Vegeta perse ogni desiderio di dialogo nei confronti di Bulma, dato che era troppo soddisfatto della sua nuova potenza. Vedendo che il Saiyan aveva riacquistato un sorriso più raggiante che mai, Bulma decise che, non appena lo avesse rincontrato, avrebbe tentato la fortuna per un'ultima volta: sì, perché ormai cercare un approccio con Vegeta era diventato come una roulette russa... se la buona sorte ti accompagna, riesci a non spararti in testa. Altrimenti, è la fine.
«Ciao! Come stai?» Lo salutò educatamente. «Ti vedo di buon umore.»
«Sono diventato un Super Saiyan!» affermò lui, incapace di coprire la sua euforia con la sua classica imperturbabilità.
«Grande... complimenti! Il bambino nascerà fiero di suo papà.»
«Ma piantala con questa storia!» proruppe insensibile il Saiyan, per poi aggiungere spietatamente, tutto d'un fiato: «Cosa vuoi che me ne importi di lui?? Sono un Super Saiyan, mentre lui crescerà come un terrestre, e sarà sempre e solo un misero mezzosangue senza prospettive di miglioramento!»
In un istante gli occhi di Bulma si riempirono di grosse lacrime, e la donna scoppiò in singhiozzi disperati. In un ultimo tentativo di contenere le lacrime per dignità, si avvicinò a passo lento verso Vegeta guardandolo con odio. Si fissarono in silenzio. In maniera totalmente incontrollata, la sua mano prese lo slancio e gli stampò sulla guancia uno schiaffo talmente sonoro da rimbombare nella drammatica atmosfera della stanza. Il Saiyan non provò dolore, provò solo la furia che nasceva dall'affronto subito da parte di quella miserabile donna. Ringhiò irato, ma decise di lasciarla perdere, poi ruggì: «Va' al diavolo, femmina! Non ho bisogno né di te, né del tuo moccioso!»
«Ti senti ferito nell'orgoglio? Eh? Avanti, rispondi! Pensi di averlo solo tu un orgoglio da non ferire? O pensi che il tuo orgoglio valga più del mio?» Alla fine Bulma si rendeva conto che il Vegeta che lei aveva immaginato, l'aspettativa di un Saiyan buono e – a modo suo - premuroso nei confronti del bambino era tutta un'illusione, l'illusione di una donna che sperava di costruire qualcosa di positivo; ma aveva tralasciato che sul letame non si costruiscono edifici stabili e duraturi. Aveva creduto di vedere del buono in lui, ma – risvegliatasi dal sogno – si rendeva conto che lo schiaffo più doloroso quel giorno era stata lei a riceverlo. «Ma che schifo di uomo sei?» domandò lei alla fine, con volto deluso e disgustato.
Dopo essersi lasciato grandinare addosso quella raffica di offese a cui restava insensibile, ringhiò ancora con disprezzo: «Non sono un uomo, infatti... sono il Principe dei Saiyan.» mostrando di non aver capito il senso profondo della domanda postagli; su certi temi un Saiyan poteva dimostrare una straordinaria durezza di comprendonio. Si guardarono in cagnesco, poi ciascuno dei due alzò i tacchi; lasciarono la stanza in direzioni opposte.
Crilin e Soya si trovavano su un'ampia distesa erbosa: era l'area rurale in cui ci si imbatteva abbandonando la periferia della Città dell'Ovest. Il tempo era buono, con il cielo azzurro e alcuni enormi nuvoloni bianchi, di quelli che passeggiano nel cielo e non portano temporali; spirava un leggero vento fresco, tutt'altro che sgradevole. I due non erano dediti ad un'amichevole chiacchierata, stavolta: erano in posizione di guardia, faccia a faccia, lui con la sua divisa da maestro, lei con la sua tuta da allieva e i capelli raccolti da una bandana affinché non le intralciassero la visuale. Non era la prima volta che Soya chiedeva all'”amico-maestro-e chissà cos'altro” di duellare, di metterla alla prova. Lei aveva un'espressione seria, determinata, quasi fredda, e quell'espressione combinata con quegli occhi di ghiaccio esercitava su Crilin un fascino irresistibile, che lo costringeva a faticare per contenere la sua vera forza.
«Dai, forza, Maestro... attaccami!» lo provocò lei, per stimolarlo ad uscire da quella difesa di ferro che egli manteneva ogni volta, e che le riusciva difficile infrangere. «Se stai in difesa non dai il meglio di te... voglio sentire il tuo attacco, stavolta!»
“Mannaggia...” pensò lui, inghiottendo a vuoto. Doveva cercare di calibrare la forza in modo da non farle male. “Già non è facile controllarsi, se poi lei me lo chiede così, mi fa perdere la testa...” «OK! Preparati... » le rispose, con l'aria non molto convinta delle sue stesse parole. “Guarda che sto arrivando!”
«Ti sto aspettando, Maestro...» Inutile: qualsiasi cosa dicesse, Soya non poteva che risultargli eccitante. Crilin si buttò a capofitto cercando di colpirla sotto il mento con un calcio alto. Lei lo evitò, colpendolo allo zigomo con un pugno caricato alla sua massima forza. Crilin per il colpo subì un indietreggiamento, per cui la sua sfidante continuò ad incalzare bombardandolo di pugni allo stomaco e al petto, con una determinazione invidiabile, degna del combattimento più serio del mondo. Crilin indietreggiava davanti al rapido incalzare della sua avversaria, che aveva preso a colpirlo alla testa e al volto. Quando lei iniziò a rallentare il ritmo, lui colse l'occasione per atterrarla con un calcio ben dosato, concludendo il suo attacco con il KO della ragazza; per dare maggior senso alla sua sceneggiata, iniziò ad ansimare un po' pesantemente.
Soya si rialzò un po' ammaccata, ma non più di tanto, mentre con il dorso della mano si sfregò la guancia. Si scrollò dal vestito con le mani la lordura di terriccio e d'erba di cui si era imbrattata all'impatto.
«Ooh, ma smettila, Crilin! Ci mancava solo il finto respiro affannoso, porca pupazza!» esclamò arrabbiata la ragazza.
«Eh? Finto respiro affannoso? Ma che dici?» cercò lui invano di dissimulare.
«Non fraintendermi su ciò che sto per dirti... sai benissimo quale alta opinione ho di te... Ma guardati: dopo tutti i pugni e calci che hai preso sulla testa e sul viso, non hai un graffio o un livido! Ti sembra normale? E scommetto che sotto la maglia la situazione è identica, non un livido o un muscolo ammaccato... credi che sia stupida a non accorgermene?» chiese con tono di rimprovero.
“No...” pensò Crilin, muto dall'imbarazzo, con un evidente rossore sul volto, guardando verso il basso. “Non sei stupida... sono io il deficiente che pensava di ingannarti così facilmente, con una messinscena assurda...”
La ragazza continuò con la sua accusa: «Si vede benissimo che, quando lottiamo, fingi... per te è come un gioco, ma per me è una cosa seria... e ti dico che questo tuo rifiuto di mostrarmi la tua vera forza un po' mi infastidisce. Direi che lo scontro finisce qui, per oggi.” Emergeva qui un'altra nota caratteriale propria di Soya, che ad un approccio iniziale lei tendeva a nascondere, ma che Crilin aveva cominciato a conoscere solo frequentandola per un certo tempo: era trasparente, tanto trasparente che non sopportava che una persona con la quale lei era riuscita ad aprirsi non fosse trasparente quanto lei. Questo non faceva di lei una tipa ostica; era sempre la solita dolce e gentile Soya, ai suoi occhi. Ciò che la irritava era che avrebbe voluto conoscere Crilin fino in fondo, ma sentiva che lui aveva dei lati che ancora non voleva scoprire. Ciò le dava un po' fastidio, senza nulla togliere all'affetto che ormai lei nutriva – peraltro ricambiata, altro che ricambiata, ricambiatissima!
Nonostante si fosse abituato a questo suo aspetto, Crilin restò male, mentre i due si avviavano a piedi fuori dal campo. «Ma dai, smettila, Soya.» cercò bonariamente di distendere quell'imbarazzante tensione. «Lo sai che sei fantastica, la migliore della palestra!»
Soya assunse una sorridente smorfia dispettosa, socchiudendo gli occhi di ghiaccio in maniera attraente. «Grazie... so che dovrei essere la migliore, ma vorrei una vera sfida per mettermi alla prova... e se il mio maestro preferito me la nega, come posso fare?»
«Uff...» sbuffò Crilin sorridente. «Però devo darti ragione sulla mancanza di vere sfide...» aggiunse, portandosi una mano al mento, pensieroso. «Di gare regionali se ne fanno, ma sarebbero troppo poco, per te. Una volta c'era il torneo Tenkaichi... ma da quando Goku e il suo rivale dell'epoca, Majunior, distrussero tutta l'area del Torneo e la zona circostante nella finale del ventitreesimo torneo, si disse che il livello dei partecipanti era diventato troppo pericoloso per l'incolumità del pubblico e della gente comune che viveva da quelle parti, e si decise di non indirlo più per le edizioni successive...» Prima ancora di abbandonarsi a ricordi nostalgici, Crilin suggerì di tornare in città volando.
«Ciao! Come stai?» Lo salutò educatamente. «Ti vedo di buon umore.»
«Sono diventato un Super Saiyan!» affermò lui, incapace di coprire la sua euforia con la sua classica imperturbabilità.
«Grande... complimenti! Il bambino nascerà fiero di suo papà.»
«Ma piantala con questa storia!» proruppe insensibile il Saiyan, per poi aggiungere spietatamente, tutto d'un fiato: «Cosa vuoi che me ne importi di lui?? Sono un Super Saiyan, mentre lui crescerà come un terrestre, e sarà sempre e solo un misero mezzosangue senza prospettive di miglioramento!»
In un istante gli occhi di Bulma si riempirono di grosse lacrime, e la donna scoppiò in singhiozzi disperati. In un ultimo tentativo di contenere le lacrime per dignità, si avvicinò a passo lento verso Vegeta guardandolo con odio. Si fissarono in silenzio. In maniera totalmente incontrollata, la sua mano prese lo slancio e gli stampò sulla guancia uno schiaffo talmente sonoro da rimbombare nella drammatica atmosfera della stanza. Il Saiyan non provò dolore, provò solo la furia che nasceva dall'affronto subito da parte di quella miserabile donna. Ringhiò irato, ma decise di lasciarla perdere, poi ruggì: «Va' al diavolo, femmina! Non ho bisogno né di te, né del tuo moccioso!»
«Ti senti ferito nell'orgoglio? Eh? Avanti, rispondi! Pensi di averlo solo tu un orgoglio da non ferire? O pensi che il tuo orgoglio valga più del mio?» Alla fine Bulma si rendeva conto che il Vegeta che lei aveva immaginato, l'aspettativa di un Saiyan buono e – a modo suo - premuroso nei confronti del bambino era tutta un'illusione, l'illusione di una donna che sperava di costruire qualcosa di positivo; ma aveva tralasciato che sul letame non si costruiscono edifici stabili e duraturi. Aveva creduto di vedere del buono in lui, ma – risvegliatasi dal sogno – si rendeva conto che lo schiaffo più doloroso quel giorno era stata lei a riceverlo. «Ma che schifo di uomo sei?» domandò lei alla fine, con volto deluso e disgustato.
Dopo essersi lasciato grandinare addosso quella raffica di offese a cui restava insensibile, ringhiò ancora con disprezzo: «Non sono un uomo, infatti... sono il Principe dei Saiyan.» mostrando di non aver capito il senso profondo della domanda postagli; su certi temi un Saiyan poteva dimostrare una straordinaria durezza di comprendonio. Si guardarono in cagnesco, poi ciascuno dei due alzò i tacchi; lasciarono la stanza in direzioni opposte.
Crilin e Soya si trovavano su un'ampia distesa erbosa: era l'area rurale in cui ci si imbatteva abbandonando la periferia della Città dell'Ovest. Il tempo era buono, con il cielo azzurro e alcuni enormi nuvoloni bianchi, di quelli che passeggiano nel cielo e non portano temporali; spirava un leggero vento fresco, tutt'altro che sgradevole. I due non erano dediti ad un'amichevole chiacchierata, stavolta: erano in posizione di guardia, faccia a faccia, lui con la sua divisa da maestro, lei con la sua tuta da allieva e i capelli raccolti da una bandana affinché non le intralciassero la visuale. Non era la prima volta che Soya chiedeva all'”amico-maestro-e chissà cos'altro” di duellare, di metterla alla prova. Lei aveva un'espressione seria, determinata, quasi fredda, e quell'espressione combinata con quegli occhi di ghiaccio esercitava su Crilin un fascino irresistibile, che lo costringeva a faticare per contenere la sua vera forza.
«Dai, forza, Maestro... attaccami!» lo provocò lei, per stimolarlo ad uscire da quella difesa di ferro che egli manteneva ogni volta, e che le riusciva difficile infrangere. «Se stai in difesa non dai il meglio di te... voglio sentire il tuo attacco, stavolta!»
“Mannaggia...” pensò lui, inghiottendo a vuoto. Doveva cercare di calibrare la forza in modo da non farle male. “Già non è facile controllarsi, se poi lei me lo chiede così, mi fa perdere la testa...” «OK! Preparati... » le rispose, con l'aria non molto convinta delle sue stesse parole. “Guarda che sto arrivando!”
«Ti sto aspettando, Maestro...» Inutile: qualsiasi cosa dicesse, Soya non poteva che risultargli eccitante. Crilin si buttò a capofitto cercando di colpirla sotto il mento con un calcio alto. Lei lo evitò, colpendolo allo zigomo con un pugno caricato alla sua massima forza. Crilin per il colpo subì un indietreggiamento, per cui la sua sfidante continuò ad incalzare bombardandolo di pugni allo stomaco e al petto, con una determinazione invidiabile, degna del combattimento più serio del mondo. Crilin indietreggiava davanti al rapido incalzare della sua avversaria, che aveva preso a colpirlo alla testa e al volto. Quando lei iniziò a rallentare il ritmo, lui colse l'occasione per atterrarla con un calcio ben dosato, concludendo il suo attacco con il KO della ragazza; per dare maggior senso alla sua sceneggiata, iniziò ad ansimare un po' pesantemente.
Soya si rialzò un po' ammaccata, ma non più di tanto, mentre con il dorso della mano si sfregò la guancia. Si scrollò dal vestito con le mani la lordura di terriccio e d'erba di cui si era imbrattata all'impatto.
«Ooh, ma smettila, Crilin! Ci mancava solo il finto respiro affannoso, porca pupazza!» esclamò arrabbiata la ragazza.
«Eh? Finto respiro affannoso? Ma che dici?» cercò lui invano di dissimulare.
«Non fraintendermi su ciò che sto per dirti... sai benissimo quale alta opinione ho di te... Ma guardati: dopo tutti i pugni e calci che hai preso sulla testa e sul viso, non hai un graffio o un livido! Ti sembra normale? E scommetto che sotto la maglia la situazione è identica, non un livido o un muscolo ammaccato... credi che sia stupida a non accorgermene?» chiese con tono di rimprovero.
“No...” pensò Crilin, muto dall'imbarazzo, con un evidente rossore sul volto, guardando verso il basso. “Non sei stupida... sono io il deficiente che pensava di ingannarti così facilmente, con una messinscena assurda...”
La ragazza continuò con la sua accusa: «Si vede benissimo che, quando lottiamo, fingi... per te è come un gioco, ma per me è una cosa seria... e ti dico che questo tuo rifiuto di mostrarmi la tua vera forza un po' mi infastidisce. Direi che lo scontro finisce qui, per oggi.” Emergeva qui un'altra nota caratteriale propria di Soya, che ad un approccio iniziale lei tendeva a nascondere, ma che Crilin aveva cominciato a conoscere solo frequentandola per un certo tempo: era trasparente, tanto trasparente che non sopportava che una persona con la quale lei era riuscita ad aprirsi non fosse trasparente quanto lei. Questo non faceva di lei una tipa ostica; era sempre la solita dolce e gentile Soya, ai suoi occhi. Ciò che la irritava era che avrebbe voluto conoscere Crilin fino in fondo, ma sentiva che lui aveva dei lati che ancora non voleva scoprire. Ciò le dava un po' fastidio, senza nulla togliere all'affetto che ormai lei nutriva – peraltro ricambiata, altro che ricambiata, ricambiatissima!
Nonostante si fosse abituato a questo suo aspetto, Crilin restò male, mentre i due si avviavano a piedi fuori dal campo. «Ma dai, smettila, Soya.» cercò bonariamente di distendere quell'imbarazzante tensione. «Lo sai che sei fantastica, la migliore della palestra!»
Soya assunse una sorridente smorfia dispettosa, socchiudendo gli occhi di ghiaccio in maniera attraente. «Grazie... so che dovrei essere la migliore, ma vorrei una vera sfida per mettermi alla prova... e se il mio maestro preferito me la nega, come posso fare?»
«Uff...» sbuffò Crilin sorridente. «Però devo darti ragione sulla mancanza di vere sfide...» aggiunse, portandosi una mano al mento, pensieroso. «Di gare regionali se ne fanno, ma sarebbero troppo poco, per te. Una volta c'era il torneo Tenkaichi... ma da quando Goku e il suo rivale dell'epoca, Majunior, distrussero tutta l'area del Torneo e la zona circostante nella finale del ventitreesimo torneo, si disse che il livello dei partecipanti era diventato troppo pericoloso per l'incolumità del pubblico e della gente comune che viveva da quelle parti, e si decise di non indirlo più per le edizioni successive...» Prima ancora di abbandonarsi a ricordi nostalgici, Crilin suggerì di tornare in città volando.
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