@Majin Broly, il tuo argomento è molto valido (è una delle argomentazioni di etica della donna che ha preso fortemente piede nell'ultimo decennio), certo però lascia aperte diverse questioni enormi.
Innanzitutto non ho capito bene l'appello al principio per cui "ogni individuo è libero di fare qualunque cosa non leda l'alrui libertà", come saprai questo principio ha avuto diversi problemi generali, e sopratutto, per quanto ci riguarda, nel caso in cui si fosse scoperto che il feto fosse un individuo (cosa che invece non è, come tu stesso in poche parole hai ampiamente dimostrato) ci sarebbe stato da decidere quale della due libertà fosse stata la più importante: quella di un bambino che ancora ha tutta la vita davanti o quella di una madre che ha già vissuto per 30 anni? (problema che si pone tutt'ora quando per portare a termine il parto si deve sacrificare la vita della donna). E sopratutto: può una libertà sociale avere la prevalenza sul diritto di vivere? Insomma, dimmi poco!
Ora, il problema non si pone nel momento in cui si dimostra che il feto, almeno prima dei 6 mesi, non è una persona. Per questo mi sembrava fondamentale puntare su quell'argomentazione (ma poi non c'è mai una sola argomentazione valida, bisogna sempre prendere in considerazione i tanti possibili argomenti sul caso), prima di citarne delle altre.
Nei riguardi dell'ultima parte del tuo post sono indeciso. È una questione ancora diversa, ma obbligarmi a fare crescere quelle cellule fuori da me facendo nascere un individuo con i miei tratti genetici, che quindi è biologicamente mio figlio, per poi farlo crescere lontano da me, mi sembra altrettanto problematico. Si avvierebbe un processo ingiustificabile di infiniti adottati. Tutto questo per dare rilevanza all'unione di due gameti? Avrà pure rilevanza, ma è una rilevanza simbolica, che vale quindi quando questa unione è voluta da almeno uno dei due genitori. Oggettivamente non trovo rilevanze morali, se non quella alla potenzialità cosale, che mi sembra però una rilevanza troppo debole nei confronti della contingenza.
Innanzitutto non ho capito bene l'appello al principio per cui "ogni individuo è libero di fare qualunque cosa non leda l'alrui libertà", come saprai questo principio ha avuto diversi problemi generali, e sopratutto, per quanto ci riguarda, nel caso in cui si fosse scoperto che il feto fosse un individuo (cosa che invece non è, come tu stesso in poche parole hai ampiamente dimostrato) ci sarebbe stato da decidere quale della due libertà fosse stata la più importante: quella di un bambino che ancora ha tutta la vita davanti o quella di una madre che ha già vissuto per 30 anni? (problema che si pone tutt'ora quando per portare a termine il parto si deve sacrificare la vita della donna). E sopratutto: può una libertà sociale avere la prevalenza sul diritto di vivere? Insomma, dimmi poco!
Ora, il problema non si pone nel momento in cui si dimostra che il feto, almeno prima dei 6 mesi, non è una persona. Per questo mi sembrava fondamentale puntare su quell'argomentazione (ma poi non c'è mai una sola argomentazione valida, bisogna sempre prendere in considerazione i tanti possibili argomenti sul caso), prima di citarne delle altre.
Nei riguardi dell'ultima parte del tuo post sono indeciso. È una questione ancora diversa, ma obbligarmi a fare crescere quelle cellule fuori da me facendo nascere un individuo con i miei tratti genetici, che quindi è biologicamente mio figlio, per poi farlo crescere lontano da me, mi sembra altrettanto problematico. Si avvierebbe un processo ingiustificabile di infiniti adottati. Tutto questo per dare rilevanza all'unione di due gameti? Avrà pure rilevanza, ma è una rilevanza simbolica, che vale quindi quando questa unione è voluta da almeno uno dei due genitori. Oggettivamente non trovo rilevanze morali, se non quella alla potenzialità cosale, che mi sembra però una rilevanza troppo debole nei confronti della contingenza.
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