Gohan non smetteva di guardarsi le mani che apriva e chiudeva convulsamente, in preda a meraviglia e incredulità. Avrebbe voluto partire, cercare quei due cyborg… non si era mai sentito così nervoso, agitato, adirato, nonostante non fosse nuovo a quegli scatti di furia… nonostante lo stato d’animo stravolto, era in grado di riflettere e rendersi conto che non aveva tracce da seguire per trovarli; e chi gli garantiva che la sua nuova potenza non gli avrebbe assicurato la vittoria? Non poteva gettarsi a capofitto contro i nuovi nemici… un gesto così stupido lo avrebbe commesso soloquel cocciuto di Vegeta; e lanciarsi in quel modo contro i pericoli non rientrava negli insegnamenti che Piccolo gli aveva impartito. Si voltò di scatto verso Bulma, che cercava di placare il pianto di suo figlio cullandolo fra le braccia. Con gli occhi carichi di aggressività e rabbiosa determinazione, e il volto ancora rigato dalle lacrime, le chiese: «Bulma, hai una navicella spaziale??»
«S-sì, ma… perch-» rispose, venendo subito interrotta dal ragazzino.
«Mi allenerò! Sconfiggerò quei due cyborg! Poi cercheremo di nuovo i namecciani e riporteremo in vita tutti… Piccolo, Crilin e tutta quella povera gente innocente dello stadio, e tutti gli altri che i cyborg vorranno uccidere nei prossimi giorni! Sconfiggerò dieci, cento Freezer, se sarà necessario!» gridò scalpitando il figlio di Goku.
«M-ma…» provò ad obiettare Bulma, ma ogni parola le morì in bocca. Gohan fremeva tremante tra la rab-bia e il pianto, incuteva timore in chi lo vedeva; i due amici rimasero ammutoliti. Di colpo, la trasformazione venne a mancare, Gohan ricadde a terra: lo sforzo era stato eccessivo. Col respiro affannoso, piegato carponi vicino al corpo di Piccolo, adesso il mezzosangue stentava a riprendere fiato.
Bulma corse alla volta del bambino, imitata in ciò da Muten che accorse al fianco di Gohan. «Gohan… stai bene?» chiese la donna.
“Non è un mistero che Gohan sia privo dello spirito guerriero di suo padre… ama la giustizia, ma non è un combattente nato…” rifletté il vecchio. “Da quanto ne so, la sua forza è sempre stata legata all’andamento dell’umore… essere fuori di sé dall’ira e dall’impotenza ha contribuito a scatenare la trasformazione in Su-per Saiyan, ma quello stadio sembra parecchio instabile… forse non è ancora in grado di gestire una forma di energia così stressante e faticosa…” A quel punto, l’anziano prese la parola, con il tono pacato e paternamente affettuoso che in anni lontani aveva usato con il padre di Gohan e, prima ancora, con entrambi i suoi nonni, quello materno e quello adottivo, che erano stati suoi allievi. «Ascoltami, Gohan… in questo momento siamo tutti a pezzi per quello che è accaduto. Credo che la cosa migliore sia tornarcene a casa e rasserenarci, nei limiti del possibile. Solo dopo saremo in condizione di elaborare una strategia per affrontare il problema. Fortunatamente, sembra che questi nemici non siano per la distruzione rapida e gratuita del pianeta… dai segni lasciati dai loro combattimenti, deduco che non hanno voluto danneggiare di proposito l’isola, ma è successo come conseguenza dei combattimenti coi nostri amici… Non dico che siano delle brave persone, dico solo che hanno interesse a prendersela con comodo. La speranza è ancora ben lontana dall’abbandonarci del tutto, tienilo ben a mente.» Gohan non ebbe altra alternativa che quella di acconsentire alla strategia della pazienza ideata dal maestro Muten.
Il cyborg numero 17 non aveva nulla in contrario ad accompagnare sua sorella nello shopping; pretese, però, di poterla scarrozzare a bordo di un veicolo dal motore rombante, come ai vecchi tempi. Ciò presupponeva la necessità di procurarsi il suddetto veicolo, possibilmente in maniera giocosa, come a loro piaceva fare. Per questo motivo, sorvolarono la Città del Sud portandosi sul ciglio di una strada extraurbana, percorsa da numerosi mezzi che abbandonavano il centro abitato.
«Autostop?» domandò 18.
«Autostop.» rispose 17.
Il bello dell’autostop era il fatto di salire sulla macchina di un perfetto sconosciuto che accoglieva i passeggeri per un semplice atteggiamento di cortesia, instaurando una conversazione con lui; nella versione dell’autostop messa a punto dai due gemelli, però, il proprietario del mezzo veniva malamente privato di esso. Purtroppo, tuttavia, date le circostanze e il panico predominante, nessuno sembrava intenzionato a fermarsi per raccoglierli, e probabilmente qualcuno li aveva anche riconosciuti, anche se erano comparsi sugli schermi delle tv solo per pochi secondi. Si spostarono allora su una strada in una zona più rurale e periferica, e videro finalmente passare un camioncino; “Persino quel catorcio andrà bene, per cominciare” pensò il cyborg maschio. Lo guidava un giovane omaccione palestrato con tanto di mascellone, folti baffi e capelli neri, che indossava un cappello nero con visiera da poliziotto, e una canottiera giallo evidenziatore aderente. Il guidatore si fermò al gesto del pollice di 18; li squadrò e, leccandosi le labbra, li fece salire a bordo, facendoli accomodare nel cassone posteriore del camioncino. 17 e 18 si scambiarono un sorriso vedendogli leccarsi le labbra: “Ecco l’ennesimo pervertito che cerca di adescare vittime. Un classico dell’autostop.”
Lo sconosciuto scambiò con loro qualche parola di convenevole. Dopo una ventina di chilometri percorsi, 17, intenzionato ad appropriarsi del mezzo, disse: «Scendiamo qui.»
«Aspettate un attimo.» li fermò l’uomo. «Nessuno fa niente per niente… è la regola basilare del grande libro non scritto del galateo della strada.»
«Che intende, scusi?» domandò 18, con uno sguardo da innocentina, fingendo di non aver capito dove l’uomo volesse andare a parare.
«Fidatevi dello zio Otokoski…» rispose egli con un sorriso malizioso. «Tu puoi scendere, biondina…» disse inaspettatamente, lasciando di stucco la ragazza che già si immaginava come vittima designata delle sue molestie; poi, rivolgendosi a 17, lo invitò: «Vieni qui davanti con me, bel moretto…»
18 trattenne a stento un sorrisetto, mentre 17 salì dentro l’abitacolo del camioncino. «Allora… che ne dici?» domandò Otokoski. «Ti va di darmi un bacino con un paio di colpetti di lingua? Sei proprio il mio tipo…» propose poi, concludendo la sua richiesta con un occhiolino.
Qualche minuto dopo, 17 guidava il suo nuovo camioncino, mentre 18 col braccio fuori dal finestrino ammirava il panorama. Avevano lasciato il cadavere del malcapitato Otokoski sul ciglio della strada, con la gola strozzata, nel punto in cui lui aveva fermato il mezzo per fare la sua avance al cyborg.
«Fai ancora furore fra le ragazze, eh?» disse 18 schernendo il fratello.
«Ma stai zitta… sai quanto detesto i froci.» borbottò seccamente il cyborg.
Qualche oretta più tardi, spaparanzato all’ombra di un albero del pianeta di Re Kaioh, Goku russava e ronfava alla grandissima, con Bubbles a sua volta addormentato sulla sua pancia. Re Kaioh si avvicinò loro e, con tono intenerito, li contemplò: «Ma che bel quadretto pacioso! Fa venire davvero voglia di finire all’Altro Mondo… anche se ci sono già! Ahahah!» e si mise a ridacchiare. I due dormivano tanto profondamente che la risata non li svegliò. La divinità sentì sorgere nel basso ventre l’impulso della pipì; decise di farsi una corsetta stimolante fino all’altra parte del pianeta; poi si abbassò i pantaloni e si sforzò di battere il record di distanza; sicché, al termine dell’operazioncina, poté commentare: «Perfetto! Con questo record, riuscirò a sovrastare ancora di più Re Kaioh dell’Ovest quando faremo la prossima gara di pipì!» In quel momento, sentì uno squillo di telefono nella sua mente: «Hm? Ma che…? Ah, è il telefono infernale di Re Enma!» Era il congegno di telecomunicazione che connetteva il dio dell’Aldilà ai custodi delle galassie, un quartetto divio di cui Re Kaioh era l’esponente del Nord: un grosso telefono vecchio stile, poggiato sulla scrivania da lavoro della divinità dell’Inferno, che gli permetteva di contattare al bisogno i suoi colleghi. Bastava digitare il numero interno per chiamare il destinatario direttamente nella sua mente… comodo, no?
«Scusi, Re Kaioh del Nord… la disturbo? Era impegnato?» chiese il gigante barbuto in doppiopetto.
«Ehm… no! Mi dica pure, Re Enma. La ascolto!» bofonchiò la divinità azzurra, sistemandosi goffamente i pantaloni mentre le antenne da insetto fremevano per via del segnale elettro-telepatico.
«Potrebbe inviarmi il suo pupillo, Son Goku? Necessito del suo intervento per un’evenienza particolare…»
«Glielo mando subito. A proposito di allievi… Scusi un attimo, Re Enma: già che ci troviamo in contatto, vo-levo chiederle quando potrò impartirle le mie fantasmagoriche lezioni di comicità! È da un sacco di millenni che gliele avevo promesse…»
«Non ora, sono molto occupato… ehm…» rispose il vocione cavernoso dell’enorme divinità con un certo imbarazzo.
«Suvvia! Guardi, le offro una battuta-assaggio alla quale non potrà dire di no, e che le farà venire voglia di apprendere i miei metodi!» insistette Re Kaioh.
«Scusi, ho molto da fare quest’oggi! Sa com’è… c’è stato da poco un arrivo massiccio dal pianeta Terra…» si schermì Re Enma.
«Dalla Terra? Oh, capisco…» replicò Re Kaioh. Salutando in fretta e furia, Re Enma troncò il discorso lasciando un tut-tut nella mente dell’interlocutore.
«S-sì, ma… perch-» rispose, venendo subito interrotta dal ragazzino.
«Mi allenerò! Sconfiggerò quei due cyborg! Poi cercheremo di nuovo i namecciani e riporteremo in vita tutti… Piccolo, Crilin e tutta quella povera gente innocente dello stadio, e tutti gli altri che i cyborg vorranno uccidere nei prossimi giorni! Sconfiggerò dieci, cento Freezer, se sarà necessario!» gridò scalpitando il figlio di Goku.
«M-ma…» provò ad obiettare Bulma, ma ogni parola le morì in bocca. Gohan fremeva tremante tra la rab-bia e il pianto, incuteva timore in chi lo vedeva; i due amici rimasero ammutoliti. Di colpo, la trasformazione venne a mancare, Gohan ricadde a terra: lo sforzo era stato eccessivo. Col respiro affannoso, piegato carponi vicino al corpo di Piccolo, adesso il mezzosangue stentava a riprendere fiato.
Bulma corse alla volta del bambino, imitata in ciò da Muten che accorse al fianco di Gohan. «Gohan… stai bene?» chiese la donna.
“Non è un mistero che Gohan sia privo dello spirito guerriero di suo padre… ama la giustizia, ma non è un combattente nato…” rifletté il vecchio. “Da quanto ne so, la sua forza è sempre stata legata all’andamento dell’umore… essere fuori di sé dall’ira e dall’impotenza ha contribuito a scatenare la trasformazione in Su-per Saiyan, ma quello stadio sembra parecchio instabile… forse non è ancora in grado di gestire una forma di energia così stressante e faticosa…” A quel punto, l’anziano prese la parola, con il tono pacato e paternamente affettuoso che in anni lontani aveva usato con il padre di Gohan e, prima ancora, con entrambi i suoi nonni, quello materno e quello adottivo, che erano stati suoi allievi. «Ascoltami, Gohan… in questo momento siamo tutti a pezzi per quello che è accaduto. Credo che la cosa migliore sia tornarcene a casa e rasserenarci, nei limiti del possibile. Solo dopo saremo in condizione di elaborare una strategia per affrontare il problema. Fortunatamente, sembra che questi nemici non siano per la distruzione rapida e gratuita del pianeta… dai segni lasciati dai loro combattimenti, deduco che non hanno voluto danneggiare di proposito l’isola, ma è successo come conseguenza dei combattimenti coi nostri amici… Non dico che siano delle brave persone, dico solo che hanno interesse a prendersela con comodo. La speranza è ancora ben lontana dall’abbandonarci del tutto, tienilo ben a mente.» Gohan non ebbe altra alternativa che quella di acconsentire alla strategia della pazienza ideata dal maestro Muten.
Il cyborg numero 17 non aveva nulla in contrario ad accompagnare sua sorella nello shopping; pretese, però, di poterla scarrozzare a bordo di un veicolo dal motore rombante, come ai vecchi tempi. Ciò presupponeva la necessità di procurarsi il suddetto veicolo, possibilmente in maniera giocosa, come a loro piaceva fare. Per questo motivo, sorvolarono la Città del Sud portandosi sul ciglio di una strada extraurbana, percorsa da numerosi mezzi che abbandonavano il centro abitato.
«Autostop?» domandò 18.
«Autostop.» rispose 17.
Il bello dell’autostop era il fatto di salire sulla macchina di un perfetto sconosciuto che accoglieva i passeggeri per un semplice atteggiamento di cortesia, instaurando una conversazione con lui; nella versione dell’autostop messa a punto dai due gemelli, però, il proprietario del mezzo veniva malamente privato di esso. Purtroppo, tuttavia, date le circostanze e il panico predominante, nessuno sembrava intenzionato a fermarsi per raccoglierli, e probabilmente qualcuno li aveva anche riconosciuti, anche se erano comparsi sugli schermi delle tv solo per pochi secondi. Si spostarono allora su una strada in una zona più rurale e periferica, e videro finalmente passare un camioncino; “Persino quel catorcio andrà bene, per cominciare” pensò il cyborg maschio. Lo guidava un giovane omaccione palestrato con tanto di mascellone, folti baffi e capelli neri, che indossava un cappello nero con visiera da poliziotto, e una canottiera giallo evidenziatore aderente. Il guidatore si fermò al gesto del pollice di 18; li squadrò e, leccandosi le labbra, li fece salire a bordo, facendoli accomodare nel cassone posteriore del camioncino. 17 e 18 si scambiarono un sorriso vedendogli leccarsi le labbra: “Ecco l’ennesimo pervertito che cerca di adescare vittime. Un classico dell’autostop.”
Lo sconosciuto scambiò con loro qualche parola di convenevole. Dopo una ventina di chilometri percorsi, 17, intenzionato ad appropriarsi del mezzo, disse: «Scendiamo qui.»
«Aspettate un attimo.» li fermò l’uomo. «Nessuno fa niente per niente… è la regola basilare del grande libro non scritto del galateo della strada.»
«Che intende, scusi?» domandò 18, con uno sguardo da innocentina, fingendo di non aver capito dove l’uomo volesse andare a parare.
«Fidatevi dello zio Otokoski…» rispose egli con un sorriso malizioso. «Tu puoi scendere, biondina…» disse inaspettatamente, lasciando di stucco la ragazza che già si immaginava come vittima designata delle sue molestie; poi, rivolgendosi a 17, lo invitò: «Vieni qui davanti con me, bel moretto…»
18 trattenne a stento un sorrisetto, mentre 17 salì dentro l’abitacolo del camioncino. «Allora… che ne dici?» domandò Otokoski. «Ti va di darmi un bacino con un paio di colpetti di lingua? Sei proprio il mio tipo…» propose poi, concludendo la sua richiesta con un occhiolino.
Qualche minuto dopo, 17 guidava il suo nuovo camioncino, mentre 18 col braccio fuori dal finestrino ammirava il panorama. Avevano lasciato il cadavere del malcapitato Otokoski sul ciglio della strada, con la gola strozzata, nel punto in cui lui aveva fermato il mezzo per fare la sua avance al cyborg.
«Fai ancora furore fra le ragazze, eh?» disse 18 schernendo il fratello.
«Ma stai zitta… sai quanto detesto i froci.» borbottò seccamente il cyborg.
Qualche oretta più tardi, spaparanzato all’ombra di un albero del pianeta di Re Kaioh, Goku russava e ronfava alla grandissima, con Bubbles a sua volta addormentato sulla sua pancia. Re Kaioh si avvicinò loro e, con tono intenerito, li contemplò: «Ma che bel quadretto pacioso! Fa venire davvero voglia di finire all’Altro Mondo… anche se ci sono già! Ahahah!» e si mise a ridacchiare. I due dormivano tanto profondamente che la risata non li svegliò. La divinità sentì sorgere nel basso ventre l’impulso della pipì; decise di farsi una corsetta stimolante fino all’altra parte del pianeta; poi si abbassò i pantaloni e si sforzò di battere il record di distanza; sicché, al termine dell’operazioncina, poté commentare: «Perfetto! Con questo record, riuscirò a sovrastare ancora di più Re Kaioh dell’Ovest quando faremo la prossima gara di pipì!» In quel momento, sentì uno squillo di telefono nella sua mente: «Hm? Ma che…? Ah, è il telefono infernale di Re Enma!» Era il congegno di telecomunicazione che connetteva il dio dell’Aldilà ai custodi delle galassie, un quartetto divio di cui Re Kaioh era l’esponente del Nord: un grosso telefono vecchio stile, poggiato sulla scrivania da lavoro della divinità dell’Inferno, che gli permetteva di contattare al bisogno i suoi colleghi. Bastava digitare il numero interno per chiamare il destinatario direttamente nella sua mente… comodo, no?
«Scusi, Re Kaioh del Nord… la disturbo? Era impegnato?» chiese il gigante barbuto in doppiopetto.
«Ehm… no! Mi dica pure, Re Enma. La ascolto!» bofonchiò la divinità azzurra, sistemandosi goffamente i pantaloni mentre le antenne da insetto fremevano per via del segnale elettro-telepatico.
«Potrebbe inviarmi il suo pupillo, Son Goku? Necessito del suo intervento per un’evenienza particolare…»
«Glielo mando subito. A proposito di allievi… Scusi un attimo, Re Enma: già che ci troviamo in contatto, vo-levo chiederle quando potrò impartirle le mie fantasmagoriche lezioni di comicità! È da un sacco di millenni che gliele avevo promesse…»
«Non ora, sono molto occupato… ehm…» rispose il vocione cavernoso dell’enorme divinità con un certo imbarazzo.
«Suvvia! Guardi, le offro una battuta-assaggio alla quale non potrà dire di no, e che le farà venire voglia di apprendere i miei metodi!» insistette Re Kaioh.
«Scusi, ho molto da fare quest’oggi! Sa com’è… c’è stato da poco un arrivo massiccio dal pianeta Terra…» si schermì Re Enma.
«Dalla Terra? Oh, capisco…» replicò Re Kaioh. Salutando in fretta e furia, Re Enma troncò il discorso lasciando un tut-tut nella mente dell’interlocutore.
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