rendersi autonomo dalla sua fidanzata, o meglio di dimostrarsi tale davanti alla propria coscienza. Nessuno avrebbe più potuto rinfacciargli che viveva una vita comoda da parassita, e la stessa Bulma avrebbe dovuto guardarlo da un'altra angolatura. A tale proposito, la sua prima mossa, appena ne ebbe i mezzi finanziari, fu quella di abbandonare il comodo nido della Capsule Corporation, per trasferirsi, come si è già accennato, in un appartamento autonomo in affitto, pagando ogni spesa di tasca propria. Nelle sue attività della palestra, era affabile, amante della vita sociale, quindi non aveva bisogno di sforzarsi per riuscire brillante agli occhi degli allievi: sotto questo profilo, aveva il vantaggio di essere abituato alla vita di città, a differenza di Crilin. Per di più, con quella sua folta chioma nera a spazzola e con le cicatrici, retaggio di chissà quali misteriose vicende, segno della sua temerarietà, faceva colpo soprattutto sulle ragazze, alcune delle quali gli morivano dietro. Non è che lui volesse corteggiare qualcuna delle sue allieve; ma certamente gli apprezzamenti e le moine lo attizzavano.
            Le due gemelle Kaya e Ganja erano quelle che si prendevano più confidenze con i due maestri: del resto, tutti sapevano che loro due, insieme a Soya, là dentro erano le veterane. Avevano sviluppato una vera passione per le arti marziali, che si erano rivelate un ottimo modo per tenere a freno la loro esuberanza concentrandola su obiettivi positivi; tanto è vero che ora le due, seppur esplosive, sembravano più rispettose e meno scalmanate degli inizi, per la maggiore serenità di Soya che con loro ci doveva convivere, e che era la responsabile della loro crescita. In qualche misura, gli sforzi dei due insegnanti erano stati fruttuosi. Dopo circa sette mesi di allenamento intenso ed impegnativo, le due diciassettenni non erano più mingherline come all'inizio, benché sempre atletiche e snelle: il loro fisico allenato era una gioia per gli occhi di Muten e Olong, che sovente andavano a far visita ai loro amici con intenzioni ben precise, anche se ai più non era chiara la presenza di quella buffa accoppiata. Kaya e Ganja, nonostante fossero due casiniste, agivano comunque sulla base di un senso di giustizia esercitato in maniera del tutto personale: grazie a qualche pugno e calcio ben assestato, erano capaci di bloccare polverose risse e caotiche zuffe di quartiere senza troppa fatica. A volte bastava semplicemente stringere un polso o spintonare con fermezza un malintenzionato col coltellaccio nella mano, per far cessare il pericolo.
            Fra tutte le iscritte, a differenza di molte altre, si può dire con certezza che Soya non era una di quelle che erano lì per andare a caccia di uomini, bensì per far pratica ed esercizio: questo era chiaro. Andava in palestra dopo il lavoro, perché qualcuno doveva pur portare a casa la pagnotta, e le sue due immature sorelle frequentavano ancora il liceo; ciononostante, la sua frequenza presso la Scuola era assidua. Fino ad allora, era l'unica che era riuscita a capire qualcosa sulla percezione dell'energia interiore, e che riusciva a galleggiare in aria. Nulla di eclatante, si capisce, ma in definitiva anche Tenshinhan e Jiaozi, quando avevano esibito quel tipo di galleggiamento, non erano assolutamente nulla rispetto a quello che sarebbero diventati negli anni successivi! Il guerriero pelato a volte si imbambolava a guardarla, sia quando le insegnava come piegare il ginocchio destro, sia quando la vedeva esercitarsi in solitaria, il viso concentrato come tutta la sua mente; e in quei frangenti Crilin non smetteva mai di meravigliarsi di quei benedetti occhi color ghiaccio, sua delizia, suo cruccio. Non aveva impiegato molto tempo a stringere amicizia con Soya, perché sul piano dell'apertura ad un'amicizia, lei non aveva eretto una barriera. Eppure l'amicizia non era quello che lui desiderava. Un classico: perché di solito, quando si incontra una ragazza di questo tipo, l'amicizia non è mai quello che si desidera, ma è puntualmente l'unica cosa che si ottiene. In quei mesi e mesi, pensieri simili lo ossessionavano drammaticamente: basta vedere con quale molesta ripetitività la parola e l'idea di “amicizia” faceva capolino fra le sue cogitazioni interiori per il puro gusto di infastidirlo. Dopo mesi non gli era ancora chiaro se la ragazza nutrisse qualche interesse nei suoi confronti; ciononostante, ormai ciò che gli era chiaro invece era il fatto che la ragazza, se interessata, non avrebbe mai fatto il primo passo: non tanto perché facesse la preziosa, ma perché semplicemente non era da lei e il contesto non era quello idoneo, a suo giudizio; lei non era lì per quello, ecco. In conclusione, toccava a lui scoprirsi e fare una primissima mossa che andasse oltre il solido rapporto allieva/maestro.
            Prima timida mossa: chiedere aiuto a Yamcha. «Senti... se io.... parlando in via ipotetica, eh...?» iniziò a balbettare Crilin. «Se io invitassi Soya a fare una passeggiata...»
            «In via ipotetica, naturalmente...» lo scimmiottò l'amico, maliziosamente divertito.
            «Dai, non fare lo scemo!» rimbrottò Crilin. «Fammi finire... già il discorso mi viene difficile... Se io la invitassi a farci un giro dopo la chiusura, e lei mi rispondesse che vuole assicurarsi che le sue sorelle tornino a casa invece di gironzolare...»
            «Quanto la stai facendo lunga! Se non ti conoscessi bene, non capirei nulla del tuo discorso...!» replicò Yamcha, per poi rassicurarlo: «Va bene. Mi offrirò volontario per riaccompagnare le sue sorelle a casa, mentre voi due ve ne andate alla chetichella. Così lei non starà in pensiero per loro...»
            Crilin si illuminò. «Grazie! Allora non sei scemo come ho detto poco fa!» lo ringraziò trionfante.
            «Grazie del complimento, amico!» rispose, calcando la voce su quest'ultima parola. «E dacci sotto... non sprecare quest'occasione, mi raccomando... è ora di diventare grandi, campione!» concluse, strizzando l'occhio all'amico.
            Seconda timida mossa: invitare Soya. Il nostro eroe, quasi immemore del fatto di essersi trovato davanti ai peggiori mostri dell'universo, si costrinse a dar fondo a tutta la riserva di coraggio di cui disponeva, che – come sappiamo – non era poca. Eppure gli fu necessaria quasi interamente, tale era l'ansia che lo attanagliava, poveraccio. Decise da subito che l'invito non andava formulato in maniera troppo elaborata ed infiorettata; poi attese il famigerato orario di chiusura, concentrandosi sul lavoro per distrarsi dal suo implacabile chiodo fisso. Alla fine giunse il momento definitivo, ma per il guerriero pelato fu come se fosse arrivato il giorno del giudizio: temeva di compiere qualche clamoroso sbaglio; non sapeva quale, ma temeva di compierlo. Prese il coraggio a due mani e le rivolse la parola: «Ehi, Soya... che ne dici... ti va di aiutarmi a chiudere, e poi ci facciamo un giro insieme?» Pronunciò la domanda cercando di non lasciar emergere la tensione, ma alla parola “insieme” ebbe un leggero sussulto.
            «Perché no...? È da tanto che non mi faccio una passeggiata per svagarmi... ma le mie sorelle...»
            Qui intervenne Yamcha, con una prontezza degna di nota: «Se vuoi, le accompagno io... così siamo sicuri che se ne stiano buone a casa! Perché dovresti perderti una bella e rigenerante passeggiata?»
            Soya acconsentì contenta: sentiva davvero il bisogno di staccare per un po' la spina in tutta calma e tranquillità, per cui fu grata a Yamcha per questo favore. Le due gemelle si guardarono negli occhi, con uno sguardo tanto malizioso quanto impercettibile agli occhi di tutti gli altri. Cosa passava loro per la testa? Eh, se qualcuno avesse potuto leggere nel loro pensiero... quanti guai si sarebbero evitati!

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            • Nel tardo pomeriggio, chiusero la palestra. Poi, i cinque – vale a dire i due maestri e le tre allieve – si divisero: Yamcha, Kaya e Ganja si diressero da una parte, lasciando che Crilin e Soya andassero nella direzione opposta.
              Dopo aver girato qualche angolo, Ganja si fermò di colpo, inducendo gli altri due a seguirne l'esempio.
              «Beh? Perché ti sei fermata?» domandò Yamcha, dubbioso.
              «Mi è venuta un'ideona!»
              «Sentiamo la tua grande ideona...» rispose Yamcha, alzando gli occhi al cielo.
              «L'aperitivo... ormai è l'ora adatta!»
              «Gyeah!» fu l'urlo di approvazione di Kaya. «It's time for a drink!»
              «Immagino che non siate prive di esperienza in materia di alcolici... ad ogni modo, la mia risposta è no!» sentenziò il giovane con le cicatrici, cercando di mantenere un'espressione severa. «Vostra sorella vi ha affidato a me, e io intendo mantenere la mia promessa di portarvi a casa e di fare in modo che ci restiate!»
              Kaya, simulando due occhioni scherzosamente ed affettatamente dolci, ribatté: «Maaaaa... Soya non ha mica detto che non possiamo fare una sosta intermedia al bar! Vuole solo che ce ne andiamo a casa, e ci arriveremo... ma dopo il bar!»
              «Voi due siete tutte sceme... muoviamoci, dai!» tagliò corto il ragazzo. Purtroppo le sue due interlocutrici non erano tipe da portare eccessivo rispetto ad un maestro non troppo più anziano di loro, e Yamcha non era il tipo da ispirare a due ragazze quel tipo di deferenza.
              «Eddai, socio! Che ti costa portarci una volta tanto al bar e offrirci da bere?»
              «Cosa?!?» esclamò Yamcha, che cominciava a non poter trattenersi dalle risate. «Quindi dovrei pure pagare io per voi??»
              «Beh logico...!» replicò prontamente Ganja, con l'indice da maestrina sentenziosa puntato in avanti. «Innanzitutto devi essere un cavaliere e un signore... e poi con tutti i soldi che ti paghiamo noi e gli altri iscritti, puoi anche permetterti di pagare un drinketto a due dame!»
              «Certo! In effetti una che rinfaccia al suo cavaliere tutti i soldi che lui guadagna grazie al suo onesto lavoro, è una gran dama... raffinata, soprattutto...» rimbeccò lui con i pugni sui fianchi.
              A questo punto Kaya intervenne e disse: «Ok, dai, ormai diamo per scontato che l'invito è accettato! Muoviamoci ad andare a 'sto bar, altrimenti facciamo tardi! Ricordati che devi anche accompagnarci a casa...», a cui fece eco Ganja: «Esatto, quindi prima finiremo il drink e meglio sarà per te, maestro e cavaliere Yamcha!» e detto ciò, le due sorelle lo afferrarono una per un braccio e una per l'altro, stringendolo calorosamente e quasi strattonandolo, sicché lo costrinsero ad andare avanti. Lui era in leggero imbarazzo, con gli occhi puntati al cielo.
              Trovarono uno dei tanti bar del centro città; da alcuni minuti, i lampioni pubblici erano stati accesi. Il trio si sedette ad uno dei tavolinetti esterni: era una serata mite. Passò un cameriere a raccogliere le ordinazioni.
              «Ora ti mostro se so essere raffinata o meno» disse Ganja rivolgendosi a Yamcha. «Brav'uomo!» iniziò lei con voce artefatta, mimando con la mano destra il gesto di un aristocratico che si aggiusta il monocolo. «Io e i signori qui presenti desidereremmo dei calici di prosecco che abbia alcune primavere alle spalle, cortesemente.»
              «Ma il monocolo è da uomo, stupida! Le nobildonne hanno il ventaglio! Lascia fare a me.» ribatté Kaya. «Buon uomo, voglia perdonare l'atteggiamento maldestro di mia sorella e annoti fra le nostre consumazioni anche qualche tipologia di leccornia d'accompagnamento, se v'aggrada.» a quel “se v'aggrada”, la sorella e il maestro esplosero in una fragorosa risata.
              Al cameriere sbigottito, Yamcha, sopprimendo le risate, disse: «Porti tre bicchieri di prosecco e un po' di salatini e patatine, via... lasci perdere queste due buffone.» Nell'arco di qualche minuto, l'ordinazione fu soddisfatta e bicchieri e ciotole arrivarono sul tavolo; nell'arco di qualche altro minuto, i bicchieri erano già vuoti, segno del fatto che le nostre due dame non sanno proprio cosa sia il bere con contegno; a ulteriore conferma di ciò, ordinarono un secondo giro di drink. Del resto si sa: ordinare e mandare giù sono due operazioni molto agili e semplici, che si sbrigano con una sveltezza disarmante… quando è qualcun altro a pagare. Yamcha era ormai pronto ad alzarsi e a portare via di peso le sue due compari, ma loro tanto insistettero che lui – come il povero imbecille che si rendeva conto di essere - si ritrovò a vedersi messo in conto un terzo giro, stavolta di whisky, senza nemmeno capire come si era arrivati a quel punto. «Alla salute dei due zietti e del nonnetto della Tartaruga!!» brindarono rumorosamente le due adolescenti, ciascuna con due occhietti lucidi lucidi e un sorriso svanito e sinistro dipinto sul volto. Evidentemente reggevano ben poco l'alcol, visto che era bastato così poco per farle diventare più che brille. Yamcha, ormai spazientito, ancora seduto a tavolino, chiese: «Perfetto, siete contente, ora che avete bevuto a sazietà? O volete svuotarmi ancora il portafogli?» Senza alcun preavviso, le due ragazze si alzarono dai loro posti e poggiarono i loro sederini ognuna su una coscia di Yamcha, che non capì dove volessero andare a parare.
              «Abbiamo bevuto... ma ora abbiamo fame...» disse Ganja, stampandogli un bacio sulla guancia.
              «E-eh?» balbettò il giovane. «M-ma che...»
              «Non ti agitare... sono solo due coccole...» aggiunse con tono seducente Kaya, nonostante le uscisse una vocina un po' rauca, lasciandogli le due coccole rispettivamente sulla guancia e sul collo; Yamcha, che non era brillo ma sicuramente aveva i riflessi un po' allentati - visto che, da bravo atleta responsabile, non era un gran bevitore – mugolò: «Le coccole mi piacciono, ragazze... però qui davanti a tutti... non mi sembra il posto adatto...» Stava perdendo il controllo della situazione, la cui temperatura saliva vergognosamente.
              «Kaya... mangiare va bene, ma se continui così per me non ne resterà niente... lasciamene un po'...» disse Ganja, mentre gli accarezzava i capelli e il bicipite. Il bello era che tutta la clientela che stava intorno a loro non si interessava completamente di quella mischia vivente di effusioni! Ma disgraziatamente, come nel più banale, prevedibile e stereotipato dei film a sfondo sentimentale, in quell'esatto momento, puntuale come un cavaliere dell'Apocalisse, ecco arrivare – attratta da quello spettacolino pseudo-scandaloso – la persona meno indicata, la peggiore che poteva passare in quel momento: Bulma. La donna, riconoscendo immediatamente il giovane che stava al centro di quel groviglio di coccole, si diresse a passo di carica verso il bar. In meno di due secondi i suoi occhi si arrossarono e si riempirono di lacrime calde ed amare: quella scena fu la proverbiale goccia che faceva traboccare un vaso ormai da tempo ricolmo di amarezze e dall'esasperazione di una storia ormai lacera dal dispiacere. È vero che molta di quella sofferenza interiore, Bulma se la era coltivata da sola nella propria mente; ma è vero anche che Yamcha obiettivamente non era stato senza colpe, alimentando il senso di abbandono della sua fidanzata, mese dopo mese ed anno dopo anno; per finire, la sua condotta degli ultimi mesi non aveva fatto che rendere precaria una situazione a cui mancava solo il colpo di grazia.
              «Allora è così! Dal guardare culi e tette sei passato a...» e qui non sapeva trovare parole per continuare; ma proseguì indignata, digrignando i denti, col palmo della mano puntato in modo accusatorio verso quei tre, che gli occhi della gelosia le mostravano così strettamente avvinghiati, anche se ad uno sguardo meno coinvolto sentimentalmente sarebbero sembrate delle ingenue effusioni da sbronza. «...A questo!!» strillò alla fine la ragazza. «Bravissimo, davvero bravissimo! Trovati un'altra cretina da prendere in giro, signor Yamcha... tanto vedo che ne hai già due, di cretine!» Infine, la sua voce si spezzò per il pianto: «Con me hai chiuso per sempre! Io e te non siamo più niente... addio!» e scappò via, seminando per strada le proprie lacrime, prima ancora che il suo ormai ex fidanzato potesse anche solo iniziare a controbattere o alzarsi in piedi.

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              • Crilin e Soya, intenti nella loro passeggiata, camminarono e chiacchierarono per un bel po'; parlarono di quanto è bello svegliarsi la mattina e poter ammirare per 365 giorni all'anno l'immensa distesa dell'oceano sotto il sole appena sorto; di quanto i soldi spesi per iscriversi alla palestra si siano rivelati un investimento, dal punto di vista della formazione delle due gemelle; ma, nel momento in cui avessero concluso gli studi scolastici, e ormai mancava poco, le due avrebbero dovuto guadagnarsi da sole lo stipendio per pagare la tariffa di iscrizione. Insomma, discorsi tutt'altro che profondi, discorsi semplici... sciocchezze, se si vuole. “Ma” rifletteva Crilin “queste sciocchezze rappresentano la maggior parte della nostra vita... quindi va benissimo, sono contentissimo di parlare con lei di queste cose!”
                Dopo aver girovagato senza una meta precisa, andarono a finire senza quasi rendersene conto sul molo del fiume. Infatti, la Città dell'Ovest, grande metropoli, si era sviluppata anche grazie alla presenza di un grande fiume che, in passato ma ancora nel presente, consentiva i viaggi e gli spostamenti delle imbarcazioni mercantili.
                Si sedettero; fu nel corso di quella chiacchierata che Soya accennò ai suoi genitori, mentre Crilin riportò momentaneamente in vita Goku; i due non avevano mai pensato al fatto che le loro vite erano accomunate dall'esser segnate dalla morte di persone molto care.
                «Son Goku?? Ma sì che me lo ricordo!» esclamò stupita la ragazza, memore delle edizioni del Tenkaichi a cui aveva assistito da piccola. «Era quel ragazzino in gambissima! Ecco perché era fortissimo: era un tuo compagno...»
                Crilin si sentì lusingato, ma fortunatamente il buio del crepuscolo non permetteva di mettere a fuoco il rossore imbarazzato del suo viso: per la prima volta in vita sua, sentiva dire che Goku era forte in quanto compagno di avventure di Crilin, e non il contrario. Assurdo... non pensava che sarebbe mai accaduta una cosa simile. «In effetti indossavate la stessa uniforme... i tre allievi della scuola della Tartaruga, come dimenticarvi!»
                Crilin pensò fra sé: “Certo che, se si ricorda tutti questi particolari, doveva essere davvero un'appassionata...” «Eheh... le arti marziali e le nostre vicissitudini hanno contribuito a renderci un gruppetto molto affiatato... con gli anni il gruppo si è ampliato di altri amici, seppure non allievi di Muten...» ricordò con un filo di nostalgia, mentre la sua mente attraversava i ricordi come la corrente lungo un filo elettrico, dalla comparsa del demone Piccolo ai Saiyan e Freezer. «Ma Goku era il più straordinario di tutti, te lo assicuro... negli ultimi tempi aveva raggiunto una potenza eccezionale, unica nell'universo... scommetto che avrebbe potuto distruggere il mondo con un colpo solo, se malauguratamente lo avesse voluto!»
                «Che esagerato che sei...!» rise ragazza, convinta che quelle parole fossero la malinconia iperbolica di un giovane per il compagno scomparso prematuramente.
                Crilin sorrise benevolmente: «Forse hai ragione...»; scosse la testa: era inutile insistere sulla potenza di Goku, del resto chi non aveva avuto le mani in pasta in quel genere di avventure difficilmente avrebbe potuto capire. «Sai qual è il bello? Anche se era il mio migliore amico, abbiamo trascorso lunghi periodi delle nostre vite senza vederci né sentirci completamente... per anni, capisci?»
                «Sì... però anche se non vi vedevate, non soffrivi più di tanto della sua assenza... perché davi per scontato che lui stesse bene... e perché lui stava sempre bene, giusto?»
                «Brava...!» esclamò, stupito della perspicacia di Soya nell'interpretare il suo pensiero. «Quello che mi dà maggior dispiacere ora è la consapevolezza che non ci vedremo più...» e qui fece una breve pausa meditativa. «Però sai, Soya... da quando Goku non c'è più, mi sono reso conto di due cose: innanzitutto, nella vita ci si può abituare a tutto, a qualsiasi disgrazia... di tutto ciò che può capitarci nella vita umana, non c'è nulla che possa distruggerci... nessun dispiacere, nessuna amarezza, nessun dolore... tutto si supera, a tutto ci si può adattare...»
                «Sono d'accordo... anche io ci sono passata, coi miei genitori...» assentì la ragazza, per poi sollecitarlo a continuare: «E la seconda cosa di cui ti sei reso conto quale sarebbe?» Lo sollecitò la ragazza, desiderosa di vedere se concordassero anche sul secondo punto.
                «… che sta a noi trarre un qualsiasi insegnamento dalle vicende che ci capitano... perché a volte i fatti capitano e non ci si può fare nulla... però noi dobbiamo trovare lo spunto per andare avanti. Non credi? Io ho costruito una palestra sulle basi di quest'idea...»
                Era un ragionamento molto astratto: solo due persone che avevano affinità mentale avrebbero potuto comprendersi vicendevolmente. Soya sorrise graziosamente e lo guardò, ma non espresse ciò che pensava tra sé: “È un ragazzo più forte di quello che vuole dare a vedere, e non solo dal punto di vista combattivo...” Crilin la guardò di rimando, ma non espresse ciò che pensava su quel sorriso incantevole, accompagnato da quei due occhi socchiusi dal taglio così speciale. Dopo qualche minuto di silenzio davanti allo spettacolo del fiume, Soya si tocco il ventre dal quale sentiva venire un fastidioso brontolio, che la costrinse a dire a malincuore: «Mi sa che si è fatta ora di cena...»

                Quella sera Crilin tornò alla Kame House con la testa fra le nuvole; quando si mise a letto, la testa gli era ormai completamente partita per l'esaltazione. La chiacchierata di quel pomeriggio gli sembrava la conversazione più esaltante che gli fosse mai capitata, ed era stata sufficiente a dargli la carica necessaria a coltivare quel sentimento e quell'avventura. Alla fine, si convinse che il Destino gli avesse messo davanti la più eccezionale ragazza del pianeta: non che avesse grande esperienza delle altre, in effetti... ma ormai si era messo in testa che Soya era il top e difficilmente si sarebbe dissuaso da quest'idea.
                Nel buio della notte stellata che intravedeva dalla sua finestra, si sentiva raggiante, e questo stato d'animo gli ispirava versi poetici e visioni idilliche, anche se per chiunque sarebbero stati i deliri di un mezzo pazzo.
                “Soya, Soya... mia allieva, tesoro mio...”
                Sognò di essere vestito di tutto punto col completo bianco giacca e cravatta più elegante del mondo; Yamcha in smoking nero gli faceva da testimone. Poi il suo sguardo si posò sulla carrellata dei suoi più cari sodali: Muten con il guscio da tartaruga nero lucido delle grandi occasioni, Tenshinhan e Jiaozi con un'elegante camicia bianca di foggia orientale; Bulma, Pual e Olong, senza dimenticare Chichi, Gohan e persino Piccolo! Persino le due gemelle scalmanate avrebbero dovuto presentarsi vestite dignitosamente, volenti o nolenti, per non spezzare l'idillio!
                “Soya, sogno della mia vita. S.O.Y.A.... il tuo nome mi elettrizza persino scandito lettera per lettera...”
                Pazienza: Crilin era completamente andato, ormai. Non sapeva ancora del cataclisma che si era abbattuto su Yamcha e Bulma: ne sarebbe venuto a conoscenza solo l'indomani, in palestra.

                ***********************************************
                L'ANGOLO DELL'AUTORE.
                Al di là dei sentimentalismi facili, mi sono voluto divertire un po' alle spalle del nostro Testa Pelata... lo vedo come uno abbastanza sdolcinato (nella sua mente), anche se poi non riesce ad esternare il tutto.
                Piccola anticipazione: il prossimo capitolo sarà dedicato a Bulma + Vegeta. Intanto ho dato una spiegazione del perché Bulma ha lasciato Yamcha sostenendo che "era un dongiovanni", come spiegato da Trunks del futuro durante il suo primo incontro con Goku. Per il futuro mi sforzerò di non essere sdolcinato, anche perché uno dei due diretti interessati non mi sembra molto portato per questo genere di cose... Poi però si torna a Dragon Ball serio, quello con le botte!

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                • Devo dire che questo è stato uno dei capitoli che ho apprezzato di più finora.
                  Soprattutto l'ultima parte, con Crilin e Soya, come il giovane pelato ripensi a Goku, le motivazioni per cui nonostante una perdita così grave sia riuscito ad andare avanti, tutto molto ben scritto.
                  Poi mi ha fatto ridere la conclusione, con Crilin ormai perso , era proprio ciò che mi sarei aspettato.

                  Yamcha pollo dell'anno; ma si trovano nella stessa città di Bulma?

                  Interessante anche il fatto che Goku abbia sempre un occhio di riguardo per i suoi amici, ma non può parlarci?
                  sigpic

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                  • Grazie per i commenti

                    Originariamente Scritto da Ssj 3 Visualizza Messaggio
                    Devo dire che questo è stato uno dei capitoli che ho apprezzato di più finora.
                    Soprattutto l'ultima parte, con Crilin e Soya, come il giovane pelato ripensi a Goku, le motivazioni per cui nonostante una perdita così grave sia riuscito ad andare avanti, tutto molto ben scritto.
                    Poi mi ha fatto ridere la conclusione, con Crilin ormai perso , era proprio ciò che mi sarei aspettato.
                    Crilin è talmente serio e convinto nella sua "cucciolaggine amorosa" che non può che risultare comico a chi lo guarda dall'esterno (cosa che succede anche nell'universo "principale", con 18). Ti fa venire sempre da commentare "che doooolce" e farci una bella risata sopra.

                    Originariamente Scritto da Ssj 3 Visualizza Messaggio
                    Yamcha pollo dell'anno; ma si trovano nella stessa città di Bulma?
                    Sì, purtroppo per Yamcha, ma anche per Bulma! Vivono tutti (anche Soya e sorelle, ma non Crilin che, come si è detto, la sera torna a dormire alla Kame House) nella Città dell'Ovest, dove è stata fondata la Nuova Scuola della Tartaruga.

                    Originariamente Scritto da Ssj 3 Visualizza Messaggio
                    Interessante anche il fatto che Goku abbia sempre un occhio di riguardo per i suoi amici, ma non può parlarci?
                    Basandomi sul manga direi di no. In generale ho dato per assodato che tra il regno dei morti e quello dei vivi non ci possono essere contatti nè comunicazioni, se non autorizzati dalle autorità divine per motivi eccezionali. Da come viene raccontata la storia nel manga, mi pare che nei 7 anni fra Cell e Majin Bu Goku non abbia mai contattato i vivi se non quando doveva avvertirli che si sarebbe presentato al Tenkaichi... però da come reagisce vedendo Goten la prima volta, mi pare che fosse al corrente della sua esistenza. Nella mia storia comunque ho immaginato che Goku fosse più curioso, o meglio più "ansioso" di seguire i suoi amici, perchè ha lasciato prematuramente e involontariamente la vita terrena. Nell'universo "principale", invece, si è quasi suicidato, quindi l'abbandono nella vita mortale è stato meno traumatico, psicologicamente parlando.

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                    • Mi sono aggiornato anch'io.
                      È un capitolo di "svolta" per la storia (da questo litigio tra Bulma e Yamcha nascerà la coppia Vegeta-Bulma e di conseguenza Trunks e tutta la storia).
                      Last edited by calogero99; 13 July 2013, 15:52.

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                      • Sono contento che troviate la storia interessante. Avete capito uno dei motivi per cui ho voluto inventare due allieve gemelle! Ne ha fatto le spese il povero Yamcha... ma andiamo avanti con la storia.

                        Cap. 22: Odi et Amo.

                        Nei giorni che seguirono, Bulma decise che non voleva sapere più nulla di Yamcha, delle gemelle e di qualsiasi altra cosa collegata a quegli orribili soggetti. Crilin aveva deciso di assumere le classiche vesti dell'amico che si trovava a fare da mediatore di pace tra i due, e Soya gli si era affiancata nel tentativo di scusarsi per comportamento vergognoso delle sue sorelle minori. Bulma, però, non volle sentire ragioni: era stanca, stufa, delusa da Yamcha; dopo tutte le ansie e i dispiaceri che lei aveva dovuto patire per mesi e mesi, senza parlare degli anni ed anni di litigi che li avevano preceduti, era bastato così poco per farlo cedere alla tentazione, era bastato qualche bicchiere e un leggero barlume di allegria. Se doveva riporre la sua fiducia in un dongiovanni simile... a questo punto chi può dirlo se c'erano stati dei precedenti che lui in malafede le aveva sempre taciuto, in passato?! «Anzi... se c'è una cosa che mi dispiace, è di aver perso tutto questo tempo... avrei dovuto decidermi prima a mollarlo!»
                        D'altro canto, Yamcha sosteneva testardamente che un momento di debolezza è una cosa perfettamente umana e, dal momento che lei dopo anni avrebbe dovuto sapere con che tipo di uomo aveva a che fare, doveva sapere anche che lui poteva guardare tutti i culi del mondo senza mai realmente tradirla (cosa che intanto aveva fatto!); che il litigio tra i due era colpa della sua ex fidanzata e del suo “carattere di merda”. «Quella stupida avrebbe dovuto solo ringraziare di avere un fidanzato con le mie capacità! Le ho dimostrato che sono un buon lavoratore, che non sono solo un ammasso di muscoli senza cervello... e questa è la stima che ha di me! Sono solo un dongiovanni, per lei!» Siamo alle solite: in circostanze del genere, entrambe le parti interessate sono convinte di avere ragione, ed in parte è così; d'altronde, hanno anche una parte di torto, ma nessuno dei due è disposto ad accettarlo nei confronti dell'altro. Morale della favola: i due ex fidanzati accompagnarono la rottura col grido “Che liberazione!”. Da speranzoso ambasciatore Crilin si rassegnò ad essere lo sconfitto di turno: sconfitto dall'idea che la coppia storica composta dai suoi due amici era scoppiata, che quei due non si sarebbero mai più rimessi assieme e che quella benedetta telenovela era ormai giunta al termine. Anzi, sulla testa pelata del nostro amico piombò una conseguenza negativa: visto come erano andate le cose in una coppia più che consolidata, la sua baldanza nei confronti di Soya subì una leggera battuta d'arresto: “Devo andarci piano... devo andarci piano, cavolo!” si ripeteva. Poveretto, gli altri si lasciavano e lui era quello che se ne creava maggiori problemi! Lo atterriva l'idea che tra lui e Soya prima o poi potesse esplodere una pesante litigata e che si verificasse una rottura tale da lasciare in entrambi un pessimo ricordo reciproco: questo perché lo terrorizzava in modo letale l'idea che Soya potesse soffrire per colpa sua. Conoscersi bene, frequentandosi con calma e a poco a poco: questa doveva essere la strategia vincente da seguire.
                        Dopo alcuni giorni, la situazione si fece pesante anche per Bulma. Quest'ultima, nonostante la sua testardaggine iniziale, nonostante si fosse imposta di essere forte e di non dare più importanza a “quello stronzo”, in breve tempo accusò il colpo ed ebbe un crollo psicologico: e infatti risale proprio a quei giorni il commento che Goku aveva fatto con re Kaioh vedendo l'amica scontenta ed infelice. Quando ancora stava con Yamcha e lui passava sempre meno tempo con lei, era agitata dal timore di rimanere sola; questo timore alla fine era diventato l'inconsolabile certezza di essere rimasta sola. Pual ormai da un bel pezzo aveva abbandonato quella casa, andandosene con Yamcha, naturalmente; Olong, dacché la casa si era svuotata di colpo, visto l'umore perennemente nervoso e intrattabile di Bulma, aveva deciso di trasferirsi alla Kame House, con il caro vecchio Muten. Di conseguenza, Bulma visse alcune settimane in solitudine, a riflettere, a ragionare, a lasciar sbollire la rabbia.

                        Una sera, Bulma stava trascorrendo sul divano il suo ormai consueto dopocena casalingo, guardando un film in TV. Si trattava di una scialba e banale commedia romantica, di quelle in cui il protagonista maschile cerca di conquistare la ragazza conosciuta nei primi cinque minuti del film: ci sarebbe riuscito solo alla fine, dopo un'ora e quaranta minuti di alterne vicende, dopo una corsa pazzesca contro il tempo e un gesto eclatante e clamoroso. Dopo qualche minuto le fu chiaro dove voleva andare a parare la trama, e l'idea di passare così quella serata non la elettrizzava, ma non avendo di meglio da fare si rassegnò... Il film era da poco iniziato, quando sentì nella cucina, adiacente al salotto, un rumore di passi e di qualcuno che armeggiava tra gli sportelli. Sollevò la testa e lanciò uno sguardo: era Vegeta che, dopo gli allenamenti e la solita doccia serale, si era vestito in comodi pantaloni di tuta e maglietta, e si era avventurato in cucina a caccia della cena.
                        «Ah, sei tu... avevo sentito dei rumori...» A queste parole lui la guardò, senza reale interesse, giusto per farle capire che non l'aveva ignorata, ma non aveva risposto perché era di poche parole... come al solito.
                        Avrebbe voluto incalzare dicendo “Guarda che puoi anche rispondermi a parole, eh?!”, ma evitò: un'istintiva ispirazione momentanea le suggerì di tentare un approccio amichevole con lui, dunque doveva evitare che lui scappasse via scocciato. Quindi gli chiese: «Che fai?»
                        «Mi procuro qualcosa per cena.» rispose lui, con la freddezza di chi non tiene presente che quella cena, anzi che ogni singola cena da due anni a questa parte, gli veniva generosamente offerta da quella sua interlocutrice.
                        «Che programmi hai per stasera?»
                        «Quelli di tutte le sere... mangiare e addormentarmi.»
                        «Perché non resti qui e guardi questo film con me? Vorrei sapere che ne pensi... puoi anche mangiare qua, seduto davanti alla TV...» propose la ragazza, dando qualche pacca al divano in segno di invito. La sua intenzione era quella di scovare un pretesto per conoscere meglio quello che passava per la testa del suo misterioso inquilino.
                        Il Principe la fissò con uno sguardo diffidente, che a Bulma ricordò con improvvisa nostalgia i suoi primi giorni con il piccolo Goku, quando il ragazzino guardava ogni innovazione tecnologica, o meglio ogni manifestazione della “civiltà umana”, come se fosse una stregoneria. «Guarda che non succede nulla di male, se mi fai compagnia per una volta...»
                        «Basta che mi lasci mangiare in pace, però...» borbottò il Saiyan, che non aveva voglia di discutere o di sentirla alterarsi per una sciocchezza del genere; quindi si accomodò sul divano, poggiò il cibo sul tavolinetto davanti a lui e cominciò a lavorare di mascelle, mentre seguiva il susseguirsi delle vicende sullo schermo. Sorprendentemente, rimase a seguire la trasmissione fino alla fine, pur avendo terminato da un pezzo la cena. Alla fine Vegeta si alzò e fece per andarsene, mentre Bulma era ancora adagiata sul divano: «Buonanotte» disse lui, con un passo avanti diretto fuori dalla stanza.
                        «Beh, aspetta...» lo fermò lei, per poi chiedergli: «…che te ne sembrava?». Così lo costrinse a fermarsi e a prestarle orecchio. «Era carino, no? Personalmente temevo peggio...»
                        «Bah... noioso, più che altro...» rispose lui, con la noia che gli si leggeva in volto. «Si faceva fatica a seguirlo...»
                        «Forse non ti era chiaro qualche passaggio della trama?»
                        «Guarda che non sono scemo...» ribatté lui con annoiata irritazione. «Sono solo extraterrestre! Forse ti aspetti che adesso io faccia l'alienato che vive fuori dal mondo e non capisce la mentalità terrestre, e ti chieda “che senso avevano questo e quello”, però capisco bene tutto del vostro modo di ragionare, anche se non condivido un bel niente!» E con questo concluse il suo giudizio sul film romantico, abbandonando la stanza e strappando inevitabilmente a Bulma un sorriso smorzato e soffocato.

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                        • Strano a raccontarsi, ma quel singolo, isolato, quasi casuale episodio segnò l'inizio di una consuetudine per quella strana coppia, la scienziata terrestre e il Principe dei Saiyan. Più volte alla settimana, sempre e solo per la sera, vedeva Vegeta far capolino in cucina, possibilmente in prima serata, spinto dalla pressante necessità della cena; Bulma lo informava di ciò che le interessava seguire quella sera, e lo invitava a restare; lui restava, con fare distaccato (tale atteggiamento, vero o artefatto che fosse, nessuno avrebbe saputo capirlo). Col passare di qualche settimana, talvolta era lui a prendere l'iniziativa e a chiederle “cosa davano in TV”. Una situazione buffissima, non c'è che dire, che nessuno avrebbe mai creduto possibile! Una volta davano un film di guerra, con mitragliatrici, dinamite e carri armati; commento sarcastico di Vegeta: «Vediamo un po' la guerra nella preistoria della tecnologia!» Un'altra volta, un film di alieni e fantascienza; commento pungente di Vegeta: «Sono curioso di vedere come un popolo di primitivi dipinge noi extraterrestri.» Il suo ghigno stava cominciando a diventare una componente immancabile, e la ragazza trovava a modo loro interessanti i suoi commenti ironici sull'inferiorità della razza terrestre. Il sarcasmo era una sua propensione naturale. Una volta la ragazza gli aveva chiesto come passava il suo tempo libero, aspettandosi come risposta un “Fatti gli affari tuoi” o “Un Saiyan non ha mai tempo libero”. Invece, lui rispose in modo conciso: «Ammazzo...», per poi, all'espressione scioccata della sua interlocutrice, proseguire: «... il tempo.» Incredibile, Vegeta l'aveva fatta ridere! E ancora, da quelle ore serali trascorse insieme, Bulma aveva supposto che - per quanto Vegeta fosse un guerriero, un vero guerriero, sicuramente il re dei guerrieri - essendo di lignaggio reale, doveva essere anche una persona acuta... e chiaramente era anche quello. A volte lui abbandonava annoiato il divano, ben prima che lo spettacolo fosse finito; altre volte, Bulma lo beccava con la coda dell'occhio mentre teneva lo sguardo sullo schermo e nel frattempo allungava la mano dentro il sacchetto delle patatine che lei stava mangiando, il tutto dopo essersi già abbuffato di un'abbondante cena. La ragazza era contenta, comunque: le sembrava di aver iniziato a sciogliere almeno in parte il ghiaccio di cui quell'uomo era costituito.
                          Quella consuetudine a lei risultava molto piacevole, per quanto fosse un po' ritrosa ad ammetterlo, mentre per lui era un'abitudine che... “non gli riusciva troppo molesta”, avrebbe forse detto lui, con altrettanta ritrosia. Trascorsero così un paio di mesi.

                          Bagliori, bagliori dorati. Quando cercava di trasformarsi in Super Saiyan, Vegeta non vedeva altro che bagliori dorati, uno dopo l'altro, che abortivano attorno a lui in modo tristemente inconcludente. “Così non ci siamo... sto solo aumentando la mia aura! Cosa mi manca per diventare Super Saiyan? Cosa ha permesso a Kakaroth di riuscirci? Ormai sono ancora più forte di quanto non fosse lui all'epoca, e per di più ho fatto una fatica immane per arrivare a questo livello... non è passato giorno senza che io sottoponessi tutti i miei muscoli ad uno strenuo allenamento...”
                          I mesi, gli anni erano volati, letteralmente volati, come i fogli di carta dei calendari sospinti dal vento del tempo. Il tempo possiede questa tragica caratteristica: passa, e non te ne accorgi; quando pensi ad un lungo periodo di tempo ancora da venire, prima ancora che passi sembra lunghissimo; quando è già trascorso, sembra letteralmente volato. Una tragica caratteristica, secondo chi vi narra questa storia, ma anche secondo Vegeta: il quale aveva trascorso mesi e mesi senza riuscire a raggiungere l'agognato livello di Super Saiyan. Non è per niente gradevole vivere trascinando sulle proprie spalle questo carico da una tonnellata di frustrazione allo stato puro.
                          “Guardami, Kakaroth... guardami dall'Aldilà! Sono molto più forte di quanto fossi tu, senza trasformazione...” e tirò un pugno, con la consapevolezza che Kakaroth dall'Altro Mondo avrebbe davvero potuto guardarlo, assistere ai suoi progressi ma soprattutto ai suoi fallimenti. “Sono molto, molto più veloce... questa gravità 200 non la sento nemmeno, è come se il mio corpo fosse una piuma!” Effettuò rapidi spostamenti a super velocità per provarlo al suo ipotetico spettatore dal regno dei morti, ma soprattutto per provarlo a sé stesso.
                          Di punto in bianco si bloccò. Si era reso conto di aver trovato una falla nel suo allenamento perfetto, ed era quella falla che gli impediva di migliorare... Dannazione! “Ormai sono giunto al punto in cui nemmeno la super gravità forza 200 mi aiuta a migliorare! Anche se mi allenassi per anni in queste condizioni, non farei più il salto di qualità che ho fatto nel periodo iniziale di allenamenti. Certo... i miglioramenti sono stati evidenti soprattutto nel primo periodo, quando mi allenavo aumentando gradualmente la gravità e il mio corpo si abituava a pesi via via crescenti. Ma ormai anche la gravità 200 volte superiore a quella naturale terrestre non mi aiuta più... allenandomi ancora, potrei incrementare sicuramente il mio livello col tempo, ma sempre di poco... altro che salto di qualità! No, non ci siamo... con questo metodo non diventerò un Super Saiyan! In fin dei conti, anche Kakaroth per raggiungere quel livello non ha mai superato una gravità superiore a 100 volte quella terrestre!”
                          La sera in cui Vegeta era reduce da quelle deprimenti riflessioni, con un certo rammarico andò a procurarsi la cena in cucina. Proprio quella sera, però, Bulma aveva stabilito di osare un approccio più approfondito, con la puntualità con cui tipicamente vengono posti i quesiti più scomodi ed inopportuni: «Come vanno i tuoi allenamenti?»
                          «Una meraviglia.» rispose con un tono in lapidario contrasto con il contenuto della sua affermazione.
                          «Mi chiedevo...» improvvisò lei, imbarazzata a muoversi su un terreno di cui capiva poco. «Ma di preciso a che livello di potenza vuoi arrivare? Ti sei prefisso un traguardo?»
                          «Secondo te?» chiese lui di rimando, inarcando un sopracciglio.
                          «Forse vuoi eguagliare o superare il livello di Goku?» tirò ad indovinare Bulma con candore, senza notare che l'argomento avrebbe potuto sollevare un polverone, un litigio o qualcosa di analogamente non molto bello.
                          «Non è che voglio... ci riuscirò sicuramente!» esclamò Vegeta, rivolgendo l'aspro cipiglio verso la ragazza.
                          «Forse non sono un'intenditrice e non dovrei parlare...» azzardò la donna, un po' timorosa «…ma non dovresti prima raggiungere lo stadio di Super Saiyan? Che io sappia, a quel livello la forza di un Saiyan è notevolmente diversa da...»
                          «Zitta, donna!» la interruppe seccamente il Principe; era da tanto che l'epiteto “donna” non sbucava dalle sue labbra, e questo non era un buon segno. «Non voglio la tua compassione! Lasciami in pace!» aggiunse poi, cominciando a muovere qualche lento e nervoso passo nella direzione di Bulma, che invece indietreggiava, involontariamente.
                          «Ma no... Non fraintendermi! E comunque sei tenace... credo che chiunque altro avrebbe rinunciato, a questo punto... tu invece...» aggiunse, non rendendosi conto che questa insistenza, lungi dall’elogiare Vegeta, non faceva che scocciarlo ancora di più.
                          «Taci! Non tollero assolutamente consolazioni per i miei fallimenti!» disse alzando la voce, continuando ad avanzare lentamente di qualche passo, con uno sguardo da tempesta, costringendola ad indietreggiare ulteriormente fino ad appiattirsi intimorita contro la parete della stanza. «Non avere il coraggio di dubitare delle mie capacità, Bulma!»
                          Un momento di silenzio. Lui era vicinissimo lì, davanti a lei, e col pugno puntato sulla parete sembrava vietarle tacitamente ogni iniziativa di movimento.... e come la fissava! Nessuno dei due seppe spiegarsi allora, né sarebbe mai riuscito a spiegarsi in seguito, il perché di quel che avvenne nel giro di un istante. Non importava il perché: sta di fatto che negli anni a venire Bulma avrebbe ringraziato il cielo che tutto ciò fosse accaduto, sebbene all'inizio non l'avrebbe mai creduto. Nel giro di quel breve istante si erano ritrovati così, lei spalle a muro, lui davanti a lei, con un pugno poggiato al muro accanto al volto di lei, l'altro palmo sulla pancia di lei, la spingeva con delicata forza contro la parete; erano faccia a faccia, davvero pochi i centimetri che li distaccavano. Lei non riusciva ad urlare quanto si sentiva prigioniera in quel momento, riusciva a parlare solo di gola; non veniva fuori la sua caratteristica voce squillante, usciva solo una voce bassa e sommessa: «Vegeta, io ti odio... io ti... io ti...» iniziò a balbettare, non sapendo nemmeno lei cosa avrebbe voluto dirgli, fargli, minacciargli.
                          Last edited by VirusImpazzito; 09 August 2013, 01:13.

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                          • E adesso perché gli aveva detto che lo odiava? Cosa c'entrava? Voleva solo dirgli “Togliti dalla mia vista - lasciami andare”, voleva gridarglielo, ma in fondo non era ciò che lei voleva. Lo voleva, ma non lo voleva: cose da pazzi! Gli occhi neri del Saiyan avevano su Bulma un magnetismo a cui gli occhi azzurri rispondevano con un fascino indescrivibile... quegli occhi azzurri dai quali, basta negarlo!, Vegeta era attratto con una forza istintiva e naturale...
                            ...No. No, non era possibile. Non era vero e non stava accadendo. Non riusciva a crederci, che in quel momento si era venuta a combinare quella situazione. Non poteva essere vero che lui e lei si stessero scambiando quei gesti e quei movimenti, non doveva essere vero che avessero entrambi gli occhi chiusi e stessero continuando nella maniera più naturale possibile, che i loro visi fossero più che vicini, in quel modo, senza separarsi; lei non aveva realmente la mano sul petto di lui, lui non palpava davvero il seno di lei da sotto la maglia. Non era possibile che fosse così sottile la linea che divideva la repulsione e l'attrazione, eros e thanatos, odi et amo, Bulma e Vegeta; il crepuscolo doveva esistere, ma dov'è che finiva il giorno e iniziava la notte? Come distinguere l'odio dal... Fermarsi, prima che tutto andasse avanti, o andare avanti prima che tutto si decidesse a fermarsi? A lei furono sufficienti alcuni lunghissimi nanosecondi per far sì che smettesse di parlare, e anche solo di pensare, di porsi innocenti domande, e cedesse al ritmo istintivo dell'amplesso.

                            Luogo comune numero uno: di solito, quando nei film capita un fatto di questo tipo, il giorno dopo i protagonisti della vicenda sentono il bisogno di parlare di quello che ciò ha significato per loro. Anche Bulma – da brava terrestre - avvertì questo bisogno, ma Vegeta – da altrettanto bravo Saiyan - non la cercò e continuò a comportarsi come da copione, come se nulla fosse. Era segno che tutto questo per lui non rappresentava un evento epocale o sensazionale; era stato un fatto che dal suo punto di vista non avrebbe avuto ricadute concrete; non significava nemmeno un millesimo di ciò che voleva dire per Bulma. Bulma, dal canto suo, era attratta dal Saiyan, anche se faticava a credere che avessero fatto quel che avevano fatto; ma, se avesse potuto tornare indietro nel tempo, era sicura che ci sarebbe ricascata volentieri altre cento volte.

                            Luogo comune numero due, qualche settimana dopo: accadde l'imprevisto prevedibile, la classica ed implacabile sequenza. Il mese salta un turno, la visita specialistica dal ginecologo di fiducia e una cicogna in arrivo; una volta qualcuno scrisse che uno dei modi più sicuri per avere una gravidanza è non desiderarla e non aspettarla affatto. E allora si può stare sicuri che la gravidanza arriverà.
                            C'è da dire che Bulma, la principale diretta interessata, non ne fece una tragedia. Tutt'altro: accolse la notizia per quello che era, ossia una splendida, stupenda notizia. Aveva centomila buoni motivi per essere felici, e chiunque potrebbe intuirne ben più di uno. Coinvolgere Vegeta? Sicuramente, ci avrebbe provato, perché no? La missione avrebbe richiesto una dose industriale di pazienza, ma la ragazza, nonostante la sua indole irascibile, era disposta a sforzarsi per far capire a quel cocciuto che la creatura che stava crescendo nel suo grembo era sempre suo figlio, era sempre un nuovo appartenente alla razza Saiyan in arrivo, come lo era Gohan, del quale non si poteva dire che fosse un guerriero mediocre, per la sua età. E comunque, da un punto di vista più pratico, i suoi genitori l'avrebbero aiutata in qualsiasi cosa: sua madre diveniva una vera esagitata all'idea di poter avere un piccolo Vegeta in miniatura da portare in giro per la casa, da coccolare, a cui dare il biberon e poi farlo giocare con i cani, i gatti e i dinosauri domestici! Così anche il Dr. Brief bofonchiava felice che non vedeva l'ora che il piccolo nascesse.
                            Le aspettative di Bulma su Vegeta come padre vennero ben presto deluse. Vegeta fin dall'inizio non aveva mostrato particolare interesse per il nascituro, per il figlio del Principe dei Saiyan, e lo scorrere dei mesi non aveva mutato quell'atteggiamento. L'idea non lo attirava, non lo spaventava né tantomeno lo esaltava. Niente: proseguiva la sua vita quotidiana visto che la gravidanza non era un problema che lo toccava; sembrava che il figlio non fosse suo, ma di una persona che lui conosceva molto alla lontana. Continuava ad avvicinarsi a Bulma solo la sera, ed ogni tanto poneva qualche domanda sul bambino; il semplice “Come stai?” oppure “Quanto tempo manca ancora?” erano per lei delle perle rarissime e, per questo, preziosissime.
                            *************************************************

                            L'ANGOLO DELL'AUTORE
                            Mi ero ripromesso di racchiudere il travagliato racconto di Bulma e Vegeta in un unico capitolo, ma la vicenda è diventata un po' più lunghetta di quello che prevedevo. O facevo un unico capitolo lunghissimo, o lo spezzavo in due più brevi... quindi ho optato per la seconda alternativa. Il titolo del capitolo è una citazione tratta da un famoso verso di un poeta latino, Catullo, che con l'espressione "Odi et amo" ("Odio ed amo"... allo stesso tempo, s'intende) si intende quel sentimento misto e ambiguo di amore talmente passionale da non essere distinguibile dalla sofferenza che arreca all'amante, e che quindi sfocia nell'odio.
                            Dimenticavo: la battuta di Vegeta "Ammazzo. Il tempo." è una citazione del primo leggendario Scary Movie. :-D
                            Last edited by VirusImpazzito; 09 August 2013, 01:14.

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                            • Una buonissima spiegazione sulla nascita di Trunks... La storia è scorrevole e non mi annoia mai, bravo veramente.

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                              • Proseguo subito con il prossimo capitolo, che in fondo non è altro che il completamento de i fatti visti nel precedente!

                                Cap. 23: T for Trunks.

                                Bulma era solita descriversi come una donna geniale ed intraprendente (oltre che bellissima): quello che le serviva per cominciare a costruire un ponte di dialogo con il padre del suo futuro figlio era un'occasione, e la sua intelligenza l'avrebbe aiutata a completare l'opera; non appena le fosse capitato il momento propizio, avrebbe colto la palla al balzo. L'occasione non tardò ad arrivare.
                                Una sera, quando erano già trascorsi i primi mesi di gravidanza, invitò Vegeta a guardare la tv. «Vieni a vedere, Vegeta!» lo chiamò con tono allegro. «Stasera in TV c'è una cosa che ti potrebbe interessare... danno un programma di lotta libera!»
                                Vegeta si avvicinò, senza fretta, con uno scettico ghigno di sarcasmo dipinto in viso: «Vediamo un po' i pagliacci terrestri, su...»
                                «Capiti giusto in tempo... c'è il nuovo super campione! Stavano dicendo che da poco ha conquistato il titolo nel mondo del wrestling!» spiegò Bulma, indicando verso lo schermo, sul quale compariva un bizzarro energumeno con dei folti baffoni neri da pirata, i lineamenti marcati e gli occhi azzurri, e una pittoresca e voluminosa massa afro di folti capelli neri. Il contesto era molto scenografico, e aveva ben poco di ciò che un guerriero si aspettava da una competizione di lotta: riflettori abbaglianti puntati addosso al campione; lui, ripreso dalla telecamera da un'angolatura che ne metteva in risalto il fisico imponente, indossava un uniforme da combattimento marrone e bianca e, sopra di essa, una vistosa cintura con un enorme medaglione dorato sulla fibbia e un mantello appariscente per dimensioni, nero con l'interno foderato di rosso. Il suo viso era atteggiato ad un'ostentata espressione di spavaldo orgoglio guerriero. Il campione si sfilò la cintura, la sollevò verso l'alto in un gesto teatrale, ruggendo vittorioso. Poi, le telecamere passarono ad inquadrare la folla in visibilio che urlava, sollevando ovunque in platea cartelloni e striscioni che riportavano il nome del wrestler: Mr. Satan.
                                «Tutta scena.» sentenziò Vegeta, indovinando che quel presunto campione fondava gran parte del suo successo sull'apparenza. «Sarebbe quell'idiota il campione mondiale? Mi sembra più scarso di Testa Pelata e dell'amico con le cicatrici... Ma chi diavolo è?»
                                «Leggi, no? È scritto ovunque! Striscioni, cartelloni... La gente, per motivi a me incomprensibili, impazzisce per lui!» commentò la ragazza. Vegeta rimase muto.
                                «Vegeta... mi sai dire come si chiama quel tipo?» fece lei sospettosa. Il Saiyan continuava a rimanere muto, mentre abbassava lo sguardo. Bulma fu colta da un lampo improvviso, e con un sorriso malizioso domandò: «Ora ho capito... Tu non sai leggere!»
                                «So leggere, sì... ma non l'alfabeto terrestre, ovviamente.»
                                «Vuoi dire che in tutto questo tempo non hai mai imparato a leggere...?»
                                «Perché dovrei? Non è una cosa che si impara semplicemente stando in un posto.... non mi è mai servito e non ne ho avuto l'occasione né il bisogno.» ribatté lui irritato.
                                «Perfetto! Te lo insegnerò io!» dichiarò, con la mano a pugno in segno di vittoria. E così Bulma trovò un modo per passare alcune serate assieme al Saiyan, per cercare di stringere un qualche tipo di legame con lui nella speranza che poi lui le stesse accanto quando sarebbe nato il bambino.
                                Nel giro di un mesetto, Vegeta aveva appreso bene l'alfabeto e leggeva scorrevolmente, senza difficoltà. Era stato un ottimo allievo: aveva la mente e la buona memoria di chi è abituato ad imparare nozioni di ogni tipo, una capacità che gli era risultata sicuramente utile durante le sue esplorazioni spaziali, quando entrava necessariamente a contatto coi popoli più disparati... prima di distruggerli o di schiavizzarli, naturalmente. Del resto, pensandoci bene, erano stati proprio lui e Nappa a rivelare che i namecciani erano un popolo dotato di strani poteri, e ad associare le sembianze di Piccolo a quell'etnia; ne avranno apprese, di informazioni, negli anni. Dal punto di vista affettivo, Bulma si sentiva più legata a lui, anche se non era in grado di dire se valesse l'inverso o meno. Addirittura un giorno, quando ancora studiavano l'alfabeto, gli aveva rivelato una sua intenzione: «T come Trunks... è il nome che pensavo di dare al bambino... ti piace?»

                                Poco tempo dopo, Bulma si presentò a Vegeta con un libro di poesie. «Tieni: leggi questa, e dimmi cosa ne pensi.» lo invitò, sorridente, porgendogli il libro. Era l'ennesima prova a cui lo sottoponeva nel tentativo di scandagliare il suo pensiero e la sua anima. Vegeta lesse tutto il testo, o meglio si sforzò di arrivare fino in fondo nonostante avesse avuto un iniziale senso di fastidio quando arrivò ai versi che recitavano:
                                “l'amore non è razionalità:/
                                non lo si può capire./
                                Ore a parlare,/
                                poi abbiam fatto l'amore./
                                È stato come morire...”
                                Ad onor del merito, dobbiamo confermare che la lesse tutta, un po' per lealtà, un po' perché quell'invito aveva il vago sapore di una sfida. Infine sbottò, brusco ed accigliato come suo solito: «Pff... mi fa schifo. Perché mi hai fatto leggere questa roba?»
                                Bulma si sentì ferita, e gli chiese con fare provocatorio: «Non ci arrivi da solo, signor Saiyan? Pensavo che...»
                                «Mettiti bene in testa una cosa... CARA MIA.» disse Vegeta, accentuando quest'ultimo epiteto con tono stizzito. «Io sono vaccinato contro queste stronzate. Non so e non voglio sapere che intenzioni tu abbia... qualunque cosa pensavi, è sbagliata! E con questo il discorso è chiuso.» e abbandonò la stanza.
                                “Perfetto” pensò la povera ragazza, adirata. “Perfetto: almeno abbiamo appurato che tutto ciò che avevo deciso di puntare su questa scommessa erano solo stronzate”.

                                Da allora – notò Bulma - Vegeta divenne più freddo e scontroso, preferendo chiudersi nei suoi allenamenti. La necessità di tenersi alla larga da Bulma, dalla vita da terrestre che lei voleva fargli indossare con la forza, lo aveva riportato a riflettere sul fatto che lui era un Saiyan. Anzi no: che lui era il Principe dei Saiyan. Anzi no: che lui, pur essendo il Principe dei Saiyan, non era ancora un Super Saiyan; mentre, cosa peggiore, colui che lo era diventato era un semplice e misero guerriero di infimo livello. Capitavano notti in cui il Principe dei Saiyan non riusciva a dormire come si deve, perché gli martellavano nella testa i versi della stramaledetta poesia di Bulma. Ma non i versi sull'amore, no: erano altre le parole che gli si erano marchiate a fuoco nella mente e che poi tornavano di quando in quando, a perseguitarlo anche durante il giorno:
                                “L'infinito, sai cos'è?/
                                L'irraggiungibile/
                                fine o meta che/
                                rincorrerai per tutta la tua vita...”
                                Era la storia della sua vita. Stava dedicando la sua vita al raggiungimento dell'irraggiungibile. Per quanto ancora sarebbe durata la ricerca di quel fine, di quella meta? Per tutta la sua vita? Se lo chiedeva mentre a super gravità calciava l'aria e tirava pugni, e si esercitava a compiere complesse acrobazie.
                                “Ma adesso che farai?/
                                Adesso io non so...”
                                Una voce gli batteva dentro la scatola cranica mentre faceva i suoi piegamenti, sforzandosi non cedere al peso della gravità e a quello della sua ossessione. Rabbia, orgoglio, invidia crescenti col passare del tempo avevano ripreso a torturarlo ancor più di prima.
                                “So solo che non potrà mai finire... MAI!/
                                Ovunque tu sarai.../
                                ovunque io sarò...”
                                I versi risuonavano nella sua testa, quella dannata poesia gli si era dannatamente impressa nella mente e lo dannava a pensare al suo eterno rivale, che tale sarebbe rimasto anche da defunto. Si immaginava a correre da solo, in un tunnel oscuro, cercando di arrivare ad una fine che non si intravedeva, e che - quando a malapena cominciava a vedersi - si allontanava sempre più; tendendo la mano per raggiungere, l'uscita, non ci riusciva. La sua ira cresceva ogni momento di più, finché...
                                «BASTAAAAAAAAA!» urlò al massimo della sua furia Vegeta. Con gli occhi sgranati, si vide avvolgere da una fiammata di energia d'oro che dai piedi come una spirale percorreva rapidissimamente il suo corpo. Mentre incredulo si guardava con stupore le mani e le braccia, avvertiva in sé uno stato di euforia estrema, un'eccitazione che non aveva mai provato in vita sua, una potenza incommensurabile ed incontenibile a sua disposizione. Uno ogni mille anni, diceva la leggenda: finalmente lui aveva dimostrato che a volte ne nascono anche due.

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